Ne abbiamo già discusso ampiamente durante le nostre anteprime, ma vale la pena sottolinearlo: la storia alla base di Dragon Quest III HD-2D Remake è quanto di più proverbiale possiate leggere in giro, figlia della tradizione letteraria fantastica che a sua volta discende da Tolkien, Brooks, Moore, Vance e Gygax: un oscuro signore del male, l’Ultrademone Padramos (Baramos nell’originale, in tutta onestà il motivo di questo nuovo adattamento non mi è del tutto chiaro), minaccia l’equilibrio del mondo e il nostro protagonista, un eroe marchiato letteralmente dal destino, deve raccogliere il testimone lasciato dal padre scomparso e portare a termine la missione di cui si era fatto carico. Ma non saremo soli: un gruppo di fedeli, coraggiosi e intercambiabili avventurieri ci seguirà in questa pericolosa cerca, affidataci dal re di Aliahan in persona. Il fascino di Dragon Quest III HD-2D Remake risiede nella sua capacità di unire la nostalgia dei giochi a 8 bit con la bellezza della grafica moderna. L’intera scenografia, realizzata con lo stile HD-2D, è una vera e propria gioia per gli occhi, un diorama in pixel art che mi ha fatto sentire all’interno di un racconto fiabesco, merito della maestria di Artdink grazie alla quale ogni ambientazione, dai pittoreschi villaggi ai dungeon più oscuri, risulta curata nei minimi dettagli e ci trasporta in un’atmosfera magica e avventurosa.
Il gameplay, semplice e intuitivo, rivela da subito la sua immediatezza, quantunque in parte soffra di alcune macchinosità che l’attuale rivisitazione non è riuscita, o non ha voluto, smussare. Ho setacciato vaste regioni, affrontato scontri epici contro mostri di ogni tipo e risolto enigmi intricati. E, mentre avanzavo nell’avventura, ho persino stretto amicizie durature con gli abitanti che popolano le città visitabili, ciascuna con i propri tratti (e accenti!) caratteristici. È vero, la mancanza di “voce” per il nostro alter ego e di personalità per quanto riguarda i suoi alleati, più simili a mercenari prezzolati pensati per facilitarci la vita che a compagni con cui condividere il fardello, ne limitano il potenziale espressivo, ma l’assortimento delle storie raccontate dai comprimari non giocanti contribuisce a edificare un ecosistema vivo e coeso, del quale entreremo inevitabilmente a far parte. Dragon Quest III HD-2D Remake non è un semplice gioco di ruolo, bensì un’autentica esperienza. Ha rappresentato un invito a staccare la spina dalla realtà e immergermi in un mondo straordinario che continuava ad ampliarsi dopo ogni passo, nel quale l’eroismo, l’amicizia e la speranza trionfano sul male. È stato un viaggio che mi ha ricordato perché mi sono innamorato dei videogiochi, il cuore attuale e pulsante dei JRPG attraverso cui ho rammentato l’importanza dell’essenzialità , scevra dalle mille sfumature con cui gli sceneggiatori moderni ricercano un’agognato spessore narrativo, troppo spesso del tutto superfluo.
Dragon Quest III HD-2D Remake: dalla terra al cielo
Ammettiamolo, è facile lasciarsi trasportare dall’entusiasmo per il valore intrinseco dell’originale e dimenticare gli sforzi profusi nella realizzazione di un simile, sontuoso rifacimento. Ma, nel caso di Dragon Quest III HD-2D Remake, è impossibile non fermarsi un attimo ad apprezzare la maestria con cui Square Enix ha rivisitato questa piccola meraviglia. La trama, un tradizionale scontro tra luce e oscurità come accennato poc’anzi, potrebbe sembrare modesta e banale, ma è la sua esecuzione a fare la differenza. Ogni dialogo, ogni personaggio, ogni angolo del mondo di gioco è intriso di un’atmosfera incantata che ci avvolge fin dal primo momento. Artdink e il Team Asano di Square Enix hanno svolto un lavoro egregio nel preservare l’essenza dell’originale, pur apportando miglioramenti significativi: la grafica HD-2D, semplicemente mozzafiato, infonde nuova vita a un mondo che credevamo di conoscere già , mentre il sistema di combattimento è stato perfezionato rendendo le battaglie più dinamiche e coinvolgenti, e le funzionalità aggiuntive espandono ulteriormente l’esperienza generale, tre aspetti specifici che più di ogni altro abbisognavano di una revisione in ottica contemporanea.
Come ormai dovremmo sapere, l’acronimo “HD-2D” non è una semplice sigla, ma un manifesto di intenti. Indica uno stile visivo unico, un connubio magistrale tra la pixel art dei giochi classici e la profondità del 3D, un’estetica che Square Enix ha sapientemente affinato in titoli come Octopath Traveler e Triangle Strategy. Immaginate di esplorare dungeon oscuri illuminati solo da una fioca luce, o di camminare su prati verdi che ondeggiano al soffio del vento. Ogni pixel è una pennellata che dipinge un mondo vivo e pulsante, dove ogni dettaglio, ogni ombra, è curato con maestria. È come sfogliare un libro illustrato interattivo, dove ogni pagina è un nuovo scenario da esplorare. Ma questo rifacimento non si limita a una semplice rivisitazione grafica. Il gameplay è stato rifinito e modernizzato, senza però snaturare l’anima del gioco originale: i combattimenti, un tempo più lenti e metodici, sono ora più dinamici e coinvolgenti, senza però perdere la loro profondità strategica. Inoltre, è stata introdotta la possibilità di automatizzare alcune sequenze, per chi desidera un’esperienza più spensierata. Dragon Quest III HD-2D Remake è un viaggio epico attraverso mondi vasti e misteriosi, popolati da creature leggendarie e personaggi indimenticabili. È un’avventura che vi farà ridere, piangere, e riflettere sulla natura del bene e del male. È un’esperienza che ci riconduce all’infanzia o all’adolescenza, quando le avventure digitali erano sinonimo di scoperta e meraviglia e la ricompensa per aver soccorso quanti chiedevano il nostro aiuto non era (non solo, almeno) una scintillante armatura o un potente artefatto magico, ma il ricordo dell’impresa che avevamo appena compiuto.
La sorte di un eroe
Oltre al comparto grafico, i nostri sensi vengono immediatamente travolti dalla sublime colonna sonora orchestrale, una rivisitazione dei celebri brani di Koichi Sugiyama che ci farà rivivere le emozioni provate giocando all’originale, amplificandole con la magniloquenza sinfonica che meritano. Ma non è tutto: il doppiaggio in inglese è davvero ben fatto, e la performance di Dave Jones nei panni di Ortega è semplicemente straordinaria. Il personaggio, già affascinante nell’originale, è stato ulteriormente approfondito con l’aggiunta di nuove scene e dialoghi che lo rendono ancora più complesso e intrigante, dei quali per ovvi motivi non farò alcuna menzione in questa sede. Vorrei aggiungere soltanto un piccolo ma amorevole dettaglio iniziale: il libro che nostra madre sta leggendo prima di venirci a svegliare, e che poi ripone nella ibreria, è un fantastico richiamo al (vero) finale di Dragon Quest XI, testimonianza concreta della cura continua che Yuji Horii riserva alla sua opera omnia. All’inizio, la successione degli eventi potrebbe sembrare un po’ lenta, ma non fatevi ingannare: dopo poche ore sarete completamente assorbiti dalle decine di missioni secondarie celate in ogni luogo che visiteremo, spaziando dal recupero della corona del sovrano di Romaria alla ricerca della Feniceterna, un animale sacro legato alla Dea di questo mondo che offre il suo aiuto ai puri di cuore. L’esplorazione spalanca un vero e proprio scrigno di segreti, con aree nascoste, dungeon intricati e incontri inaspettati come quelli con gli slime grigi, quei piccoli mostri d’argento capaci di regalare un quantitativo di esperienza incredibile ma che sono terribilmente veloci a scappare: dare loro la caccia sarà un’impresa adrenalinica che metterà alla prova pazienza e abilità . A tal proposito, una delle caratteristiche inedite più interessanti è la facoltà di catturare i mostri e farli combattere al nostro fianco nell’arena di Romaria, laddove l’originale permetteva solo di scommettere sull’esito delle lotte. Si tratta un sistema divertente e strategico che integra un ulteriore livello di profondità al gameplay, permettendoci di creare un party personalizzato e affrontare le sfide più impegnative. Le creature di Dragon Quest III HD-2D sono anche la fonte del potere dei Domamostri, una classe supplementare prelevata di peso da Dragon Quest X che consente di sfruttare svariate capacità mostruose per avere la meglio in battaglia.
Essendo un titolo con quasi quarant’anni sulle spalle, Dragon Quest III può ancora risultare impegnativo per i giocatori moderni. La scarsità di punti di salvataggio e i numerosi incontri casuali tra un punto di salvataggio e l’altro possono infatti rappresentare una sfida per quanti non erano abituati a queste scelte di design. Per fortuna, il remake introduce diverse novità che rendono l’esperienza di gioco molto più accessibile, una delle quali è il salvataggio automatico: ogni volta che entriamo o usciamo da una città o da un dungeon, il gioco si salva automaticamente, eliminando il rischio di perdere ore di progresso in caso di imprevisti. Inoltre, sono disponibili tre livelli di difficoltà per soddisfare le esigenze di ogni giocatore, con il più facile che rende i personaggi praticamente immortali, al contrario di quella draconica pensata per confezionare un’esperienza hardcore sotto ogni punto di vista. Se siamo incerti sul da farsi, il livello normale resta comunque un buon compromesso tra impegno e praticabilità . Altra novità interessante è la presenza opzionale dei punti di destinazione sulla mappa che indicano la prossima tappa da raggiungere, una funzione è particolarmente utile per quanti si perdono con facilità in un mondo di gioco che a volte non riesce a spiegarsi come dovrebbe. Infine, le conversazioni più importanti possono essere memorizzate quando lo riteniamo opportuno, in maniera tale da poterle rileggere in un secondo momento, una caratteristica interessante da consultare quando non siamo sicuri di come procedere o vogliamo riesaminare un dettaglio importante. Una delle modifiche più sostanziali è relativa alla ridistribuzione di alcuni elementi rispetto al titolo originale, in primis le minimedaglie che compaiono nei porting per Super Nintendo e Game Boy, operata per evitare che i giocatori possano ritrovarsi con una collezione incompleta perché alcune erano state collocate in certe zone che diventano inaccessibili dopo un certo punto della storia. Lascito delle conversioni è anche il sistema delle personalità , che di fatto conferiscono al nostro eroe e ai suoi commilitoni una serie di modificatori alle statistiche e all’esperienza: sebbene le domande che ci vengono poste all’inizio dell’avventura e le piccole missioni collegate che dobbiamo portare a termine conservino un certo fascino, l’implementazione d’insieme è farraginosa e decisamente confusionaria, tanto che per comprenderne appieno il funzionamento saremo costretti a ricorrere alla consultazione di tabelle numeriche realizzate all’epoca dagli appassionati, poiché le spiegazioni contenute nei suggerimenti incorporati sono comunque imprecise e non aiutano a capire di preciso tutte le statistiche influenzate da una certa indole piuttosto che da un’altra. Occasione mancata in questo caso? Forse, ma è un piccolo male necessario per beneficiare dell’incantevole rifacimento di un’epopea memorabile.
Negli ultimi tempi, abbiamo assistito a una proliferazione di remake, spesso anche di titoli relativamente recenti. Tuttavia, il qui presente Dragon Quest III HD-2D si distingue nettamente da tale tendenza, poiché il suo intento non è puramente commerciale ma quello di offrire un’occasione per rivisitare un autorevole progenitore. La rilevanza di questa versione risiede nella sua capacità di riconnetterci alle origini di una certa tipologia di giochi di ruolo, di ridefinirne gli standard e di permettere alle nuove generazioni di giocatori di scoprire una pietra miliare che ha scritto un pezzo di storia videoludica, meritevole di essere riscoperta e celebrata. Il 14 novembre è una data importante per tutti gli appassionati, non solo di JRPG, ma di videogiochi in generale: è il giorno in cui il passato incontra il futuro, in cui un classico senza tempo torna a splendere, in cui la genesi illuminante di un intero genere rischiara ancora una volta il sentiero ideale da percorrere.