Desert Bus for Hope: che cos’è? Prima di tutto bisognerebbe aver ben chiaro in mente che cosa sia Desert Bus, dettaglio nient’affatto da sottovalutare. Non voglio millantare talenti che non possiedo, ammetto che per molti anni io stesso ho vissuto nell’ignoranza e che solo un remoto episodio di Angry Videogame Nerd ha colmato la mia lacuna con una dose di nozioni interessanti quanto inutili; sentitevi liberi di visionare la puntata in questione se volete approfondire il tema, altrimenti accontentatevi del seguente sunto: nel 1995 il Sega CD avrebbe dovuto ospitare un videogame, poi cancellato, supervisionato da due illustri illusionisti statunitensi, Penn e Teller, i quali hanno fatto affidamento ai loro trucchetti più elementari per creare una serie di minigiochi che, di fatto, si potrebbero comparare a quei kit da “mago” che si riescono oramai a recuperare esclusivamente nelle peggiori edicole della riviera romagnola.
Col tempo, il titolo è risorto dalle ceneri grazie a internet, divenendo un piccolo soggetto degno di diversi culti al limite del settistico. Nello specifico è il capitolo Desert Bus a catalizzare l’attenzione dei più grazie alla sua natura paradossale e irrisoria; vestendo i panni di un conducente di bus si deve manovrare una corriera da Tucson e Las Vegas, il tutto in tempo reale e senza poter dilungarsi in soste o pause. Il bus non riesce ad andare oltre alle 45mph, tende costantemente a destra e viene rimorchiato al punto di partenza se si sosta troppo a lungo… ogni dettaglio è stato forgiato oculatamente per concretizzare una delle esperienze più noiose e frustranti della storia videoludica. Desert Bus for Hope, pertanto, è un evento annuale di beneficenza nel quale un gruppo di scalmanati si impegna in una fiaccante maratona streaming atta al raccoglimento di fondi da destinare ad ospedali e a rifugi d’infanzia. Dal 2003 questi ragazzi hanno raccolto ben 2.4 milioni di dollari e tutto da ad intendere questa volta riusciranno a raggiungere il traguardo dei 3 milioni tondi. A discapito di una decadente moda che punta ai “Let’s Play”, insomma, qualcuno riesce a valorizzare l’espediente mediatico con intenti ben più alti del racimolare quella modesta ed effimera fama che permette di presenziare in programmi e lungometraggi.