Mesi fa, ha fatto parlare molto di sé un esperimento per Oculus Rift, dal titolo The Machine to be Another, ossia La macchina per essere un altro. Due individui, un maschio e una femmina, venivano posti l’uno di fronte all’altro, seminudi. Entrambi indossavano il Rift, con una telecamera posta al di sopra, che trasmetteva le immagini al proprio partner. Ognuno dei due controllava la telecamera dell’altro e, in questo modo, si aveva l’illusione di aver scambiato il proprio corpo, dal momento che l’uomo guardando in basso si ritrovava con fattezze femminili e viceversa.
Questo esperimento, dal sapore fortemente cyberpunk, apre uno dei più grandi dibattiti sulla VR, che potrebbe finalmente permettere a qualunque essere individuo di poter diventare quello che vuole, senza limiti. In una recente intervista, Marte Roel di BeAnotherLab, il creatore di questa esperienza, ha detto la sua opinione sui possibili usi della realtà virtuale oltre il gaming.
Dov’è la realtà virtuale oggi?
Questo è un momento molto entusiasmante: se è vero che la ricerca e lo sviluppo in VR prosegue dal boom iniziale degli anni ’80 e ’90, non si è focalizzata sul mercato consumer si da allora. Quello che ha soffiato nuova vita nel campo della VR, e ha causato un rinnovamento dell’interesse del pubblico, è lo shift radicale nell’ecosistema dello sviluppo tecnologico. Prima, gli strumenti e le tecnologie erano appannaggio esclusivo di grandi corporation e istituzioni di ricerca, ma adesso si hanno individui molto creativi e gruppi che lavorano al di fuori del sistema; che hanno a disposizione sistemi di raccolta fondi alternativi come il crowdfunding, strumenti di prototipazione rapida, accesso più facile alla manodopera a basso costo e una conoscenza open source che contribuisce all’accelerazione dello sviluppo e alla diffusione delle tecnologie.
La tensione tra le grandi corporation e l’ecosistema dei maker ha iniettato una tremenda dose di energia nel campo, che, al momento, non è ancora diventato un mercato di massa. Vediamo ancora molti degli stessi concept VR che esistevano più di 20 anni fa, ma questa tecnologia non esiste senza contesto; al contrario, lavora per creare il contesto. Per questo, dobbiamo affrontare un’importante domanda: vogliamo davvero continuare a costruire sopra quello che ci è stato fornito dal nostro attuale contesto socioeconomico e tecno-culturale? Vediamo questo stato altamente energetico e fluido della VR come un’opportunità per lavorare allo scopo di creare un contesto più a misura d’uomo, che risolva alcune delle debolezze del precedente boom della VR e dell’informatica in generale.
Qual è la più grande sfida che il medium della realtà virtuale deve affrontare nei prossimi cinque anni?
Ci sono tre diversi campi in cui possiamo trovare sfide fondamentali: il sociale, la ricerca e il design. Dal punto di vista sociale, che è forse il più importante, dobbiamo parlare di quello che entrerà nei limiti del contesto attuale; ci sono molte tecnologie che influenzano la nostra concezione di cosa costituisce un'”esperienza virtuale”, dalla stimolazione magnetica transcraniale alle droghe psicoattive, ma queste non sono comunemente contenute all’interno del nostro attuale contesto sociale. D’altro canto, ci sono molte esperienze virtuale, o strumenti virtuali che sono usati e stanno diventando sempre più accettati. Guardate Tinder per esempio: 10 anni fa, non era accettato andare agli appuntamenti usando degli strumenti online come mediatori di esperienze reali. Qualunque siano le future applicazioni che si diffonderanno nel futuro immediato, emergeranno dal loro confino al contesto attuale ed è qui che l’energia e la creatività devono essere applicate.
Per quanto riguarda la ricerca recente e nell’immediato futuro, noi crediamo che la ricerca nella percezione multimodale sia fondamentale per capire come costruire delle solide esperienze virtuali, e forse persino delle esperienze sensoriali nuove. Sulla base del concetto di percezione come facoltà sensomotoria, se siamo capaci di manipolare le contingenze sensomotorie, potremo essere in grado di costruire nuove forme di percezione.
Infine, la sfida central del design è di integrare tutto questo in un prodotto user-friendly, magari portatile, che allo stesso tempo sia significativo in una vasta serie di diversi contesti sociali e culturali.
Qual è la tua visione del futuro della VR?
La nostra visione sul futuro forse è simile a quella degli altri miei colleghi: dev’essere pervasiva attraverso diverse industrie, accessibile a tutti, integrata nel tessuto dell’interazione sociale, gli spazi virtuali collettivi e le esperienze devono diventare significative come la realtà. Ma per noi, questo shift culturale e tecnologico verso il virtuale, in cui le interazione sociali avvengono sempre più a distanza e questa coesione è mediata attraverso dei sistemi d’informazione centralizzata, non è qualcosa che vediamo come inevitabilmente utopica od ottimali. In parole povere, non importa da che parte vedete la questione; avrete comunque la vostra faccia dentro una scatola, e siamo preoccupati su cosa questo vuol dire per la cultura umana. Il risultato è che il nostro approccio è in qualche modo una reazione di questo futuro anticipato, dove tentiamo di risolvere dei grandi problemi sociali e gestire i paradigmi d’interazione in maniera critica, co-optando tecnologie esistenti per riportare il focus verso l’elemento umano.
Qual è la “killer app” della VR? Il gaming? La fruizione di media? Il turismo virtuale? Qualcos’altro?
Ridurre il potenziale della VR, identificando il bisogno di una “killer app”, trattiene l’industria, che già soffre dall’essere strettamente preoccupata con il monetizzare le applicazioni e commercializzarle all’interno di strutture stabilite. Quello che abbiamo di fronte a noi è uno shift culturale molto più ampio su come gli umani interagiscono con e attraverso spazi informativi virtuali e remoti, a causa principalmente delle nuove interfacce, che stanno diventando multimodali e immersive. Siamo, ovviamente, all’inizio di questo shift, e siamo a questo punto fin dagli anni ’80 per quanto riguarda la VR, ma uno degli aspetti chiavi è che questo è un complesso processo di co-evoluzione della tecnologia e di come gli umani percepiscono la realtà. La “killer app” della VR sarà qualcosa di molto più dinamico, che è limitato dalla nostra concezione di realtà ed è capace di avere un vasto impatto sul comportamento dell’umanità, non sarà una semplice applicazione da usare una volta e basta.
Cosa sta facendo la vostra compagnia o progetto per rendere la VR un prodotto consumer?
L’ambizione che guida il nostro progetto è sviluppare tecnologie che facilitano l’empatia e il benessere sociale. Mentre altre compagnie si focalizzano su sfide di mercato o tecnologiche che riguardano già l’industria, noi stiamo facendo un salto, sviluppando e ideando per future applicazioni che noi crediamo diventeranno pervasive.
Svolgiamo questo compito attraverso un network distribuito di ricerca e sviluppo, dove possiamo esplorare applicazioni di nicchia in vari campi attraverso partnership con player chiave, come il MIT e l’ONU, mentre simultaneamente connettiamo questi sviluppi con la più ampia comunità open-source. Concretamente, lavoriamo a strumenti per la risoluzione dei conflitti, a un design centrato sull’uomo, ad arte interattive ed esperienze storytelling, oltre a fare ricerca nella scienza cognitiva, nella percezione del dolore, delle fobie, nella dismorfia e della neuroriabilitazione.
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