Vigamus

Piazza Rossa – V mensile: Il Vigamus è morto! Evviva il GAMM

Abbiamo spesso affrontato su queste pagine il tema dell’importanza culturale, politica e sociale delle opere multimediali interattive, aka videogiochi. O, almeno, sulla potenziale importanza che dovrebbero giorno dopo raggiungere e i metodi che ognuno di noi può attuare affinché ciò un giorno accada. C’è ad esempio chi, come noi, prova a sfruttare il videogioco per azzardare analisi socioculturali di più ampio respiro, toccando temi come il lavoro, la scuola, l’arte. C’è chi lo fa attraverso video su YouTube e dirette su Twitch, cercando di svincolarsi dalla solita mezz’ora di intrattenimento spicciolo e creando invece contenuti che offrano opinioni, considerazioni fuori dal coro e che portano al dibattito. C’è chi lo fa lavorando direttamente alla fonte, programmatori e addetti ai lavori che decidono di dare un taglio politico, culturale, profondo alle proprie opere. C’è poi chi, come Marco Accordi Rickards e Raoul Carbone, decide di aprire musei. C’è chi decide di dedicare gli anni migliori della propria vita, i propri soldi, la propria salute in un progetto che oggi possiamo dichiarare maestoso e imponente, ma che quindici anni fa nessuno avrebbe considerato altro se non un sogno folle e irraggiungibile. È infatti grazie al lavoro di questi due visionari e di tutti i loro collaboratori che 12 anni fa l’Italia ha avuto il suo primo museo del videogioco in assoluto, il Vigamus, che per anni è stato punto di riferimento assoluto per tutti gli amanti del medium videoludico e, per i romani, un motivo d’orgoglio non indifferente. Fu un punto di svolta epocale, finalmente i videogiochi avevano un museo: finalmente ci si rendeva conto che, se avevano un museo, significa che i videogiochi avevano una storia e, inevitabilmente, questa storia aveva ormai permeato, volenti o nolenti, la cultura di tutti i vecchi e i nuovi abitanti di questo pianeta. Nessuno è riuscito a negare o fermare questo percorso rivoluzionario: tutte le istituzioni, locali, regionali e statali non hanno potuto far altro che riconoscere la valenza culturale e storica del Museo, paragonandolo e affiancandolo a tutti i musei “classici” preesistenti. 

Oggi, 12 anni dopo, la gloriosa storia del Vigamus è pronta per un nuovo capitolo, pronta a spostare la sua sede da quella storica di via Sabotino a quella che, il 30 novembre, sarà inaugurata nell’altrettanto storica e magnificente Piazza della Repubblica. Oltre alla sede, Vigamus cambierà nome in GAMM – Game Museum, sarà aperto 7 su 7 e potrà godere di 700 mq di spazio espositivo. Pur amando la tradizione, siamo certi che questi cambiamenti sono necessari per portare avanti con ancora più efficacia il valore storico, culturale e artistico delle opere multimediali interattive. Perché il punto continua ad essere quello di non fare ciò che facciamo per sublimare il nostro ego, per mero tornaconto o interesse personale; non è quello di fare quello che a noi piace, bensì quello che serve. Perché il nostro più grande tornaconto coincide con l’affermazione sempre più forte, inequivocabile del videogioco, la stessa affermazione che ci permette sempre di più, giorno dopo giorno, di poter parlare della nostra vita e della nostra storia con il petto gonfio d’orgoglio, senza vergogna e senza la paura di non essere capiti. Perché prima non essere capiti era colpa nostra; da oggi in poi sarà sempre più colpa degli altri. Questo è il più grande merito che dobbiamo a Fondazione Vigamus. In un mondo dove nessuno ha coraggio di investire in nulla e nessuno e, coerentemente con l’ideologia capitalista che domina i nostri tempi, è pronta eventualmente a farlo solo in progetti con fine di lucro certo, Marco e Raoul invertono la rotta, rompono la sequenza della storia per crearne un’altra, una storia dove non solo si decide di investire la propria vita in un progetto culturale, ma di farlo pure in una cultura, quella videoludica, che andava letteralmente fondata. Non hanno solo fatto cultura, hanno creato cultura. E di questo non possiamo che essergliene grati, perché il 30 novembre a Piazza della Repubblica non sarà solo una loro vittoria: sarà una vittoria di tutti noi

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