A meno che non viviate sotto una roccia, vi sarà certamente capitato di sentir parlare di come l’ultima fatica di Capcom, Dragon’s Dogma 2 (qui la nostra recensione), sia stata presentata con un piano di microtransazioni che ha generato, per usare un eufemismo, una certa dose di insoddisfazione. Basta bazzicare testate e canali dedicati ai videogame per incappare nelle opinioni polarizzate che hanno generato una tempesta mediatica di proporzioni tanto notevoli da portare anche coloro che non avevano familiarità con il gioco a prendere conoscenza della controversia in atto.
Data la portata assunta dalla vicenda, abbiamo ritenuto opportuno fornire un’esposizione dettagliata di quanto sta avvenendo, delle critiche rivolte all’azienda giapponese, dei fatti oggettivi e delle nostre opinioni. Tuttavia, è importante sottolineare fin da subito un punto fondamentale: indipendentemente dalle posizioni che possono emergere in questo dibattito, questo genere di confronti rappresentano un contributo significativo alla crescita e all’evoluzione dell’industria videoludica d’alto profilo, la quale ha mostrato più volte la tendenza a valutare il sentimento del mercato solamente attraverso i freddi dati di vendita.
In cosa consiste il peccato capitale di Dragon’s Dogma 2
Volendo sintetizzare al massimo la faccenda, potremmo ricondurre la causa scatenante di questa diatriba a un semplice fattore, ovvero all’introduzione delle microtransazioni all’interno di un videogame che è fondamentalmente concepito come single player e che viene venduto a prezzo pieno. In concomitanza con il lancio del gioco, Capcom ha infatti ritenuto opportuno commercializzare tutta una serie di contenuti aggiuntivi scaricabili a pagamento, il cui costo, a parere di molti, inclusi noi stessi, è eccessivamente elevato. In totale, si parla di circa 42 euro di potenziali transazioni che vanno a coprire crediti di gioco, oggetti consumabili, l’accesso a brani musicali ispirati al predecessore Dragon’s Dogma e il controverso Pendente dell’Affetto, strumento finalizzato a semplificare le interazioni romantiche con i personaggi non giocanti.
Ad eccezione delle tracce musicali e del pendente, tutti gli altri elementi di gioco – o i loro equivalenti diretti – sono disponibili all’interno del gioco. Dato che Dragon’s Dogma 2 non presenta alcuna forma di competizione tra giocatori, questi piccoli DLC possono essere considerati come strumenti di “pay to skip” (e non pay-to-win), ossia soluzioni esterne al normale svolgimento del gioco che consentono di abbreviare un’esperienza che altrimenti richiederebbe tempi significativamente più lunghi. Un esempio famigerato – e spesso criticato – di questa pratica è stato offerto anni addietro da Assassin’s Creed Odyssey, un titolo che ha suscitato l’indignazione di molti per aver apparentemente rallentato artificialmente il progresso del giocatore al fine di vendere acceleratori di esperienza sotto forma di XP Boost.
Per quanto riguarda Dragon’s Dogma 2, la situazione è però leggermente diversa. Ancorandoci al primo capitolo della serie per utilizzarlo come metro di paragone, è possibile affermare con una ragionevole certezza che la ritmica lenta dell’opera rifletta una scelta consapevole da parte del regista del gioco, Hideaki Itsuno. Quest’idea è ulteriormente supportata dal fatto che, a differenza di altre situazioni simili, il gioco non presenta avvisi invadenti, pop-up o notifiche che insistono sull’acquisto di prodotti digitali aggiuntivi, elementi stranianti che però sono in grado di stimolare acquisti spasmodici.
Di seguito potete dare uno sguardo alla lista completa delle microtransazioni presenti:
Un problema che è decisamente più ampio
Per comprendere quanto sta accadendo non basta però limitarsi a puntare il dito sulle microtransazioni al centro della bufera. Capcom aveva d’altronde già adottato approcci commerciali simili a quello ora presentato in Dragon’s Dogma 2: Devil May Cry 5 e Resident Evil 4 erano entrambi caratterizzati da un modello che si affiancava alla vendita di consumabili opzionali, tuttavia, all’epoca, questo approccio non era bastato a sollevare un simile sdegno del pubblico. Quindi, cosa è cambiato? La nostra teoria è che i videogiocatori siano sempre più esasperati da modelli economici che ormai si impongono sempre più con fare predatorio.Â
Nel corso del 2020, l’eccessiva pervasività delle loot-box ha spinto il Governo britannico ad intervenire. Nel 2022, la reazione del pubblico all’introduzione di NFT nel contesto videoludico è stata così avversa da suscitare l’interesse degli studiosi, diventando oggetto di approfondimenti scientifici. Nel 2023 e nel 2024, l’elevato grado di saturazione nel settore dei giochi live-service ha determinato un netto declino dei titoli che hanno abbracciato il controverso format. Questi eventi testimoniano una crescente insoddisfazione verso le grandi aziende dell’intrattenimento, le quali, spesso, antepongono gli interessi immediati degli investitori a discapito della fiducia e della fedeltà dei propri clienti.
La ricerca di un rendimento finanziario immediato ha eroso la pazienza dei giocatori, accentuando una frustrazione che è già di per sé acuita dalla stressante precarietà dall’attuale clima storico-economico. Tuttavia, non possiamo neppure esimere Capcom da ogni responsabilità : l’introduzione di Dragon’s Dogma 2 sul mercato con un prezzo superiore alla soglia simbolica di 80 euro – almeno nella sua versione fisica – solleva parecchi dubbi sul fatto che le microtransazioni in questione fossero effettivamente indispensabili per coprire i costi di sviluppo del prodotto. Come se non bastasse, come evidenziato anche nella nostra recensione, il titolo presenta notevoli cadute di frame rate e problemi tecnici, fattori che a loro volta contribuiscono a fomentare gli animi del pubblico.
Dragon’s Dogma 2 e il silenzio sui DLC
Il dibattito suscitato dalle microtransazioni di Dragon’s Dogma 2 presenta implicazioni strettamente connesse alla nostra professione giornalistica. Su diverse piattaforme social è infatti emersa l’opinione secondo cui le pubblicazioni specializzate hanno l’obbligo etico di segnalare la presenza eventuali di microtransazioni all’interno di un prodotto nelle proprie recensioni, un dovere che in questo caso è stato tanto disatteso da spingere i lettori a chiedersi se i giornalisti fossero o meno a conoscenza di questi DLC.
D’altronde non è infrequente che i distributori scelgano di presentare ai gruppi editoriali un gioco privo di microtransazioni, per poi aggiungerle tramite un aggiornamento. Tuttavia, desideriamo confermare che Capcom ha agito con la massima trasparenza riguardo a Dragon’s Dogma 2: l’azienda aveva previamente informato la stampa e i content creator riguardo alla presenza e ai costi dei delle microtransazioni e lo ha fatto senza imporre alcuna restrizione sul menzionare gli stessi. Pertanto, l’omissione di tale informazione dipende esclusivamente dalla decisione individuale di ciascun autore. Nel caso di Vgmag, l’autore responsabile è il sottoscritto.
Non posso fornire una conferma oggettiva delle ragioni che potrebbero aver indotto i miei colleghi, sia italiani che stranieri, a tralasciare il dato; quello che posso fare è invece approfondire la mia personale linea di pensiero, nella speranza che possa offrire un po’ di chiarezza e contribuire al dibattito pubblico. Ritengo che sia fondamentale affrontare apertamente questo argomento, specialmente considerando che la stretta interconnessione tra il settore giornalistico e l’industria dei videogiochi è tanto simbiotica che frequentemente il pubblico si domanda fino a che grado la stampa riesca effettivamente a mantenere la propria indipendenza.
La maledizione draconica del settore
Nutro personalmente una certa riserva nei confronti delle microtransazioni, tuttavia sono consapevole che l’interpretazione di tale modello è profondamente influenzata sia dai modelli culturali che dalle implementazioni adottate nei singoli videogiochi. Per quanto concerne Dragon’s Dogma 2, mi sono trovato più che mai a dover bilanciare il desiderio di fornire ai lettori le informazioni necessarie a soddisfare la loro curiosità e la necessità di produrre un pezzo che fosse quanto più fluido e leggibile. Magari che fosse persino d’intrattenimento.
Quella commercializzata da Capcom è un’opera che non solo è stracolma di meccaniche da raccontare, ma è anche discretamente polarizzante: c’è chi la ama e chi la odia. Il mio obiettivo era garantire che i giocatori potessero valutare se il titolo fosse o meno in sintonia con i propri gusti e, dopo una lunga riflessione, ho ritenuto che la presenza delle microtransazioni non compromettesse l’esperienza genuinamente offerta da Dragon’s Dogma 2. Le scelte di design del gioco possono certamente piacere o meno, ma sono pronto a scommettere che Hideaki sia riuscito a sviluppare la sua personale idea senza che il sistema di microtransazioni potesse in qualche modo corromperne o smussarne lo spirito.
Il distributore non ha esercitato alcuna pressione su di me affinché omettessi dettagli rilevanti riguardanti il videogioco, né lo hanno fatto le testate per cui collaboro. Nemmeno l’interesse economico può giustificare la compromissione dei principi giornalistici: la stampa è in crisi e il giornalismo paga poco! Allo stesso tempo, non posso ignorare il clima di crescente diffidenza dei lettori nei confronti dei media, soprattutto nel contesto del giornalismo videoludico. Auspicabilmente, il dibattito sollevato dalle microtransazioni di Dragon’s Dogma 2 può costituire un’opportunità utile a rinegoziare il rapporto che lega le industrie ai consumatori, ma anche un’occasione utile a rinnovare il rapporto tra autori e lettori, magari sondando nuovi protocolli che ci permettano di essere più chiari ed espliciti su ciò che succede nei dietro le quinte.
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