Nel corso del tempo, quello di Fallout è divenuto un brand dal potenziale “quasi atomico”: serie di culto della fine degli anni 90, si è rinventata e ha saputo proporsi alle nuove generazioni di videgiocatori in una nuova salsa 3D con il celeberrimo Fallout 3, per poi godere di un ottimo contributo da parte di Obisidian Entertainment con il capitolo New Vegas (2010). Visto il successo delle iterazione più recenti della saga, era quindi solo questione di tempo prima che Bethesda decidesse di riproporre il decadente fascino della Zona Contaminata anche su console di attuale generazione, invitando vecchi e nuovi estimatori ad immergersi nel mondo post apocalittico che ha sempre contraddistinto la serie. Ecco quindi Fallout 4, un titolo il cui annuncio è stato lastricato di rumor, speculazioni e aspettative, atteso poi come il messiah videoludico e, infine, giunto nei negozi accompagnato da sonanti record di vendite. “La guerra, la guerra non cambia mai”, è questo l’iconico slogan della saga, un mantra che accompagna anche questo nuovo attesissimo esponente della serie Fallout. Eppure, nel bene o nel male, a non cambiare non è solo la guerra, ma anche il titolo di punta Bethesda.
A distanza di sette anni dall’uscita di Fallout 3, il giocatore è chiamato a tornare a visitare gli Stati Uniti d’America nord-orientali, questa volta presentati non in pieno “decadimento radioattivo”, ma bensì alle soglie di un olocausto nucleare. L’anno è il 2077 e tra guerra e scarsità di risorse, la popolazione si aggrappa al sogno americano tentando di non destarsi da quel lungo sonno fatto di pace, benessere e robot domestici. Tempo di creare il nostro personaggio attraverso un editor dalle potenzialità più che discrete, prendere familiarità con i comandi e scambiare quattro chiacchiere con la nostra famiglia ed ecco che la “sveglia” giunge sottoforma di un attacco nucleare dal quale ci si salva solo rifugiandosi nei Vault (e in particolare nel 111, quello assegnato a noi e ai nostri cari), enorme rifugi sotterranei progettati per ospitare la popolazione in caso di guerra. Senza fare troppi spoiler, la parentesi “pre-atomica” di Fallout 4 si chiude qui, con un salto in avanti di circa 200 anni e che ci vede impegnati nella ricerca di nostro figlio, dal quale ci separeremo a causa di circostanze che preferiamo non anticiparvi.
Come è facile intuirlo, l’idea di calarsi nei panni di un padre (o una madre, in caso di personaggio femminile) di famiglia che riscopre, due secoli più tardi, una Boston distrutta e un mondo completamente ostile è un concetto carico di fascino e potenzialità, un contenitore narrativo presente, ma, purtroppo, non sfruttato a dovere. I buoni spunti della trama, al quale si aggiungerà poi quello della vita artificiale (i cosiddetti Sintetici), sono infatti semplicemente abbozzati e risulterà difficile sentirsi davvero coinvolti dagli eventi, complice anche una certa lentezza intrinseca alle prime fasi di gioco e che potrebbe intimorire anche chi è già avvezzo agli “incipit” tipici di mamma Bethesda. Per fortuna la progressione narrativa beneficia del ritorno delle fazioni, gruppi più o meno numerosi di persone che tentano di far fronte alla distruzione della società civile ognuno a modo proprio e che, se supportate, portano al raggiungimento di finali differenti.
In contrapposizione alla tiepida trama vi è però l’attore principale di tutte le produzioni Bethesda e che, in Fallout 4, si ripresenta in forma a dir poco smagliante (con qualche radiazione e cadavere qua e là, ma comunque smagliante). Stiamo parlando dell’ambientazione: la Zona Contaminata è infatti un palcoscenico desolato ma ricco di attività non solo da fare, ma anche, e soprattutto, da scoprire. Viaggiare per la “fu Boston” regala magici momenti di esplorazione in cui ogni elemento, provvista, edificio diroccato o piccolo accampamento impreziosisce, preso singolarmente o nel suo insieme, il concetto di essere dinnanzi ai resti di una civiltà ormai allo sbando. Più che gli attori, più che i personaggi, è quindi l’ambiente a riuscire a parlare al cuore dei giocatori in Fallout 4, spingendo piccoli e grandi esploratori a muovere i passi in un terreno letale, una mappa enorme densa di scoperte da fare e opportunità da cogliere.
Ogni elemento, provvista, edificio diroccato o piccolo accampamento impreziosisce, preso singolarmente o nel suo insieme, il concetto di essere dinnanzi ai resti di una civiltà ormai allo sbando.
Non saranno infatti pochi i casi in cui passerete velocemente dal perdere la testa nel tentativo di setacciare rovine e macerie alla ricerca di oggetti interessanti al perderla poichè uno scorpione radioattivo ben poco amichevole ha fatto capolino improvvisamente di fronte a voi. La Zona Contaminata è quindi vuota ma al tempo stesso ricca, solitaria ma al contempo affollata, è spaventosa ma anche affascinante, un enorme parco giochi pieno di sotto trame da seguire che, per quanto risultino nel complesso leggermente meno ispirate delle side quest dei capitoli precedenti e più limitate nel tipo di approcci che propongono, rappresentano comunque la variegata e validissima anima della produzione. L’unico neo in questa grande mole di contenuti è data infatti dal fatto che, spesso e volentieri, l’approccio violento sarà il più veloce e remunerativo, un fatto che, seppur sia ancora presente, va un po’ a snaturare quella libertà d’azione tipica dei precedenti capitoli. Non che sia impossibile ora risolvere le diatribe e i problemi con l’uso dell’intelletto o in metodi alternativi, ma se mettiamo a confronto l’offerta di Fallout 4 con i suoi predecessori appare lampante come ci si senta più incentivati a lasciar parlare più le pistole che la bocca del nostro personaggio.
Data la vastità di cose da fare e la pericolosità della Zona Contaminata, vi ritroverete, per l’appunto, ben presto a chiamare in causa le vostre bocche da fuoco (o armi contundenti), strumenti di offesa che, in questo capitolo della serie, rivestono un ruolo ancor più importante rispetto al passato. Oltre alla classica impostazione da sparattutto in prima o terza persona che questa volta può godere di un feeling delle armi più responsivo e appagante, Bethesda ripropone il già ben collaudato sistema S.P.A.V grazie al quale poter mirare, con una precisione dipendente dalla gittata del colpo e dai parametri del vostro personaggio, alle varie parti del corpo degli avversari. Per quanto spesso convenga ricorrere più alla classica tecnica dello “spara e prega”, questa opzione tattica permette di dare un tocco più “ragionato” e “cauto” agli scontri. Attenzione però, poiché ora, al contrario dei capitoli precedenti, lo S.P.A.V non congela più il progredire del tempo nella contesa, ma bensì lo rallenta, una piccola modifica che rende le schermaglie più frenetiche e ostiche senza però intaccare la natura propria di questo sistema.
Oltre a sparare, sventrare, decapitare e fare a brandelli, tornano le altre classiche attività tipiche della serie quali il relazionarsi con gli altri abitanti della Zona Contaminata, lo scasso di serrature e l’hacking di terminali informatici, azioni che funzionano né più né meno con gli stessi minigiochi e le stesse meccaniche di interazione che hanno caratterizzato Fallout 3 e Fallout New Vegas. Rivisto invece il rapporto con i propri “compagni”, tredici individui (non tutti “propriamente umani”) che potremo reclutare nel corso delle nostre scorribande in giro per Boston e ai quali, ora, è possibile impartire una serie di semplici ordini. Tra canidi, sintetici, membri della Confraternita d’Acciaio e avventurieri si ha a disposizione una vasta scelta di comprimari, ognuno dotato di personalità e abilità differenti e che, seppur non brillando per caratterizzazione, svolgono bene il loro lavoro e permettono di coprire abilità di cui il nostro personaggio è potrebbe essere sprovvisto.
Novità rispetto al passato è invece quella di poter modificare le armi attraverso l’uso di appositi banchi da lavoro che ci permetteranno di aggiungere caricatori, mirini e canne personalizzate ai nostri strumenti di distruzione, sicuramente un’aggiunta gradita e che arricchisce ancor di più l’offerta contenutistica del titolo, per quanto non sia accompagnata da una gestione dell’inventario particolarmente chiara e che, al contrario, spesso vi farà perdere molto tempo a gironzolare nei menù alla ricerca dell’arma giusta. Per fortuna, in questo caso, in nostro soccorso giunge la possibilità di rinominare gli oggetti, opzione che ripara in parte la poca praticità dell’inventario. Ben più corposa è invece la seconda grande novità di Fallout 4, la possibilità di creare insediamenti colonizzando diversi territori della Zona Contaminata, generando così dei veri e propri gruppi di comunità che andranno a popolarsi nel corso del tempo. A noi, quindi, il compito di mettere in condizioni questi luoghi di provvedere autonomamente al proprio fabbisogno energetico, di godere del giusto quantitativo di cibo, acqua e di un buon livello di sicurezza, obbiettivi raggiungibili costruendo diverse strutture all’interno della comunità che stiamo gestendo. Pur non essendo una meccanica eccessivamente approfondita, essa rappresenta un’aggiunta interessante al microcosmo rappresentato da Fallout 4 il cui motto sembra essere quello di migliorare senza però stravolgere, appoggiandosi comodamente sulle solide basi già gettate dai due capitoli precedenti.
Il motto di Fallout 4 sembra sembra essere quello di migliorare senza però stravolgere, appoggiandosi comodamente sulle solide basi già gettate dai due capitoli precedenti.
L’assenza di grossi cambiamenti si ritrova anche analizzando il comparto tecnico, ma se dal punto di vista delle meccaniche ciò può essere visto come un pregio, qui ci addentriamo indubbiamente in un territorio meno roseo. Per anni, infatti, le produzione Bethesda non sono state solo considerate sinonimo di qualità, ma anche di bug tecnici più o meno gravi. Con sommo dispiacere, ci tocca riconoscere che oltre l’apparente colpo d’occhio discreto, Fallout 4 non si sottrae a questa tradizione ereditando tutti i difetti del Creation Engine già ammirato in The Elder Scrolls V: Skyrim, quali compenetrazione di modelli poligonali, ragdoll mal gestiti e animazioni non propriamente di alta qualità. Siamo di fronte ad una situazione migliore rispetto a quella vista con il lancio di prodotti quai i precedenti Fallout o la già citata serie The Elder Scrolls, ma è innegabile come, pur considerando la vastità dei contenuti che il gioco è costretto a gestire, questo difetto unito ad una gestione dell’intelligenza artificiale nemica e alleata un po’ “ignorante”, rompe un po’ quell’immersività su cui il titolo tanto punta. Di ottima caratura è invece il comparto sonoro, un ambito in cui primeggiano non sono le fantastiche musiche strumentali che con delicatezza e in maniera soave accompagnano le nostre gite nella Zona Contaminata, ma anche i numerosi brani estrapolati direttamente dall’America degli anni 30.
A tal proposito, apriamo una piccola parentesi sull’adattamento italiano, presente sia nella traduzione dei testi che nel parlato: considerata la mole di linee di dialogo, di testi e di documenti presenti nel gioco, è lodevole che tutto ciò sia stato reso nel nostro idioma con una cura degna di nota: la versione italiana dei testi è infatti di ottimo livello mentre il doppiaggio si difende bene pur non raggiungendo l’eccellenza. Purtroppo però, anche qui siamo costretti a segnalare come le sbavature tecniche vadano a inquinare la buona sostanza: la versione da noi testata, ovvero quella Playstation 4, attualmente è minata da un fastidioso bug sulla compressione della traccia audio che dona al parlato un effetto “ovattato” che copre anche i rumori ambientali. Se all’apparenza, ciò, potrebbe sembrare un piccolo neo, al momento tale difetto va a ledere di molto l’immersività del titolo rendendo i dialoghi molto artificiosi. Sicuramente possiamo aspettarci l’arrivo di una patch correttiva, ma ad oggi il problema continua a persistere.
“La guerra, la guerra non cambia mai”, e così, come abbiamo detto, anche i Fallout ad opera di Bethesda , nel bene o nel male, rimangono fedeli ai propri punti di forza e difetti tipici della serie. Chi si aspettava il capolavoro del secolo potrebbe rimanere deluso a fronte dei difetti tecnici, una gestione un po’ confusionaria dell’inventario e il maggior peso dato alla forza bruta a discapito della liberta d’azione ma se si concentra su quanto questo quarto capitolo ha da offrire e non, invece, “su quanto in più (o meglio) avrebbe potuto fare” allora ci si godrà un titolo enorme e di spessore, una vera e propria “opera radioattiva”: sporca in alcune sue parti, spesso persino grezza, ma affascinante e divertente.
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