Indiana Jones e l’Antico Cerchio Recensione: il cuore indomito di un archeologo

Indiana Jones e l'Antico Cerchio

Il mio legame con Indiana Jones inizia un pomeriggio non precisato della prima metà degli anni ’80, con i meccanismi del videoregistratore che fagocitano una videocassetta acquistata la mattina stessa, il rumore delle testine che si allineano facendo scorrere il nastro, il tremolio dell’immagine sullo schermo del televisore grande in sala da pranzo e il fascino ipnotico del logo della Paramount che sfuma per rivelare i contorni di una montagna dell’America del Sud, mentre le prime note della colonna sonora di John Williams riempiono l’aria. Sprofondato in mezzo ai cuscini verdi del divano di casa dei nonni, con mio zio seduto accanto e una grossa fetta di pane e olio poggiata su un piatto che tenevo in grembo, ricordo l’angoscia provata durante l’esplorazione del tempio peruviano, compreso l’orrore della scena con i ragni che mi ha spinto a coprire gli occhi con le mani finché, ridacchiando, il fratello di mio padre disse che potevo toglierle perché se n’erano andati, e poi la sparatoria nel bar di Marion, la disperata ricerca di quest’ultima fra le bancarelle del Cairo, il combattimento a bordo dell’aereo nazista, l’inseguimento dei camion che trasportavano l’Arca dell’Alleanza e, naturalmente, l’indimenticabile finale con la stessa che veniva incautamente aperta dall’odioso Belloq. Forse quest’ultimo era un po’ eccessivo per un bambino di 8-9 anni, ma anch’esso divenne parte indivisibile di un mosaico che sugellò per sempre il fascino sempiterno che il richiamo dell’avventura avrebbe esercitato su di me.


Indiana Jones e l'Antico Cerchio
Visto da vicino, l’idolo d’oro non sembra nemmeno tutto questo granché…

Tuttavia, quando si tratta di adattamenti videoludici, spesso il cuore dell’appassionato è costretto a scontrarsi con la mente del critico: non di rado, infatti, i videogiochi ispirati a film o serie TV di successo si sono rivelati dei semplici veicoli commerciali, privi di qualsivoglia ambizione artistica. Questi titoli, che sovente ricadono nella poco lusinghiera categoria degli shovelware, ossia prodotti “spalati” sul mercato in grandi quantità, si limitano a sfruttare la popolarità di un nome o un marchio, riproponendo personaggi e ambientazioni famose in contesti ludici davvero poco originali o meritevoli. Ebbene, Indiana Jones e l’Antico Cerchio ha provato a prendere nette distanze da questo modello sin da quando Bethesda e MachineGames ne annunciarono la lavorazione nel 2021. Con un comparto audiovisivo da colossal cinematografico, il titolo propone un open world singolare, caratterizzato da una specifica enfasi sullo stealth, il combattimento corpo a corpo e la risoluzione di enigmi. Certo, una produzione di questo calibro, basata su un franchise tanto amato come Indiana Jones, presta il fianco a sfide gargantuesche: il team di sviluppo svedese ha dovuto cercare un equilibrio delicato tra il rispetto incondizionato per l’opera originale e l’introduzione di elementi innovativi, evitando di proporre un semplice rifacimento digitale dei film. Inoltre, si sono necessariamente dovuti misurare con l’eredità lasciata da classici amatissimi dalla comunità come Indiana Jones and the Fate of Atlantis, nonché con l’influenza di franchise come Tomb Raider e Uncharted i quali, pur ispirandosi alle gesta del professor Henry Walton Jones Jr., hanno ridefinito il genere delle avventure archeologiche. Eppure, Indiana Jones e l’Antico Cerchio supera brillantemente la prova. Nonostante alcuni elementi di gameplay possano risultare un po’ ripetitivi, il gioco riesce a conquistare grazie a una presentazione visivamente sbalorditiva, un mondo ricco di dettagli e una trama avvincente e ricca dell’umorismo tipico della serie. L’esperienza complessiva è un autentico ossequio alla trilogia cinematografica di quarant’anni fa, e regala a tutti gli estimatori un’epopea digitale indimenticabile.

Il fascino pittoresco della Città Eterna al chiaro di luna

Indiana Jones e l’Antico Cerchio: speriamo di non combinare guai

L’anno è il 1937, Indiana Jones ha già predato l’Arca Perduta e sgominato i cultisti del Tempio Maledetto, ma non ha ancora indagato sul Sacro Graal dell’Ultima Crociata. Dopo un breve flashback introduttivo che ci fa vivere in prima persona la famosa estrazione dell’idolo d’oro dal tempio sacro degli hovitos, il professor Jones viene inaspettatamente distolto dai preparativi per gli esami di metà anno quando un uomo gigantesco irrompe nell’ala dei reperti egiziani del Marshall College e ruba la mummia di un gatto. L’indagine sul furto lo, e ci, porta a compiere un giro lungo il cosiddetto Antico Cerchio, un anello di siti archeologicamente significativi disseminati in tutto il mondo che ospitano antichi manufatti, al cui interno pare sia custodito un grande e misterioso potere. Queste voci hanno attirato naturalmente l’attenzione dei nazisti, trascinando Indy in una corsa contro il tempo per assicurarsi gli artefatti prima che cadano nelle mani sbagliate e possano alterare il corso di un’imminente guerra mondiale. La narrazione generale, raccontata principalmente attraverso sequenze non interattive di varia lunghezza che fungono da ricompensa per il completamento dei vari obiettivi, svolge un lavoro perfetto nel riprodurre il tono intrepido e scanzonato che ha reso celebri le pellicole. La sceneggiatura è costellata di battute taglienti e giochi di parole dozzinali, oltre che di innumerevoli riferimenti più o meno velati a diversi momenti dei film che risulteranno familiari anche ai fan occasionali. Indy sfoggia la sua consueta e carismatica miscela di ardimentoso scavezzacollo e professore un po’ imbranato: un attimo è lì a contemplare la provenienza geografica di alcuni reperti sparpagliati sul pavimento del museo universitario, quello successivo lo ritroviamo a dondolare con la frusta tra le rovine di un santuario dall’aspetto estremamente cedevole, quello dopo ancora è alle prese con un indovinello ancestrale che mette a dura prova le sue conoscenze dei testi antichi e così via, in un carosello di incredibili e quasi miracolistiche prove di forza e intelletto.

Indiana Jones e l'Antico Cerchio
Il maggiore Emmerich Voss è lo spietato collezionista di manufatti occulti del Terzo Reich

Il tutto funziona in buona parte grazie all’eccellente interpretazione vocale di Alessandro D’Errico nel ruolo di Jones, che in qualche modo riesce ad essere un convincente incrocio tra Harrison Ford e Michele Gammino, il suo storico doppiatore italiano. Anche la musica ha un ruolo importante nel dare il tono giusto alle vicende, piena di ottoni e archi carichi di tensione che sfumano e si spengono in perfetta sincronia con l’azione che si svolge sullo schermo. Il gioco mostra anche una certa sobrietà nell’uso parsimonioso del famoso tema di Indiana Jones, che ho finito per canticchiare più spesso di quanto non l’abbia effettivamente ascoltato nella colonna sonora. Ad accompagnare Indy troviamo Gina Lombardi, giornalista investigativa che il nostro incontra in Italia, e che maturerà nei suoi confronti un interesse non soltanto professionale. Gina è doppiata da Gaia Bolognesi, laddove in inglese è stata Alessandra Mastronardi a prestarle tanto la voce quanto i lineamenti: un peccato che non abbia potuto fare altrettanto per la versione italiana, senza nulla togliere alla bravissima Bolognesi, ma evidentemente le tempistiche non l’hanno permesso. Le sequenze migliori della storia vedono comunque Emmerich Voss come protagonista, lo studioso nazista che si contrappone a Jones e ruba letteralmente la scena a tutti gli altri personaggi ogni volta che viene inquadrato: dalla sua ossessione per le forme del cranio alle sue diatribe sull’inferiorità della cultura americana, Voss è il contraltare perfetto per la genuinità spicciola e autoironica di Indy, impreziosito dal contributo di Maurizio Merluzzo che ormai sembra ci abbia preso gusto nel recitare la parte del cattivo. Quando il racconto precipita in un inevitabile groviglio di misticismo arcano pseudo-religioso, diviene evidente quanto non voglia prendersi troppo sul serio, ma con ogni probabilità vi starete divertendo troppo per preoccuparvi della plausibilità del contesto.

Pailin è una valorosa combattente della resistenza tailandese

Che cosa ti porta in Vaticano, Indy?

Tra un intermezzo e l’altro, talmente ben strutturati che da soli potrebbero costituire la base per almeno altri due film di Indiana Jones, di quelli fatti con criterio s’intende, c’è anche un vero e proprio gioco interattivo da approfondire, che si sviluppa principalmente su tre grandi mappe aperte dalle dimensioni ragguardevoli, lungo le quali le fasi di esplorazione libera vengono intervallate da sequenze più brevi e lineari. Seguendo la storia che ci porta a visitare questi luoghi, procederemo da un lato all’altro dei livelli sempre alla ricerca di qualcosa, da una semplice chiave per sbloccare una serie di porte a un oggetto mistico da incastonare in un punto specifico, recuperando curiosità e collezionabili lungo il tragitto. Inutile negarlo, si tratta di missioni di recupero del tipo più elementare che possiate immaginare, ma presentate in una maniera un po’ diversa dal solito: anzitutto, una volta arrivati a destinazione, spesso dovremo svolgere qualche perlustrazione non guidata per trovare il gingillo nascosto o il punto di accesso segreto di cui abbiamo bisogno. Nel migliore dei casi, queste parti esplorative mi hanno fatto sentire più come un detective archeologico che come il solito protagonista passivo obbligato a seguire una sfilza di punti di interesse; nel peggiore, ho trascorso un ammontare quasi intollerabile di minuti a cercare l’oggetto richiesto nella zona indicata, salvo infine accorgermi che la mia compagna era in piedi proprio accanto allo stesso nascondendolo dalla mia visuale. Tenetelo bene a mente, perché potrebbe capitare più spesso di quanto vorreste.

Percorrendo la topografia in questo modo scopriamo lentamente la vastità degli ambienti di gioco, che spesso si estendono al di là di ciò che appare sulla mappa, fino a edifici a più piani e gigantesche caverne sotterranee. Individuare i percorsi migliori per navigare questi spazi labirintici, che possono richiedere di arrampicarsi sui tetti o di strisciare sotto le caserme nemiche, è parte integrante del divertimento. Attraversando la mappa, ci si imbatte immancabilmente in una serie pressoché infinita di missioni secondarie opzionali, misteri e “lavori sul campo”, di cui si tiene traccia in un diario aggiornato in maniera dinamica. Sebbene vi siano dei tentativi di giustificare la trama di ognuno di questi incarichi opzionali, quelli che ho portato a termine si sono rivelati molto meno avvincenti della trama principale, che sembra di fatto aver assorbito la maggior parte dell’attenzione degli sceneggiatori. Durante l’esplorazione, una piccola icona nell’angolo dello schermo ci segnala la possibilità di scattare foto, che possono a loro volta rivelare importanti dettagli di trama o di contesto per gli enigmi. Per quanto si tratti di semplici scuse per apprezzare l’architettura e gli ambienti ben progettati del gioco, sono riuscito tutto sommato ad apprezzarli nell’economia complessiva, anche se mi hanno fatto sentire più un villeggiante qualsiasi che un eroico e spavaldo archeologo.

Indiana Jones e l'Antico Cerchio
Indiana Jones e la Gita Turistica al Vaticano

Ormai dovreste saperlo, io ho sempre il controllo

Purtroppo, la possibilità di esplorare liberamente gli ambienti di Indiana Jones e l’Antico Cerchio viene spesso ostacolata da folti gruppi di soldati nazisti e fascisti in pattuglia. A volte si può indossare un travestimento per camminare in mezzo a loro senza essere visti, ma anche in questo caso alcuni nemici possono individuarci tra la folla, cosa che non ero riuscito a comprendere fino a quando non sono stato manganellato qualche volta di sorpresa. Mentre non indossiamo un travestimento, passeremo molto tempo inginocchiandoci e scivolando furtivamente appena fuori dal cono visivo dei soldati, o aspettando con pazienza che si spostino per poter sgattaiolare attraverso un passaggio sicuro. Rimanere invisibili consente anche di neutralizzare silenziosamente i miliziani presi alle spalle, arrivando persino a spingere le sentinelle ignare giù dalle sporgenze con una mossa estremamente spassosa che non stanca mai. Quando le nostre capacità furtive vengono meno in mezzo a un nutrito schieramento di nemici, la cosa migliore e più semplice da fare è correre subito a nascondersi. Fortuna vuole che la stragrande maggioranza dei nemici siano straordinariamente inetti come inseguitori: giriamo un paio di angoli, ci accovacciamo in un vicolo buio e di solito perderanno rapidamente le nostre tracce. Quantunque abbia apprezzato il fatto che venire individuati non fosse una condanna a morte immediata, la facilità con cui sono riuscito a superare in astuzia questi gendarmi ha reso la componente stealth molto meno stressante del previsto.

Qualora venissimo individuati da un gruppo di uno o due soldati nemici, siamo costretti a menare le mani in prima persona, una componente che trae forte ispirazione dai precedenti lavori degli sviluppatori sui due Chronicles of Riddick di inizio 2000. Gli scontri di solito si svolgono come la partita di Punch-Out!! più telegrafata del mondo: restiamo in attesa di un pugno segnalato da ampie movenze, eseguiamo un veloce contrasto o una schivata e rispondiamo con una serie di pugni rapidi e fragorosi, dopodiché si ricomincia fino a quando l’avversario non cade a terra. È possibile ravvivare un po’ le cose disarmando o sbilanciando le guardie con la frusta oppure afferrando un’ampia varietà di oggetti nelle vicinanze da impiegare come armi improvvisate. Dopo un po’, però, tutte le scazzottate iniziano a sembrare piuttosto banali e poco memorabili. La prima volta che atterriamo un nazista a colpi di sturalavandini è esilarante. La quinta volta un po’ meno. Figuratevi la centesima. Per quanto sia anche possibile estrarre il fidato revolver per sparare semplicemente ai nemici, il frastuono che i colpi provocano di solito attira l’attenzione dei nemici in modo così sgradito che raramente ne vale la pena. A parte una manciata di sezioni obbligatorie in cui il gioco ci costringe praticamente a un tiro al bersaglio, non ho sentito la necessità di fare uso delle armi da fuoco, che restano utili ma non entusiasmanti quanto gli scontri a mani nude. Indiana Jones e l’Antico Cerchio non è certo un gioco a tinte horror, ma presenta alcuni momenti di autentico terrore quando dovremo fronteggiare antagonisti più formidabili di un semplice soldato. Non voglio svelare troppo, ma chi ha paura delle creature sottomarine, del buio o degli spazi ristretti troverà alcune parti del gioco incredibilmente tese.

“Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro.”

Non vuoi andare a fondo di questa storia?

Le parti de L’Antico Cerchio che ho apprezzato maggiormente sono state quelle in cui non dovevo preoccuparmi della furtività o del combattimento e ho potuto invece concentrarmi sull’esplorazione di enormi rovine sotterranee. Queste sezioni presentano alcune delle sfide di navigazione più interessanti del titolo, nelle quali guardarsi intorno e capire come raggiungere l’obiettivo successivo è già di per sé coinvolgente. Per fortuna, il gameplay in stile Uncharted, dove ogni appiglio e ogni salto sono evidenziati da segnaletica quasi stradale, qui è solo un lontano ricordo. Tali momenti esplorativi vengono interrotti da occasionali rompicapo obbligatori, di solito incentrati su ancestrali macchinari in pietra sorprendentemente astrusi, uno dei marchi di fabbrica di Indiana Jones, che richiedono di sistemare gli ingranaggi giganti in modo da far scattare le serrature, mettere la reliquia giusta nel punto giusto, fare luce su alcuni emblemi con una successione di specchi e così via. Se abbiamo giocato a un qualsiasi action adventure simile conosciamo già la procedura, ma in caso contrario non richiederà comunque particolare impegno se osserviamo con attenzione ciò che ci circonda e impariamo a collegare logicamente gli indizi visivi, per quanto semmai ci trovassimo in seria difficoltà potremmo fare qualche scatto con la fotocamera e ottenere suggerimenti preziosi a cavarci d’impaccio.

Le attenzioni negative attirate a pochi giorni dal lancio dai requisiti di sistema relativamente elevati che Bethesda ha pubblicato sui suoi social, tra cui era compresa la necessità di GPU dotate di una qualche forma di accelerazione ray-tracing in tempo reale, mi avevano fatto temere per la qualità dell’ottimizzazione. Timori rivelatisi poi abbastanza infondati, poiché con una macchina dotata di un AMD Ryzen 7 5800X, una scheda grafica NVIDIA GeForce RTX 3060 e 32GB di RAM DDR4, dunque grossomodo a metà strada tra la configurazione minima e quella consigliata, l’ID Tech Engine ha tenuto fede alla promessa di farmi vivere l’intera avventura a 60 fps costanti, patendo in minima parte un po’ di stuttering durante il caricamento ambientale e con qualche occasionale episodio di pop in dei poligoni sulla lunga distanza. Parimenti, e con le dovute proporzioni, le performance su console si sono confermate godibili e consistenti per quasi tutta la durata delle peripezie di Indiana Jones, che si attesta intorno alle 25-30 ore se vogliamo completare solo una manciata delle mansioni secondarie in cui ci imbatteremo, oppure qualcosa di più nel caso l’intenzione sia quella di scoprire ogni singolo segreto del gioco. Nel complesso, a parte le summenzionate incertezze grafiche, il lavoro svolto da MachineGames è lodevole su qualsiasi piattaforma e si accorda magistralmente alla superba direzione artistica, conferendo all’intera produzione un eccezionale taglio cinematografico che non contrasta affatto con le sue meccaniche ma, anzi, le arricchisce e le completa.


A dispetto di qualche piccola sbavatura nel gameplay, Indiana Jones e l’Antico Cerchio è un’avventura archeologica impeccabile che cattura e coinvolge fino in fondo. Le sequenze più emozionanti, i colpi di scena e i dialoghi brillanti riescono a farci rivivere la magia dei film come pochi altri adattamenti hanno saputo fare in passato. Anche quando ci troviamo di fronte a enigmi poco stimolanti o combattimenti ripetitivi, la voglia di proseguire rimane sempre alta. La curiosità di scoprire cosa si cela dietro l’angolo, di esplorare nuove rovine e di assistere alle prossime battute della trama è un motore inarrestabile, mi auguro davvero poter giocare molti altri titoli della medesima caratura dedicati alle storie mai raccontate del professor Jones.


 

V MENSILE
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V008 Mensile
Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.