Metal Gear Solid V: The Phantom Pain: la recensione di VMAG

Scrivere la recensione di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain mentre si denota la cura maniacale con cui sono stati realizzati gli artwork di Yoji Shinkawa sulla copertina del gioco risulta molto semplice e piacevole. Inoltre, la contemplazione delle illustrazioni dell’art director dell’ultima opera di Hideo Kojima è un processo strettamente collegato a ciò che concerne l’intero titolo. Esatto: contemplare, osservare e agire. Sono i tre verbi che sorreggono l’ultima iterazione della saga del sapiente Hideo Kojima, professione game designer. Per la prima ora di gioco composta dal prologo contemplerete la regia e i preamboli di una trama che deve, per forza di cose, incastonarsi come un diamante nella linea del tempo composta dai capitoli cronologicamente precedenti e successivi. Non vi spoilererò nulla riguardante le missioni principali, e allo stesso modo non vi rovinerò alcuna sorpresa per quanto riguarda le secondarie o l’oggettistica, ma vi posso dire che la firma dell’ideatore della saga è presente più che mai tramite trovate geniali e oggetti che renderanno l’esperienza di gioco a dir poco esaltante. La funzione di questa recensione è dunque di informarvi circa Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, per farvi capire se può fare al caso vostro: questo è l’obiettivo. Let’s start.

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Dopo aver contemplato e osservato con quale cura e abilità si giostrano le sequenze del prologo, vi troverete faccia a faccia con il gioco libero, quello che probabilmente sarà più apprezzato da coloro che non hanno avuto modo di giocare altri Metal Gear Solid e dunque hanno bisogno di ripetizioni per la trama che, con l’aggiunta di questo capitolo, aggiunge un pezzo di puzzle molto complesso e profondo. Già, la trama. Come si può mantenere la narrativa ad alto livello come avveniva nei precedenti lavori di Kojima se Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è un open world? Si diluisce, spezzettando a destra e sinistra delle porzioni ridotte di storia narrata con tecniche simili al passato, con aggiunte importanti già vissute in Ground Zeroes che vi permetteranno di non perdervi nulla: le registrazioni. Questi podcast saranno un oggetto chiave per chi vuole analizzare tutti i passaggi, scavano nei meandri dell’intero lore della saga, tuttavia alla lunga risultano pesanti ed è inutile dire che avremmo preferito dialoghi aggiuntivi intervallati da qualche registrazione poichè spezzano di molto il ritmo di gioco.

Contemplare, osservare e agire. I tre verbi con cui ho descritto il gioco nelle prime righe si sposano perfettamente con il gameplay concepito dagli sviluppatori di Kojima Productions, i quali hanno incentrato la quasi totalità dell’esperienza sulla libertà di approccio e di movimento. Dopo aver sussultato al cospetto della potenza narrativa della prima ora di gioco, potrete dunque esplorare liberamente il mondo di gioco, suddiviso in macro aree senza alcun tipo di schermata di caricamento, conquistando avamposti e accampamenti. Al contempo potrete impostare tramite l’iDroid, evoluto e perfezionato rispetto a Ground Zeroes, missioni principali o secondarie, le quali verranno sbloccate con l’avanzamento nelle stesse.

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Lo stesso iDroid vi accompagnerà con tutte le funzioni dedicate al menù di gioco, permettendovi di sviluppare la vostra Mother Base direttamente dal dispositivo, ovunque voi siate, anche nel bel mezzo di una missione principale. E voi direte, come sarebbe sviluppare la Mother Base? Esatto, la Mother Base è il vostro quartier generale che produrrà e gestirà tutte le risorse che voi acquisirete in missione, sia materiali sia umane. E’ divisa in diversi dipartimenti che non vi elencherò onde evitare spoiler, ma quello che vi posso dire è che sono tutti con funzioni ben precise e che alle quali è direttamente proporzionale il Fulton Recovery System. Piano, piano. Il Fulton è una delle firme d’autore di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, nonostante non sia il primo capitolo della saga in cui è presente. In pratica si tratta di pallone aerostatico che attaccate alla schiena dei soldati che vorrete arruolare che dovranno essere inermi o addormentati per far sì che possano essere trasportati alla Mother Base, ad un prezzo e con un uso piuttosto limitato che andrete a potenziare in corso d’opera. Non mi addentro ulteriormente perchè non voglio rovinarvi tutte le sorprese, ma sappiate che la Mother Base è un vero e proprio mini-gioco gestionale a tutti gli effetti: ha le sue piattaforme espandibili tramite la moneta del gioco, i GMP, e ha un limite massimo dell’utenza. Inoltre ha le proprie missioni esterne al mondo di gioco e tramite i vari dipartimenti vi fornirà assistenza nel modo migliore possibile, in correlazione a quanta attenzione avrete posto nel portare a casa i soldati migliori e i materiali più pregiati dal campo di battaglia. Tramite lo sviluppo delle varie unità che lavorano alla Mother Base potrete infatti costruire nuove armi, nuovi dispositivi e nuovi oggetti, senza contare le mimetiche e l’innumerevoli personalizzazioni delle bocche da fuoco messe a disposizione. Nel corso della vostra esperienza di gioco sarete invogliati ad arricchirla di oggetti, armi e soldati e ben presto è probabile che l’aspetto gestionale e il progresso che noterete cominci a creare assuefazione, a tal punto che sarete spinti a spedire con il Sistema Fulton qualunque cosa si muova.  In questo modo avrete il vostro esercito personale, da poter dispiegare in missioni esterne e sbloccherete le cosiddette “spalle” che vi accompagneranno nelle vostre uscite, influendo notevolmente l’approccio che andrete ad assumere al cospetto di un avamposto, con la consapevolezza che potrete richiedere il dispiegamento e il congedo delle spalle quando e come vorrete.

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Mentre aggiungo carne al fuoco in questa recensione di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain mi risulta particolarmente difficile non elogiare il comparto tecnico nella sua totalità: dal sistema di illuminazione eccellente ai modelli poligonali dei personaggi principali, che vantano dettagli realizzati con una cura maniacale, degni delle migliori produzioni di questo 2015. Il tutto è scandito a 60 fotogrammi al secondo senza alcun tipo di calo, nemmeno nelle fasi più concitate. In particolar modo il sistema di illuminazione mostra i muscoli mediante l’uso del ciclo giorno-notte che si integra perfettamente nelle meccaniche sandbox di gioco, garantendo un’esperienza nuova persino per le missioni che avete già fatto, costringendovi a cambiare le vostre tattiche in corso d’opera.

Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica, ma non allarmatevi. Ciò che segue è la motivazione che separa Metal Gear Solid V: The Phantom Pain da un voto che evidenzierebbe la perfezione dell’opera: parliamo del modo in cui si sblocca l’epilogo del gioco. Come ho scritto qualche riga più in alto non è mia intenzione spoilerare nulla, tuttavia mi sono trovato di fronte ad una scelta di design insulsa e che non sussiste a livello narrativo. Per farla breve, per sbloccare il vero finale del gioco, sarete pressochè costretti a riaffrontare alcune missioni con dei modificatori di difficoltà applicati, scelta che non ha alcun senso dal punto di vista narrativo poichè si tratta di avvenimenti passati che siamo obbligati a rivivere. Il consiglio spassionato che posso darvi per minimizzare questa sensazione, a tratti persino frustrante, è di fare quante più missioni opzionali fin da subito accompagnandole con la campagna principale e non viceversa.

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Nonostante questo scivolone che comunque ha portato a ponderare diversamente la valutazione finale, non ci sentiamo di penalizzare ulteriormente un’opera quasi ineccepibile che stranamente pecca dove aveva brillato nei capitoli passati. Il comparto narrativo risulta essere strabiliante nella prima parte di gioco e nella sua parte conclusiva, mentre rimane nell’ombra delle missioni secondarie nel corpo centrale del titolo che, per i fan abituati ai Metal Gear Solid lineari, può risultare a tratti dispersivo. Tuttavia si tratta di un’opera mastodontica, che riesce ad abbracciare anche i meno appassionati tramite la sua struttura aperta e totalmente libera e che brilla in tutti gli aspetti e stenta nella parte centrale nell’aspetto principe di questa saga, la quale si conclude con la firma degna del genio del suo creatore. Siamo al cospetto di uno dei migliori stealth game di sempre da avere a prescindere, che gli amanti della saga spolperanno per centinaia di ore e che fremono per l’arrivo del comparto online che sarà sbloccato il 6 ottobre su console e a gennaio 2016 su PC.

Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è un titolo da avere poichè siamo al cospetto di una delle migliori esperienze stealth di sempre, sia per i fan del genere sia per gli amanti della narrativa complessa in un enorme sandbox che vi lascia liberi di agire come meglio credete, dall’inizio alla fine e che vi accompagnerà per almeno 50 ore, qualora vi concentriate solamente sulle missioni principali. L’ultima fatica di Hideo Kojima sale di diritto sul treno dei candidati per il Game of the Year e non intende accontentarsi di un argento.

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