8 donne spesso dimenticate nel media videoludico

Quando si parla di personaggi femminili nei videogiochi ci sono ben più di 8 donne spesso dimenticate. Come in ogni altro campo, l’emancipazione della figura femminile è dovuta passare attraverso numerose fasi prima di potersi dire, ai giorni nostri, completata. Anche grazie a protagoniste al di fuori dalla finzione videoludica, come game designer, registe e scrittrici.  Proprio perché non vogliamo che si dimentichi questo percorso, crediamo sia importante, rimanendo attinenti ai videogiochi, rendere note altre figure oltre alle già a sufficienza citate (per ottime ragioni eh) Lara Croft, Ellie di The Last of Us, Bayonetta o Jade di Beyond Good and Evil

Abbiamo perciò fatto i compiti a casa e cercato la storia di alcuni nomi notevoli. Per restringere il campo di ricerca, però, è giusto che lo ripetiamo, sono ben più di 8 i nomi che meriterebbero di essere citati riguardo l’argomento, abbiamo pensato di inserire nell’equazione una variabile. Quella de “Le grandi prime volte”. Ovvero, i momenti della storia videoludica in cui le donne si sono prese, per la prima volta, il loro giusto posto nel media. Soprattutto, senza bisogno di tirare in ballo bellezza o avvenenza. 

8 donne spesso dimenticate

8 donne spesso dimenticate: le prime protagoniste

Chi è stata la prima donna protagonista di un videogioco? Se state urlando all’unanimità in coro “Samus”, bravissimi, avete sbagliato. Metroid è un videogioco del 1986 sviluppato e pubblicato da Nintendo per Famicom Disk System, come credo molti di voi già sapranno. Pensata come una sorpresona sloga-mascella, la rivelazione, posta a fine gioco, di espressioni più che sorprese deve averne generate parecchie. Subito dopo i titoli di coda, infatti, il guerriero in armatura che avevamo portato fino alla fine del labirinto del gioco, ovvero Samus, si spoglia, rivelando curve femminili inaspettate. Eppure, non è quella, per quanto famosa, la prima apparizione come protagonista di una donna in un videogioco. Questo achievement non va a Samus, ma… a Barbie. Il videogioco sviluppato e rilasciato a tema barbie, una bambola nata nel 1959, vede gli scaffali dei negozi nel 1985, un anno prima di Metroid. E non è sola.

Toby Masuyo, alias Kissy, la conoscevate? Toby è la protagonista di Baraduke, videogioco del 1985. Il giocatore prende il controllo della protagonista vestita, come Samus l’anno successivo, in una tuta spaziale. Affronterà quindi otto livelli con tanto di Boss finali, prima di lasciare spazio alla conclusione del gioco. E darvi tempo di accendere il titolo successivo: Ninja Princess, sempre del 1985. Kurumi Hime è il nome della protagonista di “Principessa Ninja”, che a differenza di Metroid, quindi, non nascondeva il sesso della protagonista al giocatore. Che sia per questo che Metroid l’anno dopo avrebbe fatto tanto scalpore? Per il succitato effetto sorpresa? Probabile

8 donne spesso dimenticate

8 donne spesso dimenticate: la prima scelta

Così, già nel 1986 il mondo videoludico aveva 4 protagoniste femminili “forzate”, ovvero di cui non potevano decidere il sesso, stabilito a priori dagli sviluppatori. Non sorprende, quindi, che nello stesso anno, mano a mano che venivano rilasciati i primi giochi tratti da famosi giochi di ruolo cartacei, ai giocatori iniziasse a venir messa di fronte una scelta. “Are you a boy or a girl?”ovvero “Sei un ragazzo o una ragazza?” Chiederà solo nel 2001 il Professor Oak ai fruitori di Pokémon Cristallo, in modo fin troppo diretto aggiungeremmo. Professore, ma le sembra il caso? Comunque: la prima scelta posta ai giocatori fra “uomo” o “donna”, risale perciò proprio al 1986, e a giochi di ruolo ancora molto basati su carta e penna. Come Labyrint, Leather Goddes of Phobos. O ancora, Laplace no ma (1987), Dungeon Explorer, Hillsfar e Citadel (1989). 

Il tema della scelta è d’attualità tanto oggi quanto lo era allora, con ulteriori e successive “prime scelte” fatte da brand famosi, che hanno man mano introdotto la possibilità di decidere se essere “boy or girl”. Un’azione importante, specialmente per i videogiochi Story-driven, che avrebbero dovuto adattare la trama per renderla calzante a un personaggio di genere non definito dal principio dello sviluppo. Tornando a Pokémon, l’importanza della scelta che propose ai giocatori è molteplice. Soprattutto, dato il target ampio del titolo, Pokémon Cristallo fu fondamentale per far capire, a un range quanto più vasto possibile di persone, quanto fosse bello poter vestire il genere che si voleva. Che fosse per role-play, per divertimento, o per immedesimarsi meglio, Pokémon Cristallo permetteva di scegliere se essere “un ragazzo o una ragazza”, senza che questo influisse sulla propria abilità di allenatori, sulla propria storia, o su chissà cosa. Come a dire “puoi essere chi vuoi, basta che ti diverta ad esserlo”.

8 donne spesso dimenticate

Le prime antagoniste

Le donne sono state a lungo relegate in ruoli fragili, personaggi deboli o da salvare, non sempre necessariamente con intenzioni negative: bisogna calarsi nel periodo storico, e capire che, per allora, era questa la percezione più diffusa. E più comoda, certo, per chi senza farsi troppi scrupoli usava i generi maschile e femminile con finalità commerciali, alimentando gli stereotipi. Perciò è importante ricordare che, nel 1991, l’antagonista principale di Battletoads fu una donna: la Dark Queen. E che donna! Non si può certo dire che non fosse avvenente, ma capite perché è importante, in questo caso, che lo fosse? Pensate a Crudelia Demon. Alla strega di Biancaneve persino. Sono antagoniste femminili nel cinema, e sono… sostanzialmente mostri. Più che associare la figura del cattivo dalla mente geniale, alla donna si assegnava il concetto di “brutto”. Brutto era sinonimo di cattivo, in sostanza (e in un certo senso ancora oggi purtroppo spesso si usa questa accezione). La Dark Queen, insomma, era una donna sexy che aveva architettato e gestito tutta la baracca, mettendoci nei guai lungo l’intero titolo. Intelligente, oltre che bellissima quindi. Vi pare poco? 

Allora che ne dite di SHODAN (Sentient Hyper-Optimized Data Access Network)? La conoscete? Shodan è l’antagonista principale, nonché testa femminile fluttuante, di Systrem Shock 1 e 2, del 1994 e 1999 rispettivamente. Un personaggio potente, potentissimo nella finzione ludica, che rappresenta il cambiamento che stava avvenendo, e che poi è avvenuto, nella percezione della donna. Non sempre, non per forza figura debole, di supporto, positiva. Ma anche, all’occorrenza, potente, cosciente delle proprie volontà e capace di mettere seriamente in difficoltà chiunque. Persino un uomo. 

Le prime sviluppatrici

Non solo guerriere o prescelte dal destino: vogliamo dare spazio anche a due nomi di donne reali che hanno scelto di intraprendere, per prime, un percorso difficile, e diventare parte dello sviluppo di un videogioco. Innanzitutto una precisazione: ricordate che, durante il periodo di riferimento, essere sviluppatori era difficile a prescindere dal genere. Non si veniva riconosciuti, il media non era sviluppato come oggi e la tecnologia non consentiva chissà quali virtuosismi. Perciò dire che quando Carol Shaw, nel 1978, iniziò a lavorare per Atari divenne la prima donna sviluppatrice, sviluppando due videogiochi, Polo e 3-D Tic-Tac-Toe, entrambi per l’Atari 2600, è un’asserzione difficile da confermare al 200%. Chi può dire con certezza se, prima di lei o insieme a lei, ci siano state altre che non sono state altrettanto fortunate, e non sono salite alle luci della ribalta? Cionondimeno, come rappresentante di sé stessa e di eventuali altre donne che decisero all’epoca di scegliere una professione considerata “da uomo”, è importante ricordare il suo nome, e il suo lavoro svolto per Atari. 

Eppure, non fu Carol, prima sviluppatrice propriamente detta, la prima donna coinvolta nello sviluppo di un gioco. Già nel 1960, è noto che Mabel Addis Mergardt, scrittrice e insegnante americana, fosse a lavoro con IBM e la Boards of Cooperative Educational Services su un videogioco educativo basato su testo, di nome The Sumerian game. Non, quindi, un videogioco a scopo ricreativo. Abbiamo, però, ritenuto fondamentale parlare anche di Mabel, come dimostrazione che anche in un’epoca tanto restrittiva sia verso le donne che nei confronti della tecnologia, lavoravano insieme gli uomini e le donne senza i quali oggi i videogiochi, educativi o meno, probabilmente non esisterebbero. 

Quanti altri nomi avremmo potuto fare in questo articolo. Videogiocatrici professioniste, art director, giornaliste, manager e rappresentanti di società come Nintendo, Ubisoft, Sony, Microsoft, il cui operato invisibile permette a noi, utenti finali, di avere il miglior prodotto possibile. Non penso ci sia molto altro da dire in questo caso, il concetto dovrebbe essere chiaro a tutti. A tutti, tranne che al Professor Oak sembrerebbe. Ma capitelo, poverino: ormai ha una certa età.

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