Un viaggio nel mondo disneyano di oltre 25 anni ha ora portato ad una completa metamorfosi dello stile cinematografico che siamo abituati a vedere. La tecnologia offre ora possibilità prima impensabili e un colosso come Disney sa quando è l’ora di osare. A beneficiare di questa operazione di restauro è uno dei pilastri della storia del franchise: il Re Leone. Si sa che apportare un qualsivoglia cambiamento ad una delle opere più blasonate ed affezionate dell’infanzia comune è sempre un azzardo, e in questo Disney ci ha puntato molto. Il rifacimento tecnologico ha già donato forma nuova ad altre discusse realizzazioni inscindibili come Aladdin e Dumbo, ma questa volta il live action ha raggiunto livelli vertiginosi. È così che inizia questo ennesimo tuffo nel passato, tra dubbi e perplessità dell’aver scomodato una pietra miliare dell’animazione. Spulciamo ora, per bene, l’opera in arrivo il 21 agosto nelle sale cinematografiche italiane e vediamo se il colosso ha vinto la sua scommessa.
Sin dall’annuncio si borbottava sulle reali potenzialità del live action, che incuteva timore negli appassionati e in chi si proclamava scettico all’idea che uno dei classici intoccabili potesse mutare forma. Un problema che, ammetto, mi sono posto da subito anch’io, ma in sala ho ricevuto le conferme che sospettavo. Laddove si perde un pizzico di sregolatezza e vibrante atmosfera cartoonesca, ci si ammutolisce dinnanzi a spettacolari scene di puro nudo realismo, che offrono al film la possibilità di sbocciare per maestosità su grande schermo. Scenari che si perdono a vista d’occhio e una brulicante vegetazione si aprono ben presto spazio nella mente dello spettatore. A metà tra un sentiero fortemente realistico e un’assoluta fedeltà al testo narrativo originale, Il Re Leone spalanca così le porte a un’Era decisamente controversa per il colosso Disney, ma non per questo meno emozionante. Sarebbe assai ridicolo pretendere che le movenze dei protagonisti animali, che ricordiamo essere estrapolati scena per scena da animali realmente ripresi, potessero seguire i dettami del cartone animato. Questo avrebbe irrimediabilmente sfociato in scene troppo bizzarre da attirare nel nuovo contesto realistico, e che avrebbero rotto il labile confine tra fiaba e realtà. Sta di fatto che si è osato, ma lo si è fatto in maniera chirurgica, ove possibile.
Un live action così tangibile che non saprete distinguere il reale dalla fantasia.
Con ciò non mi sento di denigrare neanche chi potrebbe vivere l’esperienza in maniera troppo traumatica. Scene che nell’opera classica erano goffamente esilaranti, come il tutù a Pumba per intenderci, non avrebbero alcun senso in uno scenario così vivido e pulsante. I bizzarri siparietti comici e alcune movenze troppo innaturali per essere riprodotte al di fuori dalll’ambiente cartoon, lasciano ora spazio ad alcune battute extra, umoristicamente di buon gusto e che mai hanno intaccato la fedeltà contenutistica con l’originale, ma anzi talvolta l’hanno approfondita. Tutto viene quindi circoscritto entro i vincoli naturali del regno animale, ma non per questo è esente la magia di casa Disney, che di buon grado lascia il suo zampino per avvolgere il corso degli eventi con della onirica magia fanciullesca. Il copione narrativo rimane d’altronde saldamente ancorato al primissimo Il Re Leone, e le uniche aggiunte sono state minuziosamente integrate in modo efficiente e ben studiato, merito della sublime prova di coraggio del regista Jon Favreau.
Per quanto concerne la recitazione e il doppiaggio italiano, vi basti pensare che alla fine dell’anteprima ci siamo tutti sciolti in uno spontaneo applauso. Primo tra gli altri a farmi saltare sulla sedia per interpretazione e carisma è l’inconfondibile timbro di Massimo Popolizio: noto ai più per aver doppiato la voce di Lord Voldemort in Harry Potter. Non mancano gli elogi per l’eccezionale prestazione in fase di doppiaggio a Timon e Pumba, rispettivamente Edoardo Leo e Stefano Fresi. Scesi dall’Olimpo dei professionisti conclamati del settore, si entra nel campo delle scommesse, ove a fare la loro seconda apparizione vi sono i contanti Elisa e Marco Mengoni: entrambi introdotti al doppiaggio da poco e che, a dispetto di tutti coloro che non hanno accettato di buon grado tale notizia, hanno svolto un lavoro più che positivo. La prima ha incarnato la fierezza e la risolutezza della Nala adulta, mentre il secondo ha espresso la sua indole fanciullesca apostrofando un coraggioso Simba. Certo, la differenza si nota, ma è stata ampiamente arginata da uno studio ben calibrato di note e suoni in fase di doppiaggio. A discapito di ciò che si possa presumere, è folle pensare che i due artisti potessero ergersi al di sopra degli altri, ma la loro voce ha comunque saputo amalgamarsi bene ai vari brani presenti nella pellicola, impreziosendoli con la loro voce unica.
Alla fine i conti si fanno sempre, ahimè, con il passato, specialmente quando si scomodano dei ricordi importanti dell’infanzia collettiva. A discapito di quello che si potesse presumere, e delle previsioni catastrofiste di qualche tuttologo, Il Re Leone supera brillantemente l’ostacolo più complesso: l’elemento nostalgia. Il live action si presenta su grande schermo in maniera del tutto sontuosa e plateale, ma limita in qualche circostanza l’effetto pathos e spensierato, frutto della prima opera cartoonesca. Piccola rinuncia, dunque, per il nostro fanciullo interiore, per avere in cambio una poetica rappresentazione dell’Africa in tutto il suo selvaggio splendore, tra bucoliche distese che segnano lo schermo e un indiscutibile successo a livello tecnico. Un po’ ci dispiace di aver perso quel Pumba così fiabesco ed espressivo alle spalle, ma dove mancano quelle caratteristiche esilaranti che lo rendevano unico, il doppiaggio spodesta qualunque incertezza. Siamo infatti al cospetto di un Massimo Popolizio (Scar) impressionante e suggestivo, oltre che alla buona performance di Elisa e Marco Mengoni, in questa importante esperienza. Il sole non è ancora tramontato per Il Re leone di casa Disney, e questo ne è il suo emozionante lascito.
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