The Lost Crown ha illuminato per un istante fugace il cammino di Prince of Persia, ma le tante ombre che si allungano sullo stato attuale del settore hanno ben presto spento la sua luce. Malgrado gli ottimi riscontri di critica, i festeggiamenti non sono durati a lungo, interrotti con pessimo tempismo dalla decisione presa in Ubisoft di chiudere lo studio responsabile, ennesimo episodio che sottolinea le difficoltà e le incertezze affrontate ogni giorno dai creatori di videogiochi, spesso sottoposti a pressioni commerciali che vanno oltre i meriti artistici dei loro lavori.
Il sogno in frantumi
Si stima che lo sviluppo del gioco abbia richiesto un investimento di 200 milioni di dollari, per poi generare un ritorno di soli 15 milioni. Tuttavia, secondo alcune fonti, i responsabili non si aspettavano un profitto, trattandosi di un progetto appassionato per rinverdire una serie dormiente, una consapevolezza che rende ancora più incomprensibili le aspettative irrealistiche e la drastica manovra di Ubisoft. Benché i membri del team siano stati comunque allocati su altre attività in corso, è improbabile che l’universo di Prince of Persia verrà esplorato ancora nel breve periodo: la compagnia ha peraltro respinto sbrigativamente la proposta di un eventuale sequel, citando le scarse performance economiche come motivo del rifiuto. Le sue priorità al momento sembrano essere rivolte verso titoli AAA su larga scala, trascurando modelli più piccoli e innovativi, tendenza evidente anche nella difesa del controverso Star Wars Outlaws, che rischia però di alienare tutti quei giocatori che cercano esperienze videoludiche diversificate e meno ordinarie.
Tensioni crescenti
Ma non sono soltanto le scarse vendite a preoccupare Ubisoft, che sta attraversando un periodo difficile segnato da numerose complicazioni. Oltre alle problematiche legate allo sviluppo di giochi troppo ambiziosi, l’azienda sta imponendo richieste assurde ai suoi dipendenti, creando un malcontento tangibile tra il personale e la dirigenza: di recente, la divisione francese ha ordinato ai suoi impiegati di trascorrere almeno tre giorni a settimana in ufficio, indipendentemente dal progetto su cui stanno lavorando. Questo provvedimento ha scatenato un’ondata di insoddisfazione tra le maestranze coinvolte, le cui lamentele sono state ignorate dalla direzione aziendale. In risposta a queste imposizioni, oltre 700 dipendenti hanno organizzato uno sciopero di tre giorni. Tuttavia, Ubisoft ha mantenuto la posizione, sostenendo che la presenza in ufficio stimolerebbe la fantasia e migliorerebbe le relazioni lavorative, una risposta che ha ulteriormente esasperato i lavoratori e li ha resi ancora più determinati a difendere le proprie richieste.
Un futuro incerto
La serie di problemi che affligge Ubisoft potrebbe costringerla all’adozione di misure ancora più radicali. Di recente, si è parlato di un possibile acquisto da parte di Tencent, gigante dell’industria videoludica orientale. I problemi per la società sono iniziati con lo sviluppo travagliato di Assassin’s Creed: Mirage, ma da allora la situazione è solo peggiorata: per quanto non sia sull’orlo del fallimento, sarebbe meglio se i vertici non prendessero questi continui scandali sottogamba, o potrebbero danneggiare irreparabilmente la sua reputazione.
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