Oggi stavo navigando la rete per dare uno sguardo veloce alle news di altri paesi e, caso vuole, sia finito su un pezzo dell’Huffington Post inerente al come sia ora di usufruire dei videogame direttamente su formato digitale piuttosto che sprecare preziose materie plastiche per formare quegli antiestetici dischi, ormai utili esclusivamente per appagare i collezionisti più nostalgici. Damon Beres, infatti, ha esposto come i bluray che acquistiamo comunemente nei negozi funzionino al meglio solamente se installati sulla memoria interna delle moderne consolle. La componente fisica, ormai resa obsoleta anche solo dalle pesantissime patch, risulta ulteriormente vetusta se si considerano gli ottimi servizi offerti da PlayStation, Xbox One e Steam. Non sorprende quindi che, facendo riferimento alle dichiarazioni di SuperData, l’acquisto di giochi scaricabili dalla Rete abbia registrato un picco di crescita, se comparato alle statistiche dell’anno scorso. Ben memore delle lunghissime installazioni di Metal Gear Solid 4 e obbligato a comprare un HD esterno per far fronte agli aggiornamenti della Wii-U, posso capire alcuni dei punti sopra menzionati, ma si può davvero affermare il mondo videoludico sia pronto per questo grande passo?
Non posso controbattere in alcun modo quanto suggerito da Beres… è stato estremamente accorto e si è limitato a esporre affermazioni innegabilmente sensate! Nonostante tutto mi permetto di “ribattergli” rendendo pubblica la mia personale visione dei fatti, la stessa visione che rafforza il mio essere fermo sostenitore della produzione fisica dei dischi di gioco. Il primo ovvio punto da prendere in considerazione è quello che porta le case produttrici a premere sull’acceleratore per rendere l’acquisto tramite il web universalmente diffuso: il mercato dell’usato. Qualora il mondo videoludico si privasse della componente materiale sarebbe pressoché impossibile comprare o vendere titoli di seconda mano. Certo, forse si potrebbero introdurre valide alternative, ma le aziende sembrano ben poco interessate a queste evenienze, preferendo scaricare ogni problema sull’usato senza considerare che gli individui che vi fanno ricorso difficilmente finanzierebbero un titolo a prezzo di copertina. Rimanendo in tema di vil denaro, v’è da dire che il tanto decantato servizio dei negozi digitali su consolle, in verità , è ben poco virtuoso. Fin troppo spesso questi esercenti propongono listini molto onerosi, chiedendo le medesime somme dei tradizionali negozi o, addirittura, proponendo il prezzo pieno per versioni virtuali di oggetti che vengono altrimenti accompagnati da super sconti. Il risparmio accumulato evitando la stampa del videogioco, insomma, non viene smezzato equamente tra distributore e cliente, portando il pubblico a finanziare per intero un qualcosa che, di fatto, risulta gambizzato poiché mancante di una parte.
Un ultimo passaggio è quello assolutamente più importante di tutti: il possesso del titolo di gioco. Se durante l’acquisto di un videogioco online siete soliti saltare i testi di contratto accettando qualsiasi clausola pur di accelerare la registrazione è facile non ve ne siate accorti, ma in quei testi si è spesso avvisati di come la transizione che si sta effettuando sia intesa esclusivamente per la concessione d’uso del prodotto e, tra le altre, può essere ritirata in qualsiasi momento. Cosa vuol dire? Vuol dire che non si possiede effettivamente il gioco e capita che quanto si è pagato possa scomparire nel nulla senza troppe cerimonie. Suona come una cosa al di là della legalità , ma come ci insegna John Walker la verità è che nessuno sa veramente dire come sia gestito il campo normativo del settore e si rimane sospesi in una ambiguità senza pari che torna comoda a diverse ditte. Konami, per esempio, pare esistere esclusivamente per fornire esempi atti ad analizzare questo tema. Già in passato aveva rimosso i vecchi arcade dei Simpsons e degli X-Men a causa di diatribe inerenti le licenze (allora aveva giustamente lasciato la possibilità a chi aveva già finanziato i titoli di scaricarli direttamente dallo storico degli acquisti PSN o Xbox Live), ma ben più impressionante è stato il tragicomico caso di P. T. per il quale la prestigiosa azienda nipponica ha creato uno sbarramento totale condannando il playable trailer a una damnatio memoriae senza precedenti.
Credo si possa dire, pertanto, che le osservazioni dell’Huffington Post, per quanto corrette, siano incomplete se non addirittura faziose; gli acquisti digitali, ora come ora, non sono assolutamente comparabili all’acquisto fisico del videogioco desiderato, anche fosse solamente perché la Konami non si azzarda ancora a sfondare le porte di casa per andare a saccheggiare le videoteche dei malcapitati di turno.
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