Locke & Key Recensione

Locke & Key Recensione | Chi di voi non ha mai sognato di poter leggere la mente altrui o di teletrasportarsi ovunque nel mondo? Ebbene, per realizzare i vostri desideri, Netflix ha creato un nuovo prodotto in esclusiva. Infatti, la piattaforma streaming più famosa del globo, ha trasformato l’omonimo fumetto ideato da Joe Hill e Gabriel Rodriguez in una serie tv. La storia racconta le avventure di tre fratelli, i quali, in seguito al trasferimento nella vecchia residenza del padre, verranno a conoscenza di chiavi magiche nascoste all’interno della casa, luogo dove passeranno la maggior parte del tempo. Queste conferiscono la possibilità di ottenere poteri e abilità speciali, nonostante presentino dei pericoli. Inoltre, i ragazzi dovranno vedersela con un demone, che è alla ricerca di questi artefatti, pronto a compiere qualsiasi gesto pur di ottenerli.

In un primo momento, sarà Bode (Jackson Robert Scott) a riuscire ad intercettare le chiavi nascoste. Infatti, il membro più piccolo della famiglia, ma allo stesso tempo coraggioso e determinato, viene attirato da un misterioso richiamo che solo i più audaci riescono a percepire. Arrivato alla fonte del canto, stringe amicizia con una figura femminile. Sarà lei a mettere a conoscenza Bode degli strumenti magici, consigliandogli strategie su come scovarli all’interno della villa. Seguendo di pari passo le indicazioni della donna, il bambino trova il suo primo tesoro. Non passerà molto, prima che provi a raccontare la singolare vicenda ai suoi fratelli, Tyler (Connor Jessup) e Kinsey (Emilia Jones). Questi, ovviamente, stenteranno a credere al loro fratellino, fino a quando non gli riserverà una dimostrazione pratica del potere conferitogli dalla chiave. 

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Una misteriosa presenza attira l’attenzione di Bode

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Da questo punto in poi della trama, i ragazzi si impegneranno nella ricerca di questi cimeli, mentre affronteranno i problemi di tutti i giorni. Tyler, inizialmente insicuro e timido, cercherà di fare amicizia all’interno della sua nuova scuola. Lo stesso vale per la sorella Kinsey, anch’essa chiusa e di poche parole. Il tempo passa e grazie al regolare ritrovamento di questi artefatti, i due riusciranno ad acquisire più sicurezza, entrando in prima persona nella loro mente o prendendosi gioco della bulla di turno. Parallelamente a quello che potrebbe definirsi il filone principale della storia, la madre Nina (Darby Stanchfield) inizia ad indagare sull’oscuro passato di suo marito Rendell (Bill Heck), grazie ai sospetti nati durante le conversazioni fatte con la nuova conoscente Ellie (Sherri Saum), ex migliore amica di Rendell. Con il susseguirsi degli eventi, presto le due trame si mischieranno, mettendo i Locke di fronte ad una notizia sconvolgente.

Locke & Key
Cosa si nasconderà dietro la porta?

Al di là della trama, che ricordiamo essere presa da un fumetto, come potremmo descrivere questo nuovo adattamento di Locke & Key? Partendo dal fatto che stiamo parlando di una serie rivolta ad un pubblico adolescenziale, si è sottovalutato, o per lo meno omesso in parte, il potenziale dell’opera di Joe Hill. In primo luogo, la drammaticità che viene proposta non è convincente. Spesso i protagonisti vivono forti traumi, presenti e passati, ma che vengono sbattuti in secondo piano da un siparietto ideato per far alleggerire la tensione. Non che questo sia sbagliato, ma spezza troppo ferocemente il legame che difficilmente si crea tra lo spettatore e i personaggi. Colpa di una sceneggiatura poco coraggiosa, ancoratasi troppo all’idea di catturare una fascia di target più ampia. D’altro canto, ci sono alcuni passaggi incomprensibili, del tutto fuori lo schema. Con questo vogliamo intendere che, se viene scelto di seguire un certo stampo registico e quindi fanciullesco, è poco saggio stravolgere in punti dove fa comodo l’intero pensiero originale. Tutto questo per far strizzare gli occhi al fruitore, che magari si era perso nella monotonia dei primi episodi.

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La drammaticità proposta non è convincente, colpa di una sceneggiatura poco coraggiosa

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La regia ha quindi provato a trovare alcuni piccoli escamotage al fine di far distogliere le attenzioni del pubblico da una fotografia scarsa, aiutandosi con delle riprese che sono riuscite a fare il loro lavoro. È doveroso rivolgere l’attenzione anche al modo in cui è stata diluita la storia. Dieci episodi dalla durata di cinquanta minuti circa l’uno. Una lenta crescita, per l’esattezza lunga sei puntate, per arrivare ad un finale poco esplosivo, riservando un plot twist che, agli occhi dei più attenti, potrebbe sembrare anche scontato. La corsa verso lo scontro conclusivo è sembrata più un allenamento per lo spettatore piuttosto che per i protagonisti. Come accennato in precedenza, più della metà degli episodi si sono limitati a presentare le diverse possibilità che le chiavi possono dare ai ragazzi, colmando alcuni vuoti con dettagli di vita quotidiana o litigi familiari. 

Un aspetto interessante è che, nel trambusto generale, lo spettatore riesce comunque in qualche modo a ricordarsi dei personaggi. La storia ce li presenta in un determinato stato, cambiandoli subito dopo e dopo ancora. Anche se potrebbe sembrare confusionario, lo sceneggiatore ci mette davanti a quello che è uno dei misteri più grandi, tutt’ora irrisolto: la psiche umana. I protagonisti vengono costantemente sottoposti a sfide e a bivi esistenziali. Ciò provoca un importante aumento dell’interesse da parte del pubblico nello scoprire le varie sfaccettature del loro carattere. Anche qui però ci sono dei contro. Così facendo difficilmente si creerà la possibilità di avere una figura preferite, proprio perché soggetti a repentini cambi di personalità. E come sono propensi loro al cambiamento, così il mondo che li circonda. Lo scenario che osserva silenzioso la famiglia Locke, è bersagliato continuamente dagli strabilianti poteri delle chiavi magiche. La città dallo stile lovecraftiano assiste allo spettacolo adattandosi al modo in cui viene trattata, rispondendo silenziosamente, apparendo agli occhi dei cittadini cupamente. Tutto questo è accompagnato da un comparto sonoro privo di creatività e qualità artistica, servendosi di tracce commerciali e non di brani originali per la serie. In definitiva, Locke & Key è l’ennesimo esempio di un adattamento con del potenziale, ma che non è stato utilizzato completamente, presentando diverse lagune ingiustificabili. I suoi pochi punti di forza non bastano a ricoprire alcune falle dell’intera produzione. Gli scrittori sono riusciti a trasformare una sceneggiatura originale e sopra le righe in un racconto monotono e sotto tono, senza preoccuparsi del risultato finale. Per non parlare dell’effetto Stranger Things, che si avverte sempre di più andando avanti con gli episodi.