Cloud Gardens Recensione PC |La forza e la migliore qualità dell’industria videoludica è forse la sua abilità di adattarsi al costante cambio di paradigmi che viene messo in essere dagli esseri umani. Che si tratti di nuovo hardware con potenza di calcolo che cresce esponenzialmente, o di designer particolarmente audaci che sperimentino nuove formule, il videogioco è in grado di prosperare in qualsiasi cambiamento che gli viene imposto. Lo abbiamo visto in maniera lampante durante la triste pandemia dovuta al COVID-19, in cui il medium ha acquisito un rinnovato valore come aggregatore sociale, permettendo a tanti quarantenati di mettere per qualche ora da parte le preoccupazioni del mondo esterno, ritrovare i loro amici e godersi del buon intrattenimento in sicurezza. Se dovessimo fare un paragone vincente con il titolo che affronteremo oggi, questo potrebbe basarsi sulla comune capacità delle Opere Multimediali Interattive e di Madre Natura di adattarsi in modi concordi a ogni situazione. Recentemente, un nuovo filone artistico-espressivo ha preso nuova linfa all’interno del nostro settore; quello del cosiddetto game toy, che pur apparentemente mostrando una regressione rispetto al percorso di validazione che abbiamo già discusso in passato, in verità si costituisce come un passo avanti, vista la sua straordinaria abilità di veicolare messaggi artistici ed emozioni positive. Si tratta del caso di Townscaper, l’ultimo successo indie di Oskar Stålberg, e per ultimo, del gioco che copriremo quest’oggi, Cloud Gardens. Senza ogni indugio dunque vi lasciamo con il trailer introduttivo, prima di avviare la nostra recensione; buona lettura!
Non ci sono molte premesse con Cloud Gardens: siamo di fronte a una realtà in cui l’essere umano ha fatto del Brutalismo, la corrente architettonica nata nel Regno Unito negli anni ’50, il suo canone principale di sviluppo edilizio: gran parte del mondo conosciuto è stata reclamata da costruzioni più o meno indiscriminate, che hanno dato luogo alla deturpazione di veri e propri santuari del verde. Non sappiamo se l’uomo sia scomparso, oppure se sia successo qualcos’altro, fatto sta che ora la Natura recupera i suoi spazi. Lo fa in barba alla violenza dell’essere umano: lo ghermisce, riconquistando e reclamando il suo territorio in modi creativi e variopinti, facendo di un cassonetto dei rifiuti il proprio vaso, di un traliccio della corrente il sostegno per stendere la sua tela di viti, del panorama urbano la sua tela. Questo titolo assume infatti quasi un aspetto poetico, nel veicolarci questa forza silenziosa ma inopponibile, che nonostante tutto trova il modo e le forme per continuare a vivere, oltre le macchinazioni e gli errori di una sua singolare emanazione. Nato da una simulazione della crescita delle piante, il suo autore, Thomas van den Berg, ha avuto l’ispirazione per svilupparlo riflettendo sul fascino generato dal rapporto tra i luoghi abbandonati e la sua ultima proprietaria e guardiana.
Proprio questo il ruolo che assumiamo in questo gioco, dipanato in due modalità: la campagna e il sandbox. La prima si basa su una sfida breve, ma di difficoltà crescente, in cui saremo chiamati a reclamare porzioni sempre maggiori di ruderi urbani ed ecomostri per convertirli in paradisi ecologici; lo dovremo fare seminando flora differente, che poi spingeremo a diffondersi servendoci dello stesso mezzo con cui gli esseri umani la hanno danneggiata, collocando elementi come rifiuti, tralicci, elettrodomestici guasti e così via in un diorama di crescente complessità che ci porterà a declinazioni creative sempre nuove. La modalità sandbox raccoglie le medesime premesse della precedente, offrendoci però la possibilità di creare il nostro panorama urbano liberamente, prima di riempirlo di piante e verde. Forse questa la modalità che ho più preferito, che incarna il messaggio che ho maggiormente apprezzato in questo titolo: per indirizzare il nostro evidente progresso in accelerazione, è necessario far pace con la matrice primigena che ha permesso questa evoluzione singolare, Madre Natura. Solo comprendendo e ricongiungendoci in un abbraccio con la forza forse più potente del nostro mondo riusciremo a muovere i giusti passi verso un futuro radioso per noi e per chi ci seguirà dopo il nostro tramonto. Oggi più che mai la questione è attuale, ed è veramente necessario che quante più persone possibili facciano propria questa necessità.
Un lavoro artistico, oltre che un prodotto già raffinato, questo titolo getta nuova luce verso i designer emergenti, che nei prossimi anni non mancheranno di offrirci opere nuove e ricche di significato.
Con un’estetica e un’impostazione che si rifanno al lo-fi e alla pixel art, Cloud Gardens potrebbe richiamare negli occhi più esperti reminiscenze di vecchie glorie in voxel o un certo appeal alla cultura del retrogaming, tuttavia, c’è altro oltre la superficie; sorprendentemente, se ci si dovesse limitare a un rapido sguardo, ci troveremmo dinnanzi a un titolo dalle premesse semplici e immediate, che non richiede troppi sforzi per essere compreso, mentre al contrario con lo giusto spirito è possibile cogliere delle interpretazioni non indifferenti. Tutti gli spazi urbani che andremo a offrire alla natura saranno abbandonati, non ci sarà mai nessuna avvisaglia della presenza di vita, una metafora forse della desolazione dell’uomo moderno, che molto spesso purtroppo ha crescenti difficoltà nel trovar pace con se stesso, cercando rifugi in declinazioni aride della propria esistenza. Gli unici esseri viventi oltre alle nostre piante sono dei corvi; perché adottare questo animale come unica componente faunistica? Il corvo da sempre è sinonimo di morte, in molte culture lontane geograficamente e cronologicamente; un animale solitario, oscuro, testimone solitario di ciò che rimane. Allo stesso modo, tutti i testi presenti nei prop e negli elementi dei panorami urbani saranno illegibili, simbolo forse di una certa dissociazione tra la dimensione antropica e quella naturalistica. Un distacco violento e improvviso, frutto di uno sviluppo industriale incontrollato, avvenuto in meno di cento anni, che adesso ha raggiunto la sua apoteosi.
Un’opera rilassante, che permette di mettere alle spalle le nostre preoccupazioni e trascorrere qualche momento di relax, il tutto esercitando la nostra mente in rompicapi sempre vari basati sulla capacità di collocare le nostre piante e gli elementi di ciascun diorama nel posto giusto per stimolare sempre maggiormente e in modo ragionato lo sviluppo della flora. La musica assume decisamente un valore di rilievo in questa esperienza, mantenendosi fedele alle cromaticità pastello e a uno schema di colori che contribuisce bene all’intero impianto artistico del gioco. Tracce generate proceduralmente, ma che si mantengono sempre gradevoli e ben studiate per dare valore al nostro viaggio, ultimi testimoni assieme ai corvi di una natura che non si arrende, e mai lo farà. Ancora una volta, grazie di averci letto, e vi salutiamo prima della prossima review.