Pixel Federation: l’intervista di VR Gamer dalla Gamescom di Colonia

Quando vi ho parlato dell’hands-on di CoLab, avevo accennato ad alcune domande fatte al game designer Jakub Remiar, della Pixel Federation. Ovviamente, non è mia intenzione trascurare questo aspetto, quindi eccoci qui con la loro intervista.

Ok, iniziamo con un’introduzione. Puoi dirci qualcosa di CoLab e Pixel Federation?

Con CoLab, Pixel Federation sta cercando di lanciarsi sui titoli più orientati verso il mainstream piuttosto che al trpla A, anche se al secondo ci stiamo comunque avvicinando con altri progetti. CoLab è il risultato delle nostre ricerche in VR iniziate intorno a gennaio. Abbiamo utilizzato Unreal Engine 4 per svilupparlo, ed è già disponibile una demo per Samsung Gear VR. Abbiamo dovuto lavorare molto per ottimizzarlo su cellulare, e infatti la grafica non è tanto bella quanto quella per Oculus, ma abbiamo voluto farlo ugualmente perchè vogliamo raggiungere il maggior numero di utenti possibile.

Quindi il vostro obiettivo è portare CoLab su ogni piattaforma VR?

Sì, il maggior numero possibile. Pixel Federation è nata nel 2007 ed è supportata maggiormente da giochi su Facebook, quindi stiamo messi piuttosto bene, e abbiamo deciso di rischiare, perchè ora è il momento migliore per entrare nel mercato VR, anche se al momento non permette di fare molti soldi. C’è bisogno di sperimentazione, ma anche di errori, naturalmente, ma noi abbiamo intenzione di arrivare fino in fondo.

So che Pixel Federation produce principalmente giochi gratuiti, giusto?

Sì. Tutti i giochi prima di questo sono gratuiti, compreso uno dei nostri ultimi progetti in cantiere, Galactic Junk League, ma CoLab è il primo gioco non gratuito. Stiamo anche tenendo in considerazione la possibilità di un multiplayer, sperimentando con il Touch e il Vive; il mercato è piuttosto fluido e dinamico, non è semplice capire in che direzione andrà. Sappiamo per certo che il mobile VR è attualmente molto più fiorente di quello su PC, in un rapporto di circa 9 a 1 credo. Poichè abbiamo deciso di essere su ogni piattaforma, il gioco utilizza un solo tasto per l’interazione, in modo che chiunque possa giocarlo, indipendentemente dalle periferiche a disposizione. Quindi è sicuramente nostra intenzione ottimizzarlo per cellulare,ma terremo gli occhi aperti per capire quali periferiche avranno maggior successo. L’unica piattaforma che ci manca, al momento, è il PSVR, stiamo ancora aspettando per avere il supporto da parte di Sony. E stiamo tenendo d’occhio anche il Google Daydream. Abbiamo già ricevuto il dev kit, il gioco funziona, per noi non sarà un problema.

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La vecchia versione di Colab non era così intrigante come quella attuale, no?

Cosa avevate in mente mentre sviluppavate CoLab? Quali titoli vi hanno ispirato di più?

Principalmente da Esper e da Portal. Certo non vogliamo diventare il prossimo Portal, vogliamo imparare da lui, ma non esserne un successore di qualche sorta: stiamo facendo qualcosa che Portal non può fare, visto che siamo in VR, ma possiamo fare cose che anche Portal ha già fatto per lo stesso motivo. Fondamentalmente, se avessimo voluto fare Portal, non avremmo potuto, sarebbe stato un incubo di motion sickness, la cosa peggiore di sempre. Abbiamo utilizzato la nostra esperienza per sfruttare tutte quelle cose che la VR può fare, come il movimento della testa, l’utilizzo dello spazio e della profondità, e soprattutto, creare un’esperienza gradevole per l’utente, gli FPS devono essere al massimo, il design del gioco non deve provocare nausea, e quindi dobbiamo ottimizzarlo con questi obiettivi in mente. Il gioco può anche essere bellissimo, ma se fa star male il giocatore, è tutto inutile.

So che esiste una versione precedente a questa di CoLab, qualcosa in apparenza più a tema horror…

Sì, diciamo che era una versione ancora molto provvisoria, ma non era nei nostri piani creare un horror, abbiamo sempre voluto optare per uno stile umoristico, non c’è motivo di sospettare la presenza di qualche jumpscare, ma comunque il gioco se ne approfitterà un pò di voi a volte.

Avete già molta esperienza nello sviluppo di videogiochi nel senso classico del termine. Cosa vi ha spinto a lavorare ad un titolo VR?

Eravamo alla ricerca di una sfida, e abbiamo notato il grande potenziale della VR. Sappiamo che ora non rappresenta un mercato affidabile, ma prevediamo che lo sarà, e noi vogliamo essere pronti: vogliamo acquisire l’esperienza ora. Riteniamo anche di essere in grado di fare alcune cose meglio di come le fanno alcune persone. Io personalmente ho cominciato ad interessarmi seriamente alla VR dal 2012 col Kickstarter del primissimo Oculus. Sono un psicologo, ho studiato le interazioni sociali attraverso gli avatars, ed è tutto molto interessante. Le ricerche che sto tenendo d’occhio sono della Stanford University, del reparto di interazioni umane virtuali, facendo riferimento in modo particolare al professor Jeremy Bailenson. Sono di grande ispirazione, e sto cercando di utilizzare ogni trucco possibile per garantire un’esperienza ottimale per l’utente. Ora Colab è una base di partenza, tutto quello che ci insegnerà lo potremo utilizzare in futuro per altri giochi in VR, magari sempre col concetto del free to play in mente.

Il problema principale della VR è sicuramente il motion sickness, voi come lo avete affrontato?

Una delle cose peggiori è che sviluppando, provi così tante volte la VR che diventa difficile capire se quello che stai facendo funziona o no, perchè, in un certo senso, diventi immune. E’ qualcosa su cui bisogna fare moltissima attenzione, perchè probabilmente, realizzando esperienze per cellulare, la gente entrerà in contatto con la VR per la prima volta proprio tramite un sistema mobile. Se le esperienze che provano le fanno stare male, è tutto il mondo della VR che ne risente, non solo il gioco, poichè l’utente potrebbe farsi un’idea totalmente sbagliata di cosa sia la realtà virtuale. Per ora, quindi, abbiamo optato per un sistema di movimento che abbiamo capito funzionare bene, ovvero il teletrasporto, e funziona talmente bene che Unreal possiede un plugin adatto a farlo. Ma siamo sempre aperti alle altre possibilità ovviamente, come il room scale. Esistono molti altri sistemi di movimento per la VR, ma pochissimi di loro credo che saranno il futuro, alcuni stanno provando a correre sul posto per muovere il giocatore, ad esempio. Molto utile è permettere al giocatore di capire dove finirà quando si teletrasporterà, dagli una sorta di anticipazione, come in Budget Cut, ad esempio. Attualmente, per me, il teletrasporto è la strada giusta. Bisogna anche considerare che il mercato ora è pieno di VR virgins, magari in futuro il motion sickness, una volta che la gente sarà abituata alla VR, potrebbe diventare un problema sempre più facile da risolvere.

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Siamo ormai sempre più convinti di questo: il futuro dei social è nella VR!

 

Avete in mente di creare altri giochi in VR?

Assolutamente sì, soprattutto sfruttando l’idea del multiplayer, qualcosa in stile Black Hat Cooperative magari, oppure qualche godmode style game, come Dungeon Keeper, abbiamo molte idee interessanti in mente, ma ancora non sappiamo di preciso cosa fare, dipenderà anche dalla piattaforma che sceglieremo di utilizzare.

Quali sono gli ostacoli che deve affrontare una persona quando sviluppa in VR?

Ottimizzazione. Senza alcun dubbio, uno degli ostacoli maggiori è l’ottimizzazione. Mi ricordo quando abbiamo cercato di fare un porting di una delle prime demo del gioco su un cellulare Android… andava tipo a 5 FPS. Tremendo. Se gli FPS non sono più che ottimi, allora non vale neanche la pena di chiamarla realtà virtuale. Bisogna cercare di far lavorare al meglio possibile il supporto a nostra disposizione, è di fondamentale importanza.

Secondo te, è possibile utilizzare la realtà virtuale per altre cose, oltre al videogioco?

Assolutamente. In quanto psicologo, ti dico che può essere utilizzata per moltissime altre cose. Uno degli aspetti migliori è che rappresenta un media emotivo. Fin’ora abbiamo visto noi stessi tramite le foto, i video, ma adesso, grazie alla VR, possiamo quasi incontrare noi stessi. Il metaverse sarà qualcosa di molto interessante, soprattutto quando bisognerà analizzare l’interazione sociale tra individui all’interno di un spazio virtuale, ma anche cose un pò spaventose, come cervelli virtuali, in grado di generare profili personali che imitano le interazioni sociali, che è una cosa meno lontana di quanto si creda.

Cosa ne pensi invece della realtà aumentata?

E’ un argomento difficile. Non sappiamo di preciso se tutto quello che ci stanno dicendo c’è davvero, come ad esempio quando hanno affermato che gli ologrammi sono così reali che hanno dovuto renderli appositamente finti perchè la gente non distingueva più realtà da finzione… Insomma, sicuramente al momento è qualcosa ai limiti dello sperimentale, e a mio avviso, serviranno almeno 5 anni affinchè l’AR possa arrivare a dove è oggi la VR. C’è ancora la possibilità che la VR fallisca miseramente per il videogioco, ma non così miseramente come negli anni 80-90, perchè esistono già degli impieghi in cui può funzionare egregiamente anche al livello attuale, ci sono moltissime applicazioni. Sarebbe comunque orrendo vederla fallire ora, visto che moltissime persone ci stanno investendo pesantemente.

Quindi sei d’accordo con Zuckerberg quando ha affermato che la VR sia la piattaforma più sociale di sempre?

Certo, e potrei parlarne per giorni. Anche secondo il professor Bailenson è così: interagire con un avatar in VR è davvero molto simile a quando interagiamo nella vita reale. Un esperimento interessantissimo è quello di mettere l’utente all’interno di una stanza virtuale dove sono presenti diversi avatar, alcuni di loro sono fermi immobili, altri si limitano a guardarti, altri invece hanno comportamenti perfettamente umani, con tanto di animazioni e possibilità di dialogo: più sono realistici, maggiore sarà il tuo bisogno di mantenere una certa distanza da loro. Questo perchè, come con una persona reale, siamo infastiditi quando qualcuno invade il nostro spazio personale.

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Jakub ci ha detto una cosa molto importante: chi crea giochi per VR ha una responsabilità importante, è suo dovere impegnarsi al massimo per garantire l’incolumità dell’utente.

Con la VR non siamo più fantasmi che vagano, siamo presenti, siamo effettivamente all’interno di un mondo, siamo fisici in un certo senso.

Esatto. L’università del Massachusetts ha definito tre aspetti fondamentali per creare un metaverse efficace, e la presenza di un individuo viene determinata da tre categorie: presenza ambientale, quando consideri presente l’ambiente intorno a te, presenza personale, quando hai la percezione di un corpo tuo, e quella sociale, quando consideri anche gli altri. Se ci sono questi elementi, l’esperienza può funzionare davvero molto bene. Non è necessario avere grafiche spinte, ma le emozioni che vengono generate nell’utente devo invece essere molto ben studiate.

Hai dei consigli per tutti coloro che vogliono sviluppare per la prima volta in VR?

Sì. A volte è molto difficile, ma è necessario imparare il più possibile e il più in fretta possibile. Bisogna cercare dei tutorial, bisogna mettere mano agli engine, come Unreal e Unity, ma bisogna sempre tenere in mente che abbiamo una responsabilità nei confronti del giocatore, non possiamo farlo star male e devi metterci passione. Mi ricordo la prima volta che indossai il DK1: rimasi assolutamente shockato, era davvero spettacolare. E stavo solo provando la demo per calibrare il visore. E soprattutto, la VR va provata, non puoi limitarti a guardare dei video sullo schermo del PC.

Anche perchè non stiamo cercando di offrirti un prodotto, è più un’esperienza quella che ti vendiamo, e non è possibile spiegare l’esperienza a qualcuno, c’è bisogno che la provi affinché capisca.

Esatto, stiamo vendendo un’esperienza prima di tutto.

Grazie mille! C’è qualcosa che vuoi dire alla comunità italiana di VR Gamer?

Certamente: la realtà virtuale è una grandissima opportunità. Se qualcuno ha anche solo un pò di esperienza nel settore, troverà molte persone pronte ad accoglierlo, anche se non fai videogiochi.

Subito dopo, ho indossato il visore e mi sono lanciato nella demo di CoLab, dove ho potuto sperimentare, effettivamente, diverse delle cose che ci siamo detto io e Jakub durante l’intervista, che è stata, secondo il mio parere, una delle più interessanti che potessi fare. Mi è stata di enorme ispirazione, ed è bello vedere persone così appassionate da voler tutelare la realtà virtuale sotto qualsiasi aspetto, non solo per il proprio prodotto, ma per il modo stesso in cui il mondo la percepisce. Tanta buona fortuna Pixel Federation!

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