Diamanti grezzi Recensione | Ogni essere umano, almeno una volta nella vita, ha provato a scrutare all’interno del proprio inconscio. Da anni ormai alla ricerca di responsi, l’uomo, con il tempo, ha cercato di comprendere quale fosse la strategia migliore per conoscere davvero sé stesso. C’è chi si basa su teorie e storie, chi pratica antiche discipline o chi si lascia affascinare da amuleti ed oggetti magici. Ebbene, cosa succederebbe se una pietra riuscisse a conferirci tutte le risposte di cui abbiamo bisogno? E fino a che punto ci spingeremmo per ottenerla? D’altronde c’è un qualcosa che riesce ancora di più a far gola di un cimelio. Il denaro. Capace di trasformare il più onesto e pacato individuo, in una bestia avida e senza remora. Diamanti grezzi trascina con forza lo spettatore in un mondo che non ammette errori. Pericoloso, frenetico e senza scrupoli, fa capire sin da subito che non tutti possono farcela, puntando senza sosta su un Adam Sandler che non ha più voglia di giocare, mostrandoci con determinazione il suo carattere.
Stavolta ritroviamo l’attore nei panni di Howard Ratner, un ebreo newyorkese che si guadagna da vivere facendo il gioielliere. Immerso nel caos della grande metropoli, sin da subito salta fuori il suo essere profondamente abile e carismatico nel conquistare il cliente. Infatti, comportandosi in modo scaltro, riesce bene o male a sopravvivere in quella che è una giungla dove vige la legge del più forte. Servendosi di un collaboratore dal profilo discutibile, egli sa bene quando puntare il tutto per tutto su un possibile acquirente, offrendo determinati tipi di merce in base alle sue possibilità . Howard è in costante movimento, rimanendo in fibrillazione continua. Clienti, fornitori e malavitosi lo tengono sul filo del rasoio, creando una grave condizione ansiogena che non sempre è capace di sopportare. Tuttavia, con l’arrivo di un pezzo che aspettava da mesi, l’uomo sembra aver trovato la chiave per concludere, una volta per tutte, il colpo più incredibile della sua carriera. Tra le sue mani c’è un opale nero etiope, una pietra che racchiude il DNA del mondo e l’intero universo.
Howard sembra aver raggiunto il culmine della sua carriera, ma non sa ancora cosa gli aspetta
Lo stile di vita stressante, basato su repentini cambi d’umore, non giovano sulla sua professione, portandolo così a compiere passi falsi. Tra un debito e l’altro, è in grado comunque di pensare alla sua famiglia, prendendosi cura dei figli con un modo non propriamente esatto, riuscendo però a fare il padre. Tra le sue dannazioni si distinguono scommesse folli, creditori intenti ad ucciderlo e un’amante che sembra essere l’unica via d’uscita da una realtà che lo sta mangiando lentamente. Ci troviamo di fronte ad un uomo che si racconta senza aprire bocca. Con uno sguardo ci dà la possibilità di accedere all’interno della sua mente, dimostrandoci un profondo malessere che lo accompagna in giro per la città . Nonostante le difficili prove che affronta ogni giorno, senza trovare però una soluzione, riesce a mantenersi incredibilmente ottimista, sperando sempre in un domani migliore. Passando da un errore all’altro, l’estenuante corsa verso un potenziale affare vincente è la base della sua esistenza, nutrendosi di una speranza che va e viene, illudendolo di stare facendo la cosa giusta.
Scritto e diretto dal duo Josh e Benny Safdie, Diamanti grezzi si presenta come claustrofobico. Le inquadrature strette e marcate, spingono sin dal primo minuto lo spettatore in una condizione di malessere. Il fastidio che si prova durante la visione del titolo, è strettamente collegato a quello che vive il protagonista nell’esatto momento in cui lo si guarda. Così facendo, ogni errore commesso dal gioielliere viene ingigantito sotto l’occhio sofferto di chi si sente oppresso e fuori dal mondo. Un mondo che, sempre più volentieri, lo prende a calci, ripugnando ogni sua idea. Schiacciato da una serie di sfortunati eventi, il venditore non fa altro che ritornare sui suoi passi ogni volta che sta per risolvere una faccenda scomoda. Come se non riuscisse a stare lontano dai guai, fa del tutto per mettersi in mostra, anche davanti a chi dovrebbe temere. Così, costretti ad assistere alla vicenda in modo passivo, come lui del resto, possiamo limitarci a provare pietà e ad assecondare quel sorriso forzato e malinconico che ci accompagnerà fino alla fine del film. Le spiacevoli giornate che inondano Howard di momenti terribili, sono accompagnate da un comparto sonoro piuttosto debole.
Violenza e disperazione saranno la routine giornaliera di un uomo che cerca di sopravvivere all’interno di una giungla urbana.
Le tracce, create appositamente per il lungometraggio, riescono si a coinvolgere lo spettatore, ma non rendono bene l’idea della drammaticità della situazione. Nelle scene più intense, dove la violenza e la disperazione prendono il sopravvento, l’impianto musicale arranca, faticando a sostenere i momenti più alti della pellicola. Lo stesso vale per la fotografia, decisamente buona, ma non sarebbe dispiaciuto uno stampo più cupo, così da appesantire ancora di più il clima ostile che regna sovrano sull’intera storia. La regia e la sceneggiatura viaggiano in coppia e si vede. L’ottima coordinazione è il risultato di un’opera ben studiata, pensata sin nei minimi dettagli, sebbene verso il finale si ritorna verso lo stile classico dell’attore, alleggerendo volutamente la tensione, per la prima volta. E come si è evoluto lui, anche il doppiaggio ha riscontrato dei miglioramenti. Non abbiamo più l’iconico tono gioioso e spensierato di un tempo, ma la voce di un uomo furioso con il mondo, grottesca al punto giusto, che rispecchia perfettamente la personalità in questione.
Con questo ultimo progetto, Adam Sandler ha dimostrato al mondo intero di saperci fare. Dopo numerosi anni a svolgere opere demenziali, si è imposto con forza e determinazione un obiettivo che non tutti riescono a portare a termine. Quella di stravolgere la propria carriera, è stata una mossa senza alcun dubbio geniale, mettendo in chiaro, ancora una volta, di essere un professionista raffinato, capace di interpretare qualsiasi ruolo voglia fare. Al di là quindi della qualità della pellicola, che si dimostra saldamente in linea con i tempi, originale e soprattutto ben fatta, l’attenzione va dedicata interamente all’attore, in grado di tenere incollato allo schermo per due ore e un quarto lo spettatore. Il suo atteggiamento sfinito e angosciato ingloba chi sfiora, anche solo per un istante, il suo sguardo perso, alla costante ricerca di aiuto. E proprio come una preziosa pietra incastonata in un gioiello, ci si ritrova in poco tempo con le spalle al muro, incastrati da un circolo vizioso che comprende un giro d’affari troppo pericoloso, anche per i più scaltri come Howard. Dietro questo film c’è un universo da scoprire e proprio come l’opale nero, basterebbe un attimo di concentrazione e un po’ più di attenzione per accorgersene. Da questo elemento capiamo che l’interprete ha ancora molto da raccontare e noi non vediamo l’ora di ascoltarlo.
Clicca sulla copertina per leggere