È passato quasi un anno dalla conferenza che apriva ufficialmente l’E3 2015. La teneva Bethesda presso il Dolby Theatre, ove vengono consegnati gli Oscar del cinema. Ironia della sorte, Bethesda era alla sua prima apparizione in una press conference pre-E3 e per molti vinse l’Oscar come miglior conferenza della fiera. DOOM fu annunciato in quell’occasione; io ero lì, presente. Le mani quasi tremavano al cospetto di quella scena in cui il nostro alter ego si infila il casco, strappa ferocemente un fucile a pompa dalle mani gelide di un soldato morto e affetta a suon di pallettoni decine e decine di mutanti. Pausa. Buio. Applausi. La platea del Dolby Theatre si accese, a ritmo dei braccialetti distribuiti precedentemente da Bethesda. A mascella toccante terra finiva quindi il gameplay di DOOM, con la folla incredula a ciò che aveva appena visto. Dopo settimane, e tanti mesi, eccoci qui a raccontare l’ultimo capitolo che non porta con sé numeri o sottotitoli. DOOM. Via quel 4 che a molti fece storcere il naso per via del terzo capitolo, sicuramente il meno amato dai fan. Tuttavia non siamo qui a discutere del passato e delle scelte poco sensate di Carmack e compagnia ai tempi del terzo capitolo. Con DOOM si vuole strizzare l’occhio a quell’utenza rimasta ancorata ai fasti, alle mod, alle mappe di quei primi due capitoli, lontanissimi nel tempo e quasi inafferrabili. Non solo, diranno alcuni. Va da sé che dovendo approdare al cospetto di un pubblico giovane, che porta il nome di PlayStation 4 e Xbox One, sono stati necessari molteplici compromessi. Prima di tutto il gunplay, punto forte della produzione Id Software da sempre. Il feeling con le armi è stato plasmato e adattato, per far sì che si possa provare ad emulare l’inimitabile sensazione che si ha con mouse e tastiera, di fronte ad uno sparatutto come DOOM. Missione compiuta? In parte si, grazie ad una quantità di impostazioni che su console difficilmente si vedono, come il FOV, motion blur e quant’altro. Tutto questo ad un prezzo incredibile, per i puristi del genere. Sono comparse linee guida per proseguire nel livello, mira assistita e una trafila di feature (rimovibili, per carità) che sicuramente sono necessarie per aprirsi alla massa delle console.
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DOOM è tornato più brutale che mai.
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Una volta avviato il gioco, vi si presenteranno davanti tre opzioni: Campagna, SnapMap e Multiplayer. Partiamo dalla consueta epica campagna in single player e vediamo cosa offre. Partiamo col dire che la campagna single player di DOOM è tra le più adrenaliniche e sanguinolente degli ultimi anni. Possiede indubbiamente il pregio di fondere sapientemente il gore con un gunplay notevole e che cattura fin dalle prime battute. Uccidere demoni non è mai stato cosi soddisfacente. Per ragioni di review, abbiamo provato il gioco a difficoltà normale, cavandocela egregiamente senza alcun tipo di problema o inciampo, sintomo che chi cerca una vera sfida dovrà per forza di cose optare per le ultime voci proposte nel menu d’avvio della campagna, tra cui la leggendaria modalità con la morte permanente. Dopo i primi livelli-tutorial, verremo immersi completamente nella monotona ambientazione marziana, che ci porterà a vedere rosso ovunque, tra sangue, terriccio e una palette di colori che fatica a scostarsi dai colori caldi. Qualora vi aspettiate una campagna pregna di narrativa da tutti i pori, “lasciate ogni speranza o voi che entrate”. Al contrario delle campagne alquanto cinematografiche a cui ci ha abituato Call of Duty e affini, in DOOM il gameplay è posto al centro della scena. Sparare, esplorare, sparare. Come avrete capito dunque spareremo spesso, esploreremo e se proprio volete sapere che diamine è successo a ciò che resta dell’umanità, potrete aprire il menu e consultare le lunghe descrizioni presenti nei log sparsi nei livelli. Un fattore che, proprio come l’accentuata accessibilità, spaccherà le masse è la gestione dei segreti nelle mappe di gioco. L’esplorazione non è del tutto intuitiva, al contrario il giocatore viene sottoposto alla ricerca dei segreti tramite indicazioni precise di dove essi si trovino, lasciando al giocatore il “come arrivarci”. Non preoccupatevi: ben presto la sensazione di appagamento vi coglierà lo stesso, nonostante sappiate già dove si trovino i segreti del livello, e adesso vi spieghiamo il perché.
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La campagna di DOOM è una delle migliori degli ultimi anni.
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Scovare tutti i pupazzetti, i potenziamenti e i punti arsenale può trasformarsi ben presto in una malattia ossessivo-compulsiva che vi porterà a setacciare ogni angolo della mappa per arrivare a prendere il 100% per ogni livello. La trovata di Id Software è semplice e funzionale: sbloccato un segreto, ti premio con un potenziamento spendibile per armatura/arma. Non scendiamo nel dettaglio, se non dicendovi che non ve la caverete con poco: i segreti infatti sono divisi in categorie, accuratamente segnalate con la legenda nella mappa 3D nel menu di pausa all’interno della campagna. Dopo meno di un’ora di gioco, saprete distinguere senza problemi quale segreto conviene sbloccare per ottenere modalità di fuoco secondarie, perk validi sulle armi, oppure buttarsi sul potenziamento armatura, che a sua volta vi costringerà a pensare sul dove spendere i vostri punti. E fu cosi che anche DOOM divenne un gioco di ruolo con simil skill-tree. Ciò che impressiona è la profondità raggiunta dal titolo quando si parla di variabili delle armi. Banalmente, con un fucile a pompa posso ottenere due varianti di fuoco secondario e scegliere come spendere i punti potenziamento (se li trovo) per sbloccare ulteriori perk per quella modalità di fuoco specifica. Tuttavia, non è da meno l’arsenale e la varietà delle bocche da fuoco proposte, con una dozzina di armi circa. Oltre a questo, la campagna vi terrà incollati a sparare per un numero di ore che possono oscillare tra 14 e per i novizi, anche 20 ore. Avete ancora dubbi? Ottimo, perché è solo l’inizio.
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Il multiplayer fonde elementi di un fps arena e trae spunti da altri prodotti moderni.
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Messa da parte la campagna, ci siamo fiondati sul multiplayer competitivo per mettere alla prova i nostri riflessi e ne siamo usciti decisamente più soddisfatti rispetto alla beta di qualche settimana fa. Qui, DOOM è cambiato, radicalmente. Chi si aspetta un purissimo fps arena rimarrà fortemente deluso da diverse scelte di game design, tra le quali abbiamo scelto la maggiormente iconica: la possibilità di creare loadout personalizzati, come su Battlefield o Call of Duty. Fondamentalmente ci troviamo davanti ad uno shooter ibrido, in grado di incanalare la velocità d’esecuzione di un fps arena e la customizzazione di un’arcade. Il sistema di Dotazioni avvicina infatti il titolo ai recenti blockbuster dell’industria, tuttavia il sistema di movimento, la scelta di non poter ricaricare e i power up sparsi per tutta la mappa vi faranno immediatamente dimenticare i nomi sopracitati e vi restituiranno il feeling tipico della serie. Sappiamo che è brutto da dire, ma andava fatto. Aprendosi al mondo console, era un’ipotesi da tenere in considerazione ed in Bethesda il messaggio è suonato forte e chiaro. Portare su console la copia di Quake Arena non avrebbe portato alcuna possibilità di sposare quel gameplay con il joystick di PlayStation 4 e Xbox One. Riguardo il bilanciamento del multiplayer, ciò che ci aveva fatto storcere fortemente il naso era la supremazia netta del Revenant, in sede di beta del titolo. Nel codice finale su cui abbiamo messo le mani i demoni utilizzabili sono stati profondamente rivisti e attualmente si possono affrontare e uccidere senza troppi fronzoli, al contrario della beta. Tuttavia, se pensavate che ci fosse solo il Revenant a rappresentare i demoni nel multiplayer, vi sbagliavate di grosso, perché gli sviluppatori hanno aggiunto una manciata di demoni da poter utilizzare, con potenza e abilità profondamente diverse.
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SnapMap è un editor facile da usare, difficile da padroneggiare.
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A chiudere il possente pacchetto ci pensa SnapMap, modalità editor che vi metterà nei panni di un level/map designer. Potrete sbizzarrirvi e creare decine e decine di varianti di mappa con un sistema di editor piuttosto intuitivo che, qualora padroneggiato, creerà una fucina di livelli facendo schizzare la longevità ad un valore prossimo all’infinito. Tecnicamente fluidissimo, ma senza artifici e texture strabilianti, DOOM è lo sparatutto più immediato che sia presente sul mercato. L’unico appunto che gli si può muovere ai ragazzi di Id Software dal punto di vista tecnico è di un pop-in veramente marcato per tutta la durata della campagna e talvolta del multiplayer. L’engine fatica spesso a caricare i modelli in lontananza ed è il motivo per cui conviene lasciare predefinita l’impostazione del motion blur. Se è stato un sacrificio dovuto per i 60fps granitici, glielo possiamo anche parzialmente perdonare. Chi ha giocato DOOM I & II mi ha capito perfettamente. Sono sensazioni inspiegabili, ma quando imbraccerete il primo shotgun e farete a pezzi le prime orde di demoni, lo avrete fatto vostro. DOOM è questo: uccidere per il semplice gusto di farlo. La soddisfazione che avrete come ricompensa è un qualcosa che va oltre, difficile da spiegare e apparentemente persa, nello scenario degli sparatutto moderni.
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