The Witcher 2: Assassins of Kings: la recensione di VMAG

L’uomo dai capelli bianchi corre nella foresta. Lo inseguono e lui sa che non potrà resistere ancora a lungo perché, sì, lui è un Witcher, è Geralt di Rivia, è il Lupo Bianco. Ma è stanco, molto stanco. Buio. Rumore di catene e grida disumane. L’uomo dai capelli bianchi è in catene, battuto ma non sconfitto. La prima domanda che ci viene in mente è: cosa è successo? Ed è la domanda che ci accompagnerà fino alla fine di The Witcher 2: Assassins of Kings. Ritroviamo Geralt proprio lì dove lo avevamo lasciato, le cicatrici sulla schiena sono aumentate ma la sua forza è intatta. Come per il primo capitolo, ci viene proposto un tutorial che ci aiuterà non solo a familiarizzare con i cambiamenti che CD Projekt RED ha apportato ma anche, e soprattutto, a entrare nella storia.

Roche sembra il responsabile della nostra scomoda situazione, ma appena ci sediamo di fronte a lui qualcosa ci dice che in realtà non è un nemico, ma che, da ufficiale fedele al re morto, sta indagando per scoprire cosa sappiamo dell’omicidio… dato che noi eravamo lì come sua guardia del corpo. Abbiamo a disposizione quattro argomenti da cui partire e, a seconda dell’ordine che sceglieremo di seguire nel nostro tutorialnon- tutorial, avremo già, inconsapevolmente, mosso il primo passo su uno dei molti sentieri che CD Projekt RED ha preparato per noi. Decidiamo di andare con ordine e scopriamo la prima grande novità: il sistema di movimento. The Witcher faceva pesantemente affidamento sul mouse, come in un’avventura punta e clicca. The Witcher 2 invece affida ai tasti W, A, S e D il movimento e lascia al mouse il controllo della spada e della telecamera.

È possibile anche giocare usando il gamepad e questa possibilità, insieme ad altri piccoli cambiamenti ci fa pensare che The Witcher 2 potrebbe, e sottolineiamo il condizionale, essere un primo passo verso le console. Il tutorial prosegue e le domande, come in ogni buon romanzo, si accumulano a una velocità impressionante e noi, sicuri che qualcosa ne verrà fuori, continuiamo a camminare e a parlare. E continuando a rispondere alle domande di Roche facciamo amicizia anche con la nuova mappa e con il nuovo schema di sviluppo del personaggio, che ricorda i sistemi di sviluppo dei GdR Square Enix.

Superato il tutorial ecco che comincia il gioco vero e, mentre gli intrighi di corte si infittiscono intorno a noi, scopriamo una delle novità che il team di sviluppo ha deciso di inserire in questo nuovo capitolo: la modalità stealth. Geralt deve fuggire dalla prigione in cui è rinchiuso e, non avendo a sua disposizione nessuna delle sue spade, deve fondamentalmente muoversi nell’ombra. Letteralmente. In questo nuovo capitolo infatti Geralt potrà manipolare le fiaccole e spegnerle per sgattaiolare alle spalle delle guardie di ronda e raggiungere il suo obiettivo. Non è un modo facile di giocare e ci è toccato picchiare duro con un manganello di fortuna in un paio di occasioni ma, anche grazie alle magie, riusciamo finalmente ad aprire la porta.

Si spalanca per noi un mondo vasto in cui, oltre a seguire l’indagine principale, possiamo accettare tutte le quest secondarie che vogliamo non per il puro gusto di passare il tempo ma con la consapevolezza che ogni obiettivo realizzato ci aiuterà a capire qualcosa in più di quello che ci succede intorno. È evidente che The Witcher 2, come il suo predecessore, necessita di (molto) tempo e di (molta) attenzione per essere goduto e gustato al meglio, ma ci ripaga di ogni minuto speso a camminare e a parlare con i personaggi secondari. Le difficoltà di gioco disponibili sono quattro e lo sviluppo del personaggio, anche alla difficoltà “facile” (che facile poi non è), non è immediato: la barra esperienza sembra non riempirsi mai, ma questo si dimostra un incentivo importante per continuare l’esplorazione, per stringere i denti e provare ancora a uccidere quel mostro. Vale la pena spendere due parole a questo punto sul nuovo sistema di combattimento.

Gli scontri sono diventati molto più brutali, con arti mozzati e sangue che schizza ovunque (anche se poi i cadaveri continuano a sparire e a lasciare solo un comodo sacchetto da raccogliere) ed è un cambiamento molto forte rispetto al primo capitolo, che gestiva tutto in modo un po’ più distaccato e stilizzato. Segni dei tempi che cambiano, probabilmente. Il vecchio sistema aveva senso nell’economia generale del primo gioco e ora che il gioco si è fatto più “attivo” il sistema di combattimento si è adeguato e, sinceramente, il cambiamento non ci dispiace. Anzi. Proseguendo nel gioco ci accorgiamo che non è solo il sistema di combattimento a essersi fatto più brutale e fisico, ma anche la natura delle quest è cambiata, non tanto nella qualità dell’“oggetto”, quanto nell’atmosfera e nell’intenzione. Non vogliamo rovinarvi la sorpresa ma una delle quest secondarie che più ci è rimasta impressa è sicuramente la missione alla villa diroccata (Nelle grinfie della follia).

Non è una missione né lunga né complicata nelle sue fasi ma le stanze demolite e chi le abita ci hanno lasciato un tale senso di angoscia e paura alla fine che, tornati all’aperto nella foresta, anche il rumore delle ali dei corvi ci ha fatto fare un balzo e sguainare la spada. Forse è proprio questo uno dei meriti di The Witcher 2: se il primo capitolo infatti era più cerebrale (e badate che chi scrive lo ha adorato) questo prende la bocca dello stomaco e, senza volerlo, ci ritroviamo a provare pena vera e profonda per i vinti che incontriamo, per le anime perse che ci chiedono di volta in volta giustizia o vendetta ( il confine è sottile e non sempre scontato). Come per il primo capitolo anche in The Witcher 2 dovremo destreggiarci tra formule alchemiche, potenziamenti e oggetti, e ora quelli che portiamo hanno un peso oltre che un valore in Oren.

In alto a destra nell’inventario troviamo indicata la capacità massima. Questo sistema del peso massimo trasportabile sostituisce gli slot finiti del primo capitolo che ci costringevano ad abbandonare qualcosa lungo la strada o presso le locande. Per dovere di cronaca abbiamo dovuto scoprire cosa succede quando si supera il peso massimo consentito. L’effetto è un diretto, quanto logico, rallentamento dei movimenti di Geralt. Per creare le pozioni avremo bisogno di piante e funghi ma non ci sarà più possibile sperimentare mescolando a casaccio gli elementi e dovremo reperire i diagrammi che attiveranno la composizione di una determinata sostanza nella sezione Alchimia.

In compenso non dovremo più studiare a lungo e comprare diversi tomi per riconoscere le varie essenze (indicate da piccole lucciole danzanti). Geralt non sarebbe un Witcher se non avesse sempre al collo il suo medaglione dalla testa di lupo che, anche stavolta, ci tornerà utile anche se in modo davvero sibillino. Attivandolo (tasto Z) vedremo un cerchio di luce espandersi intorno a noi e nel caso ci sia un oggetto notevole nel raggio d’azione del medaglione vedremo un bagliore arancio nel punto in cui questo oggetto si trova. Il medaglione vale per tutto: dalle piante, alle casse ai Luoghi di Potere (che oltre a venirci indicati diventeranno attivi). Evitiamo volutamente disamine strettamente tecniche che, con giochi del genere, sono sinceramente inutili, e vi diciamo solo che la qualità grafica va di pari passo con la profondità e la maturità di un titolo dalle immense possibilità, con una storia che si dirama in modo sempre imprevedibile e coinvolgente e regala a ogni partita un’emozione diversa e mai banale. A pensarci bene forse è il caso di cominciare a pensare a un termine nuovo, perché la definizione di “gioco”, in casi del genere, comincia a essere riduttiva.

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