Provate a cercare Until Dawn su Google! A colpo d’occhio, vi vengono offerte immediatamente due informazioni: è un videogioco del 2015, e possiede una percentuale di gradimento del 96%. Sono dati attendibili? Il primo per forza di cose, il secondo va preso con estrema cautela. Qualcosa, però, vogliono dire: Supermassive Games offrì un’esperienza interattiva, un’avventura dinamica a tema horror – allora esclusiva PlayStation 4 – che è rimasta, negli anni, nel cuore dei giocatori. Quella vecchia versione di Until Dawn, se digitale, ad oggi può ancora essere fruita, anche su PlayStation 5. Sony è stata molto cauta con i termini, ma sappiamo – lo sappiamo perché ci abbiamo giocato per scrivervi questa recensione, ovviamente – che Until Dawn su PlayStation 5 è un remake dell’avventura originale, a circa una decade di distanza. E che ha cercato di potenziare l’offerta di allora, senza stravolgerne contenuti e atmosfere. Missione compiuta? Scopriamolo insieme. Purché non abbiate troppa paura.
Quella casa sulla montagna: la trama di Until Dawn
In tante recensioni che vi abbiamo offerto, per esempio in quella recente di Funko Fusion, abbiamo sempre dovuto sottolineare come la trama sia spesso un pretesto per l’offerta ludica vera e propria. Per Until Dawn accade l’esatto contrario: la trama, la narrazione principale, “è” l’offerta ludica. Qui la narrazione è semplicemente imprescindibile, perché obiettivo principale di Supermassive Games, ieri come oggi, è quello di offrire una storia intrigante e avvincente, l’esito della quale viene definito dalle scelte del giocatore. All’epoca dovette giocare un ruolo cruciale la pubblicazione dei giochi di Telltale Games (qualcuno ha detto The Walking Dead e The Wolf Among Us?), mentre oggi la soluzione è un po’ meno originale, perché per forza di cose c’è stata un’evoluzione storica e ormai il pubblico (ma anche noi) si è abituato a un certo tipo di narratività interattiva.
La trama di Until Dawn, dicevamo, ha un suo peso – un peso enorme. E all’epoca convinse perché per tutta la prima parte di quella decina di ore di gioco (o poco meno) necessarie per arrivare ai titoli di coda inizialmente portava verso un certo tipo di soluzione, prevedibile; salvo poi prendere tutt’altra direzione, e deviando dal crime al soprannaturale puro. Di cosa parlava (e parla) esattamente? Senza fare spoiler di sorta, Until Dawn parte da una vacanza in montagna di un gruppo di liceali. Proprio un anno fa, precisamente in quella baita, la sorella di una dei presenti aveva trovato la morte. Ciò nonostante, anche per superare il lutto, tutti tornano lì e si preparano a trascorre un fine settimana tra bagordi, bevande e amori adolescenziali. Finché qualcosa inizia ad andare storto, e l’ambiente, inizialmente solo vagamente inquietante, si trasforma nel palcoscenico perfetto per una serie di sparizioni e di eventi terrificanti: c’è qualcuno lì con loro, e questo qualcuno li sta minacciando apertamente. Ma chi è? E cosa vuole?
A noi la narrazione del prodotto di Supermassive Games piacque particolarmente, anche in virtù di alcune svolte dalla metà in poi delle quali non possiamo parlare, dato che dobbiamo presupporre tra i nostri lettori la presenza di chi sia completamente ignaro di qualsiasi aspetto legato al titolo stesso (giacché magari nel 2015 avevano di meglio con cui giocare). Non hanno mai convinto, invece, i personaggi, tutti perfettamente stereotipati e identificabili nei più comuni cliché di qualsivoglia B-movie (a parte un paio tra tutti loro). Non ci stiamo lamentando, anzi: forse Until Dawn funziona proprio perché i suoi attori principali sono studenti di questo tipo. Del resto, forse degli adulti avrebbero agito in modo molto diverso agli eventi che avranno luogo sulla montagna maledetta, e il meccanismo narrativo non avrebbe quindi funzionato allo stesso modo.
Until Dawn su PS5: com’è andata, come poteva andare
Fornito l’identikit fondamentale di Until Dawn su PlayStation 5, è ora il momento di valutare com’è andata la conversione sull’ammiraglia Sony. In effetti non siamo neanche del tutto convinti che si possa parlare di aperta conversione: è vero, di Until Dawn molto è stato rivisto nel comparto tecnico, sia grafico che sonoro; ma non è possibile notare un netto miglioramento delle prestazioni, anzi. L’impressione generale è che siano state ritoccate alcune cose – non tutte, e neanche le fondamentali – e che poi il prodotto finito (ri-finito) sia stato pubblicato in edizione fisica e digitale. Attenzione però, perché il prezzo proposto è stato nuovamente quello pieno, pari a ben 70 euro, e settanta euro sono tanti per un’operazione di questo tipo (poi dipende naturalmente dalle tasche degli acquirenti, che non sono certo le nostre, e ognuno spende del resto i propri soldi come meglio crede). Non che Until Dawn non valga 70 euro, ma se li valeva già nel 2015, e pochissimo è stato cambiato, non si sarebbe potuto optare per qualcosa in meno? Trenta sarebbero stati giustissimi, a nostro avviso.
Ma torniamo dall’economa di marketing al mondo videoludico. Dal punto di vista tecnico, Until Dawn non se la cava particolarmente bene nella sua riedizione su PlayStation 5: ripropone, ad esempio, un frame rate fermo a 30 FPS, laddove sarebbe ora doveroso, per un’avventura dinamica, arrivare ai 60 granitici; molto probabilmente ciò è dovuto, tra le altre cose, al cambio di motore grafico rispetto al titolo originale. Sono intervenuti cambiamenti importanti anche lato illuminazione, e ciò ha portato gli sviluppatori a gestire in modo inedito i chiaroscuri di numerose sequenze. Per esigenze di immersività, e anche con l’intento di aumentare la “claustrofobia” dell’esperienza, persino le inquadrature con la telecamera sono state modificate, con il risultato che dalla posizione fissa “per livelli” del primo Until Dawn ora si è passati alla visuale ravvicinata al di sopra delle spalle del personaggio che si sta controllando in quel preciso momento. Solo nei momenti corali è stata mantenuta la vecchia telecamera fissa, per ovvie esigenze di scenografia.
Ad essere sacrificata è stata in questo modo la coesione di fondo, e ora Until Dawn, più che un titolo che insisteva parecchio anche sull’esplorazione degli ambienti, sembra un più comune horror su binari; ovviamente le novità verranno fruite in modo molto soggettivo, e se a noi non hanno convinto non significa che non possano convincere altri giocatori. Oltre alla telecamera e all’aggiornamento tecnico – che però non convince mai fino in fondo – anche la colonna sonora è stata riadattata e parzialmente modificata nelle tracce (e le “vecchie” ovviamente avevano per noi un valore particolare, perché ci ricordavano un’esperienza specifica). Il fatto è che tutte queste modifiche – che poi troppe non sono – non giustificano comunque il dover ricomprare da zero l’intero gioco, ad un prezzo addirittura più elevato rispetto alla pubblicazione originaria.
Until Dawn era e resta un horror imprescindibile per i cultori del genere, nonché un’ottima avventura dinamica il cui esito viene determinato dalle scelte del giocatore. L’esperienza è rimasta la stessa, identica rispetto al passato; ad essere cambiato è il comparto tecnico, oltre ad una serie di piccole aggiunte all’esperienza generale (come ad esempio nuovi collezionabili, che comunque costituiscono un minimo “di più” senza particolare rilevanza). Proprio quell’esperienza proiettata nel passato e che ha già un suo valore nostalgico, tuttavia, si ritrova ad essere più che aggiornata propriamente alterata, per via della modifica alla colonna sonora, all’inquadratura delle telecamere e all’aggiornamento del motore di gioco stesso. Insomma, se Until Dawn va ancora acquistato, perché tassello importante della storia videoludica, non sapremmo proprio perché consigliarvi proprio questa riedizione (a prezzo pieno) rispetto alla versione digitale del titolo originario, comunque fruibile tranquillamente su console di nuova generazione.