Made in Abyss e The Promised Neverland, i segreti dell’eroe fanciullo

Se vi siete fatti incuriosire da qualche titolo al di là della nostra penisola, magari in cerca di prodotti d’animazione di qualità da un anno a questa parte, vi sarete sicuramente imbattuti negli acclamati Made in Abyss e The Promised Neverland. Il panorama nipponico sforna ininterrottamente prodotti dalle qualità più disparate, che ormai sempre più di buon grado uniscono sottili risvolti psicologici collaterali ad ambientazioni poeticamente distopiche. Le due opere sono da mesi al centro di discussioni da parte della critica e dei consumatori, che quasi all’unisono hanno gridato al capolavoro in ambo i casi. Ci siamo pertanto immersi completamente in questi due mondi, apparentemente separati, ed abbiamo scovato un impressionante numero di congruenze e un sottile velo psicologico che avvolge entrambi i filoni narrativi. Vorremmo che questo articolo possa divenire una fonte di dialogo e di scambio di vedute, poiché andremo a scomodare delle tematiche delicate e profondamente introspettive. Per prima cosa, però, vi presentiamo brevemente entrambe le opere, così da valutare il perché siano state acclamate come due tra i migliori titoli mai apparsi sul mercato degli ultimi anni.

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Dai meandri del mondo conosciuto, ecco le misteriose avventure di Made in Abyss, che irrompono in Occidente per profondità scenica, nella ricerca dell’equilibro tra innocenza e l’angosciante odore dell’ignoto. Il manga, scritto e disegnato da Akihiro Tsukushi, si apre a ventaglio in una serie di sfumature antropologiche appartenenti ai giorni nostri, affidando il più grande mistero del mondo conosciuto ad una giovane ma brillanta bambina di nome Riko. Il mondo distopico rappresentato non ha apparentemente più misteri per l’uomo che lo abita, fatta eccezione per l’Abisso: una immensa voragine fitta di forme di vita stravaganti e cimeli inestimabili. La città di Orth, che si erge tutt’intorno a questo inebriante crepaccio, è sede di un elevato numero di avventurieri impavidi e alla perenne ricerca di qualche preziosa conoscenza proveniente dai meandri inesplorati della voragine. 

La vita dell’intera cittadina ruota intorno all’affannata ricerca di conoscenza che seduce ogni uomo e donna, spingendoli a osare sempre di più, pur di agguantare quel sapere inaccessibile sepolto nelle profondità dell’Abisso. Così, spinta dal flebile ricordo della madre e un messaggio scritto da questa prima di lasciarla orfana, Riko si appresta a fare un viaggio di gran lunga al di là delle aspettative, mettendosi in gioco in scenari che accarezzano l’onirico, ma che, al tempo stesso, si annidano nei sogni più oscuri dell’animo umano. Ambientazioni surreali, che fanno da sfondo ad un abisso che si perde in una spessa nebbia, e l’animo imperturbabile della giovane esploratrice sono gli ingranaggi del successo di Made in Abyss, ma non è un caso. L’adattamento animato, creato da Kinema Citrus e importato da Dynit, ha ottenuto un riscontro così esplosivo da toccare la cinematografia, tanto che a breve potrà vantare di avere un film interamente dedicato all’omonima opera.

Laddove il destino della creazione di Tsukushi ha trovato dove brillare a livello globale, non è stato completamente lo stesso per The Promised Neverland. Non fraintendete: i due manga/anime sono qualitativamente sullo stesso piano, solo che il secondo ha mantenuto immeritatamente un basso profilo a livello di mercato, divenendo un prodotto di nicchia. Il titolo, scritto interamente da Kaiu Shirai e disegnato dall’esperto Posuka Demizu, ha avuto un inizio davvero stellare durante il Lucca Comics & Games 2017, in seguito all’acquisto dei diritti da parte di J-Pop. Anche in questo caso il protagonista, o meglio, i protagonisti sono dei bambini coraggiosi e ingegnosi, molto più maturi di quel che appaiono. Tra di loro brillano in tutti i campi Emma, una bambina energica e atleticamente eccellente, Norman, lo stratega del gruppo e molto simile a Elle di Death Note per acume, e Ray, l’enigmatico e taciturno lettore. Tutti loro vivono all’interno di un orfanotrofio, isolati dalla civiltà da sontuosi cancelli e spesse mura invalicabili. 

Un giorno i tre protagonisti, nel riportare un pupazzetto di peluche ad una loro amica partita per l’adozione, scoprono che nessuno in questi anni ha mai realmente varcato l’uscita dell’istituto in modo sereno. Alla vista del corpo esanime della bambina, i tre capiscono che qualcosa è andato storto, origliando una conversazione tra la loro governante e un gruppo di mostruosi esseri, i quali lasciano intendere di essere fortemente intenzionati a pendere la “carne prelibata” dell’orfanotrofio. Nell’udire queste scioccanti parole, ecco cadere a pezzi le certezze di tutta una vita, che ora lasciano spazio al mero istinto di sopravvivenza. Consci dell’essere ormai carne da macello per demoni e segregati in un fittizio rifugio per orfani, si darà inizio ad un profondo gioco mentale tra i bambini e la governante, così da preservare l’angosciante teatralità messa in scena fino a quel punto, per poi scappare senza destare sospetti. Un sottile gioco psicologico, secondo solo ad una pietra miliare del calibro di Death Note, riesce a rendere tangibile la tensione e la suspense, che rendono il titolo uno del thriller psicologici migliori su piazza. L’innocenza dei piccoli abitanti della struttura e la spietata crudeltà che cerca di assoggettarla stringono come una morsa i protagonisti, che si ritroveranno troppo spesso a barcollare nel buio morale che li ha ottenebrati per tutti questi anni. Ma quindi, quali sono gli ingredienti vincenti che rendono due opere così diverse paradossalmente così simili?

Un urlo sordo, un’innocenza piegata e una crociata all’insegna delle velleità, parole apparentemente vuote che però racchiudono la psiche dei giovani protagonisti di Made in Abyss e The Promised Neverland. Riko ed Emma, sebbene appartenenti a due contesti apparentemente molto diversi, racchiudono gli stessi drammi infantili e un’incrollabile forza di volontà, oltre che a un promessa che dà loro speranza. L’origine delle loro problematiche è, anche se non direttamente, legata alla loro condizioni di orfani: Riko, che abbandona la città per raggiungere il luogo dove è scomparsa la madre, ed Emma abbandonata sin dalla nascita e ora in cerca di una “terra promessa” dove rifugiarsi e trovare se stessa. Entrambe iniziano il loro viaggio da un orfanotrofio dove faranno amicizia con tantissimi altri bambini, condividendo con loro sogni e traguardi: la speranza e l’ingenuità sono le caratteristiche nobili che le rendono uniche. Eroine senza paura e capaci di risvegliare negli altri sentimenti a lungo sopiti, come se riuscissero davvero ad udire la voce nascosta nel profondo di ognuno di noi: un concetto già noto nella poesia di Pascoli. Nel panorama videoludico vi sono moltissimi esempi che fanno riferimento a questa sorta di “bambino psicologo”, primo fra tutti il celebre Undertale, che segue svariati dei canoni citati in precedenza e nello stesso modus operandi. 

Perfino l’Abisso e l’orfanotrofio, due luoghi così ben distinti e ai limiti del realismo, rappresentano invece una gabbia che incatena la conoscenza e la rilega in luoghi inaccessibili. Per Made in Abyss è il fondo del crepaccio, mentre per The Promised Neverland sono le spesse mura: niente è come sembra e l’ignoto appare più orrendo e temibile di qualunque mostruosa creatura. Entrambi gli scenari potrebbero diventare interessanti spunti per sviluppare prodotti maestosi e allo stesso tempo semplici, capaci di far breccia nel cuore degli appassionati con personaggi genuini e maturi. Così come ci insegna la letteratura italiana con la nascita del romanzo di formazione, anche il mondo videoludico dovrebbe coltivare di più storie così complesse e delicate, magari per sensibilizzare un vasto pubblico riguardo problematiche indigeste. Il forte e deciso contrasto tra la dolcezza, a livello di design, dei protagonisti e il crudo mondo che li ospita dona un sapore agrodolce alle opere assai gradito. Dal contrasto innaturale delle due caratteristiche, così marcate, nasce l’eroe fanciullo che tanto si decantava nelle opere classiche: la raffigurazione dell’animo umano reincarnato nella sua forma più pura. 

Non bisogna quindi sorprenderci se, nel corso degli anni, la figura dell’eroe fanciullo sia stata di grande impatto anche nel mondo videoludico, ottenendo eccellenti risultati dalla critica. Oliver di Ni No Kuni, Aurora di Child of Light e Sei di Little Nightmares sono solo alcuni degli esempi più clamorosi ed apprezzati del settore. Tutt’e tre bambini rincorsi da un profondo dramma infantile e forgiati in mondi distopici e spesso ostili, che però conservano in loro la perpetua luce della speranza. Oltre a Made in Abyss e The Promised Neverland, l’animazione nipponica ha avuto la prova in diverse occasioni di aver scovato la ricetta perfetta per metaforizzare la realtà e riproporla in una veste più intima. Basti pensare a La Città Incantata di Hayao Miyazaki e prodotto dallo Studio Ghibli per scovare ancora l’ennesimo esempio di come sia naturalmente apprezzato su larga scala accostare ambientazioni grottesche a figure infantili, non mancando il risultato. Al termine del nostro breve excursus speriamo di avervi fatto avvicinare ad alcune delle opere psicologicamente più profonde del settore e confidiamo di aver saputo parlare al fanciullo che è dentro di voi, anch’esso, sicuramente, un piccolo eroe.