Con i loro budget imponenti e le campagne marketing da colossal cinematografici, i cosiddetti titoli AAA catalizzano da sempre l’attenzione di critica e pubblico, nel bene ma soprattutto nel male. Eppure, al di là della mia viscerale passione per le produzioni indipendenti, negli ultimi tempi sono quelle che ricadono nella fascia “doppia A” ad aver catturato la mia attenzione, ossia quei giochi figli di team esperti ma al di fuori delle logiche di distribuzione degli studi più blasonati, ed è proprio qui che ritengo vi siano le maggiori potenzialità per realizzare qualcosa che parli alle persone a livello ludico, emotivo e intellettuale.
Gli anni recenti sono stati prodighi di opere AA encomiabili che hanno saputo lasciare il segno: A Plague Tale: Innocence, di Asobo Studio, è uno splendido esempio di cui mi sono innamorato per l’atmosfera, la narrazione e il modo in cui ha saputo ricostruire una Francia medievale flagellata dalla peste. Hellblade: Senua’s Sacrifice di Ninja Theory mi ha lasciato a bocca aperta per l’articolata interpretazione dei disturbi mentali, per il comparto audiovisivo davvero all’avanguardia e per i sentimenti che ha suscitato in me mentre prendevo a cuore le vicende della protagonista. Helldivers 2 di Arrowhead, del quale vi parliamo colpevolmente in ritardo nelle prossime pagine, è la dimostrazione che una struttura multiplayer divertente e sostenibile si può mettere in piedi anche senza investire miliardi di dollari in sviluppo e pubblicità.
Da un punto di vista commerciale, è proprio il modello di business dei prodotti AA che consente ai programmatori di azzardare quelle idee che possono rivelarsi vincenti: quando i fondi a disposizione non superano i venti milioni, anzi spesso si attestano sotto ai dieci, correre un rischio è decisamente più tollerabile per i potenziali finanziatori. Pur offrendo spesso un livello qualitativo senza pari, i titoli AAA hanno assoluto bisogno di lavori di portata relativamente inferiore per innovare e diversificare, perché i loro costi li obbligano a giocare sul sicuro. Un simile sostegno non solo incoraggia una gamma più ampia di soluzioni creative, ma spinge anche la sperimentazione verso frontiere capaci di far progredire l’intero settore, perché adottabili a qualsiasi livello.
Trovo insomma che i giochi AA siano tra le esperienze più significative e coinvolgenti che si possano inserire in un ecosistema più ampio: sono fantasiosi, espressivi, finanziariamente validi e, a mio avviso, meritevoli di maggiore supporto e validazione da parte della comunità e dell’industria in generale. Se il bagaglio culturale videoludico che ho accumulato nel corso degli anni non mi inganna, non posso che anticipare i molteplici e durevoli impatti che produzioni di questo tipo avranno sulla storia artistica e professionale del medium interattivo.
Leggilo gratis in versione impaginata e sfogliabile sul numero 3 di V – il mensile di critica videoludicaClicca sulla copertina per leggere