Ad essere sinceri, questa recensione ha origini molto più remote di quanto si possa pensare: più di dieci anni fa, quando ancora, chi scrive, era un giovanotto delle scuole elementari, girava una fantomatica leggenda circa l’esistenza di un gioco di Pokémon per la mitica e storica prima PlayStation. A quel tempo, l’ignoranza aleggiava suprema nelle menti di molti consumatori e la storia sembrava plausibile, tanto da spingere il sottoscritto alla ricerca del titolo in questione, un po’ come se fosse il mio Santo Graal giovanile. Chi si approfittava di questa “corsa all’oro” erano ovviamente i “rivenditori non autorizzati” (chiamiamoli così), che con un guizzo di genio imprenditoriale, avevano portato in Italia una vagonata di dischi su cui capeggiava il bel faccione di Ash e quello del fedele compare, Pikachu. Puntualmente, ad ogni acquisto seguiva la corsa a casa per provare il tanto atteso gioco a cui, ovviamente, seguiva poi l’amara scoperta: niente Pokémon, ma bensì un gioco alieno su degli impostori, i Digimon, che facevano il verso ai miei mostriciattoli preferiti. Venti acquisti e verifiche dopo, pur ancora non conoscendo bene quale fosse questo “nemico” che osava spacciarsi per Ash e compagni, si sviluppò in me una sorta di trauma, un recondito odio nei confronti del nemico. Io volevo Pikachù, e i Digimon mi avevano privato di questa possibilità .
Al di là dei gusti personali, è innegabile come la serie, apprezzatissima in patria, abbia avuto una fortuna altalenante in occidente. Quindi, a distanza di più di una decade da quando, per essere accettati, i Digimon dovevano spacciarsi per i Pokèmon, ci troviamo qui a rispondere ad una domanda: saranno riusciti i Digital Monster a trovare il loro spazio in quello che dovrebbe essere, per natura, il loro regno (quello digitale)?
Partiamo con le ovvietà che però fungeranno da rassicurazioni per chi è poco vicino all’universo dei vari “Tai, Matt, Sora, Izzy, Mimi, e Joe“: Digimon Story: Cyber Sleuth ha una storia originale che può essere goduta e apprezzata anche da chi non ha mai visto il cartone di riferimento. Ci troviamo in un Giappone contemporaneo, una realtà verosimile in cui l’interazione con il mondo digitale risulta essere la nuova frontiera: EDEN, questo è il nome della terra promessa, una versione evoluta e potenziata di Internet, in cui l’utilizzatore può interagire un po’ come se fosse una realtà virtuale, in cui entrare e vagare liberamente in compagnia degli altri internauti. Ovviamente, non è tutto oro ciò che luccica, e oltre l’appariscente splendore del mondo virtuale, trova posto una realtà pericolosa, fatta da hacker, l’EDEN Syndrome, una malattia che lascia incoscienti gli utilizzatori del sistema EDEN e creature aliene chiamate Eater, che si cibano di grandi quantità di dati. Il protagonista e i suoi gregari, verranno tutti, chi per un motivo e chi per un altro, coinvolti in queste oscure macchinazioni, che non solo rischiano di mettere in pericolo l’idilliaco mondo di EDEN, ma anche, e soprattutto, quello reale.
Se all’apparenza, la storia può sembrare partire da basi banali, beh, sappiate che… in effetti è così: c’è il classico mondo virtuale, c’è la classica tematica della pericolosità di un’interazione troppo assidua con i mondi fittizi, c’è la classica corporazione misteriosa e tanti altri stilemi del genere. Un’impostazione classica, quindi, ma che non deve trarre in inganno: Digimon Story: Cyber Sleuth ha infatti un comparto narrativo degno di apprezzamento e rispetto. Non ci troviamo di certo di fronte ad una sceneggiatura da Oscar, ma il peso della storia si fa sentire, con una serie di colpi di scena davvero azzeccati posti a metà della progressione e verso il finale, per quanto alcuni di questi possano sembrare un po’ simili ad alcuni visti nelle serie quattro e cinque dei Digimon. A supporto della trama, vi è un cast di personaggi primari e secondari tratteggiati in maniera discreta, ognuno con qualche segreto da rivelare nel corso della nostra avventura all’interno del mondo digitale e che, al di là di quanto si possa o meno apprezzarne il carattere, sapranno sicuramente mantener vivo l’interesse del giocatore nei confronti degli accadimenti a schermo. Paradossalmente, l’unica sporcatura di questo distinto concerto di attori e trama, è proprio lui (o lei), il protagonista: essere a metà tra il passivo e muto eroe e il silenzioso ma partecipe protagonista dei vari Persona. In Digimon Story, infatti, abbiamo sia il classico alter’ego privo di parola, i cui pensieri e espressioni verranno spesso riassunti da altri, ma anche uno che di tanto in tanto si esibirà in monologhi interiori o lascerà al giocatore la possibilità di fare delle scelte in merito a come rispondere agli interlocutori. Sulla carta, la cosa sembrerebbe anche interessante, se non fosse che questo approccio “ibrido” in realtà non è né carne né pesce e, i momenti in cui veniamo chiamati a prendere attivamente parte nello svolgimento della trama sono in realtà  del tutto inutili ai fini del l’evolversi della stessa. Un vero peccato, considerando come alcune scene della storia avrebbero forse potuto giovare di un’interazione più marcata, ma niente comunque che possa affossare il corale e complessivo ottimo lavoro sopra citato.
Al di là di apprezzare una bella storia e dei personaggi ben studiati, quindi, cosa si fa in Digimon Story? Possiamo dire che il gioco ha un’anima bipartita composta da due sezioni che spesso si intersecano tra loro, lasciando l’una il posto all’altra. In primo luogo troviamo la parte esplorativa in cui, in quanto “Watson” della procace detective Kyouko Kuremi, verremo chiamati ad indagare su diversi casi, opzionali o non, interagendo con vari personaggi o aggirandoci location del mondo reale e/o digitale. Questa parte, che per fortuna non risulta mai troppo prolissa, è forse la meno riuscita della produzione, vedendoci spesso far da galoppino, ad esempio, tra i negozi di Nakano o le strade di Shinjuku, cercando disperatamente la persona giusta con cui parlare. Per fortuna, a mettere un po’ di pepe su questa parte che altrimenti si potrebbe riassumere con un “arriva al punto A, leggi il dialogo, rispondi ad un sms di un Digimon (si, mandano gli sms) raggiungi il punto B, leggi il nuovo dialogo, incassa la ricompensa” c’è il “contesto”, le varie sottotrame, i casi, e gli sviluppi della trama principale, senza menzionare il fatto che, come detto, questa sezione di gioco va a braccetto con quella seguente: l’interazione con i Digimon. Non sarà infatti una sorpresa, ma i mostriciattoli digitali sono il cuore pulsante di questa produzione, un organo vivo e forte, solido e divertente. Gli spunti offerti dai Digital Monster sono prettamente bellici, vedendoci affrontare battaglie tre contro tre in un classico sistema di combattimento a turni con incontri casuali.
Di base, la parte combattiva del titolo risulta essere abbastanza conservativa, preferendo infatti offrire un sistema di scontro solido e rodato piuttosto che uno estraniante e originale: ogni Digimon ha la sua natura, stesso discorso per gli attacchi, in un’impostazione simil “carta-forbice-sasso” che, con tre semplici varianti, ci fa comprendere in maniera semplice e funzionale quanto otterremo bonus o malus in uno scontro. Se di base quindi, non c’è nulla di nuovo sotto il “Sole virtuale”, in realtà  ci sentiamo di premiare questa impostazione di gioco in quanto accompagnata, nei giusti spazi, da novità , prese di posizione, e approfondimento qualitativo degno di nota. Non vi basta infatti sapere che nel gioco sono presenti circa 250 Digimon, tra evoluzioni e creature normali? Allora vi farà piacere sapere che ogni ramo evolutivo ha i suoi requisiti da soddisfare (generalmente regolati in base al livello e le statistiche del Digimon) prima di essere intrapreso, o che ogni creatura ha la possibilità di evolversi in più mostri differenti, decisione che incoraggia la sperimentazione. Se spesso questa varietà di soluzioni si traduce nell’esigenza di un farming estremo, che costringe il giocatore a lunghe sessione di caccia ai mostri, qui il problema è stato sapientemente evitato con la possibilità di portare in battaglia, in base ad un parametro che crescerà nel corso del gioco, un numero crescente di riserve che possono scendere in campo all’occorrenza o prendere esperienza insieme al trio di Digimon principali. Qualora invece vi fosse l’esigenza di allenare i Digimon in maniera più mirata o semplicemente mettere a frutto la presenza di creature inattive in nostro possesso, ci corre in soccorso la DigiFarm, uno spazio in cui la nostra squadra può sviluppare oggetti, aumentare le proprie statistiche o persino andare a caccia di missioni secondarie. Tutto questo è impreziosito da una progressione ben bilanciata, che permette addirittura al giocatore di scegliere liberamente, in ogni momento, il livello di difficoltà e che, soprattutto nelle fasi iniziali di gioco, elargisce al giocatore una generosa quantità di risorse (esperienza e soldi), in modo da invogliarlo a iniziare a giocare con equipaggiamento e evoluzioni dei vari Digimon. Certo è, però, che per i veterani del genere, forse, il gioco risulterà fin troppo facile anche alle difficoltà più elevate e che, superata una certa fase di gioco, vi basterà avere un party variegato per tipologia di Digimon e attacchi per cavarvela facilmente.
Gameplay solido quindi, storia ottima, ma ovviamente, anche l’occhio (e l’orecchio!) vogliono la loro parte. Su questo fronte, possiamo dire che Digimon Story si applica, ma come il più classico degli scolari, potrebbe fare molto di più. Il comparto sonoro fa infatti il suo lavoro senza riuscire a lasciare il segno nella memoria del giocatore, che, molto probabilmente, difficilmente riuscirà a ricordare con precisione una qualunque delle melodie presenti nella colonna sonora. Non si fraintenda, il gioco presenta un accompagnamento musicale azzeccato, specialmente nelle parti “digitali” dell’avventura, ma la cosa finisce lì, risultando sottotono rispetto ad altre produzioni del genere. Anche dal punto di vista grafico, il risultato è abbastanza controverso, presentando tutto il peso di uno sviluppo cross-platform tra PlayStation Vita e PlayStation 4 che, seppur possa risultare gradevole a colpo d’occhio, perde di fascino nei dettagli. Ovviamente, questo sarà un problema di relativa importanza per chi, probabilmente, approccia un gioco come questo, ma è importante sottolineare come i limiti tecnici siano accompagnati da alcune fastidiose sporcature, su tutte l’impossibilità di muovere liberamente la telecamera di gioco. La maggior parte delle volte, questa mancanza è ovviata da un level design oculato, che non fa sentire assolutamente la necessaria di spostare la prospettiva, ma, purtroppo, soprattutto durante le nostre gite a Tokyo, sarebbe stato comodo godere di questo lusso. A bilanciare questi difetti, ci pensa per fortuna lo stile dei Digimon, dei personaggi e delle location, che pur non facendo gridare al miracolo per originalità , risulta molto accattivante e azzeccato. Degno di lode è, per l’appunto, il tratto con cui è caratterizzato EDEN, che prendendo un po’ (forse un po’ più di un “po’”) spunto dal mitico film d’animazione Summer Wars e attinge a piene mani dall’eredità del secondo film di Digimon, proponendo una visione creativa e affascinante del cyber-spazio.
Digimon Story: Cyber Sleuth è stato, in definitiva, un azzardo. Ne è passato di acqua sotto i ponti da quando i mostri digitali erano costretti a nascondersi dietro Ash e Pikachu, ma ancora oggi, in occidente, la serie non ha raggiunto il successo sperato. Sorprendentemente, Bandai Namco ha deciso di credere in questo nuovo prodotto e, per festeggiare i 15 anni della serie ha scommesso sul “cavallo Digimon Story”. Ha fatto bene? Nonostante i limiti tecnici dell’opera, la mancanza di reali innovazioni e una mancanza di sfida marcata, possiamo affermare di si. Forte di una progressione studiata in maniera certosina, una trama degna di nota e un quantitativo di contenuti più che notevole, Digimon Story: Cyber Sleuth riesce infatti a presentarsi come un’opera forte di una propria identità personale che non solo farà felici i fan della serie, ma che potrebbe riuscire ad intrattenere anche i giocatori che non hanno mai conosciuto prima il mondo dei mostri digitali e che cercano un’esperienza solida ma che di certo non andrà a rivoluzionare il genere.