La legge di Lidia Poët Recensione: il viaggio della prima donna avvocato in Italia

La legge di Lidia Poët Recensione| Il mondo degli avvocati, della giustizia, della magistratura e dei suoi affini ha sempre affascinato per anni innumerevoli persone di tutte le età. Un universo complesso a dir poco, per via delle sue migliaia di insenature legislative, morali e a volte anche politiche. Il magnetismo di questo settore è anche dato dalle molteplici rappresentazioni cinematografiche e televisive che sono state fatte negli anni; dalle più classiche come “Law and Order“, alle più recenti come “Better Call Saul“, che trattino di storici esempi in tribunale come “Amistad” alle più fantasiose dei super eroi come quelle di “She-Hulk” e/o “Daredevil“.

Ebbene, in questa lunga lista di show famosi si aggiunge quello di un regista italiano, che si fa nuovamente avanti su Netflix. Una serie che è stata attesa da molti nel nostro paese per ovvi motivi, ma anche per coloro che non hanno mai sentito nominare la protagonista dell’opera. Stiamo parlando de “La legge di Lidia Poët“, diretta da Matteo Rovere. Si tratta di una serie tv ispirata alla storia realmente accaduta della prima donna avvocato in Italia, dalla sua revoca dall’Ordine degli Avvocati al suo successivo rientro ufficiale e storico. Sarà riuscito Matteo Rovere nell’intento di raccontare le vicende di questa coraggiosa donna facendone appassionare il pubblico? Questa recensione ha l’obbiettivo di dirvelo perciò bando alle ciance e cominciamo subito. Buona lettura!

La legge di Lidia Poët

La legge di Lidia Poët: salve, mi chiamo Lidia Poët, sono un avvocato

Siamo alla fine del 1800 a Torino nell’allora Regno d’Italia. Siamo in un epoca dove il progresso tecnologico, soprattutto in quelle zone, sta avanzando di molto, dopo l’unificazione della penisola, ma allo stesso tempo ci troviamo in un contesto culturale arretrato specialmente per quel che concerne il ruolo della donna. In questa fotografia dell’epoca, una sentenza della Corte d’Appello dichiara illegittima l’iscrizione all’albo degli avvocati di Lidia Poët, una giovane donna che si è laureata in giurisprudenza.

Questa sentenza le impedisce dunque di poter esercitare la sua professione. Il motivo di questa decisione? L’essere una donna. Improvvisamente disoccupata si vede costretta a lavorare alle dipendenze di suo fratello Enrico (Pier Luigi Pasino), anch’egli avvocato, diventando sua “assistente”. Nel frattempo riesce comunque a inserirsi nel mondo della difesa e completando qualche caso, occupandosi di vicende spinose e molto spesso più complesse di quanto appaiano, utilizzando il nome del fratello per agire.

Grazie alla sua mente brillante e al suo sguardo acuto, Lidia riesce così a lavorare, avvalendosi oltre alla collaborazione del fratello (un po’ reticente all’inizio) di quella di Jacopo (Eduardo Scarpetta) suo cognato e giornalista, che le fornisce aiuti preziosi guidandola per le vie meno frequentate di una Torino in piena espansione. Per evitare di fare degli spoiler ci fermiamo qui.

La legge di Lidia Poët

Una storia di emancipazione e coraggio…

Come già detto prima, la storia si ispira alla vita e alle vicissitudini di Lidia Poët, ma non aspettativi qualcosa di simile a un documentario. Infatti, come altre serie simili, La legge di Lidia Pöet non cerca la ricostruzione storica maniacale, ma utilizza il contesto come pretesto per raccontare una storia le cui basi narrative risaltino maggiormente. Queste riguardano ovviamente la rappresentazione della figura femminile, le ingiustizie delle diseguaglianze, le lotte per le giuste cause ma anche la spesso dimenticata vita di Lidia.

Infatti, oltre ad essere un esempio di emancipazione femminile, la narrazione si alterna molto tra la vita lavorativa e sentimentale. Saranno presenti delle storie d’amore, di rapporti sociali, famigliari e anche una riflessione sulla concezione della donna che non viene riconosciuta per il proprio impegno e lavoro. Lidia non è infatti solo circondata da chi la sostiene o la invidia, ma anche da chi la considera fuori luogo. Il simbolo di un’epoca dominata dal patriarcato e arretrata a livello mentale, una situazione restrittiva che tristemente ancora accade al giorno d’oggi in molte occasioni e settori.

Uno degli elementi più brillanti dello show è proprio l’interpretazione di Matilda De Angelis nel ruolo principale. La sua Lidia è una donna forte ma non stereotipata, è indipendente e ribelle ma anche umana, ha momenti di esitazione e grandi rivincite, mettendo sempre in discussione tutto quello che la circonda e mantenendo alto l’interesse generale. È infatti proprio la rappresentazione del personaggio uno dei punti chiave per cui questa serie funziona e per la quale è difficile staccare gli occhi dallo schermo. Non di meno sono gli altri membri del cast che la accompagnano, dal fratello Enrico all’eccentrico Andrea e a molti altri ancora.

La legge di Lidia Poët

…ma senza esagerare

Arriviamo al dunque, di che tipo di serie si tratta? Ebbene, è difficile categorizzarla in questa prima e breve stagione composta da sei episodi. La storia sa altalenarsi, per come viene impostata la sceneggiatura, e più che consolidarsi in un vero e proprio legal drama può avere delle influenze da period drama. Le tematiche principali sono ibridate a una trama che vuole intrattenere inserendo momenti gialli e rosa molto classici. La Legge di Lidia Poët non racconta solo la storia della protagonista e del suo tentativo di smarcarsi dalla gabbia sociale patriarcale: le vicende percorrono tutta la serie, ma questo non impedisce alla narrazione di soffermarsi di volta in volta su altre piccole storie, non per questo meno importanti.

E di queste storie vanno a formare quello l’intero sviluppo narrativo e contestuale. Gli episodi sono impostati in una maniera che sa di “già visto”, distaccandosi però da ciò che le serie tv italiane fanno di media e ispirandosi a una forma più americana: seguendo uno stile semi-procedurale, ogni episodio vede infatti Lidia affrontare un caso a sé, seguendo una trama verticale che verso la fine si incastra dignitosamente con la trama orizzontale.

Da una parte quindi abbiamo il rispetto dei canoni di uno dei generi più abusati dal piccolo schermo; dall’altra la volontà di far conoscere un personaggio storico sotto una chiave accattivante e con una leggera vena comica che non guasta mai per staccare dalla serietà dei vari casi.  Insomma, a sentire questo potrete pure dire che non vale la pena di vederla se è qualcosa di già visto. Invece, vi diciamo il contrario. Sebbene i canoni siano classici, tipici di un modello più statunitense per regia e sceneggiatura, La legge di Lidia Poët riesce bene nel suo lavoro di tenere alta l’attenzione, invogliare lo spettatore ed essere leggera nella sua visione.

La legge di Lidia Poët

La legge di Lidia Poët: una bella fotografia del 1800

Uno dei punti di forza de La legge di Lidia Poët è il proprio il contesto storico. L’Italia di fine 800, ancora alle prese con la recente unificazione rappresenta uno scenario interessante dal punto di vista estetico. L’attenzione alle ambientazioni e ai costumi risulta fondamentale.

Il contesto offerto di episodio in episodio funziona bene e aiuta molto l’immersività per la persona che guarda lo show. Anche se alle volte la troppa cura di alcune scenografie rivela la realtà del set e la mano degli artisti che ci hanno lavorato. Ad equilibrare la situazione e a renderla ancora più realistica fortunatamente intervengono le direzioni del regista e di Letizia Lamartire, pronti a dare la giusta attenzione non solamente ai personaggi che sfilano in scena, ma anche ad alcuni dettagli fondamentali che aiutano ad alimentare l’immersione generale nel contesto cui tutti loro appartengono.

Dalle semplici pagine dei giornali con eventuali eventi dell’epoca, ai campi larghi in camera che mostrano carrozze girovagare per la Torino ottocentesca, dalle aule studio universitarie con i corpi vivisezionati ai balli in maschera, il tutto crea un connubio meraviglioso sia all’occhio che all’udito. Infatti anche dal punto di vista sonoro la colonna sonora fa il suo lavoro, azzeccando motivetti incalzanti nei momenti di ragionamento e quelli più calmi e sereni nei momenti più sentimentali.

In conclusione, La legge di Lidia Poët è una serie tv interessante, intrigante e leggera ma sa anche quando portare avanti argomenti più seri che ne fanno da padrone. Si tratta di una produzione italiana che si allontana dai canoni classici degli show nostrani, prendendo spunto da un format più statunitense e dai tratti più classici e prevedibili. Ciononostante, la serie riesce a portare allo spettatore storie interessanti ed enigmatiche che rivestono tutte la stessa importanza e gettano luce sul problema dell’emancipazione delle donne in un periodo storico arretrato ma che all’occhio sa ammaliare per i suoi costumi e stili visivi.

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