Kinect, Amoeba, Emotiv: movimenti, sensazioni e pensieri virtuali

BrainCompute_01Spesso le nuove tecnologie hanno i loro sostenitori così come anche i loro detrattori, e spesso ci si interroga se questo o quel nuovo dispositivo, pur agevolando alcuni aspetti della nostra vita, non rischi in realtà di prendere il sopravvento. Tralasciando qualsiasi apocalittica prospettiva asimoviana, non ‘è dubbio che alcune delle tecnologie più interessanti rischino di minare la nostra libertà (intesa in senso lato) di individui, trasformando in controllo costante la nostra “dipendenza” da tecnologia. E’ forse inutile ribadire come il massiccio utilizzo di internet, porti volente o nolente alla violazione della nostra stessa privacy. Ma, mentre durante la canonica navigazione in rete siamo noi a scegliere arbitrariamente i contenuti da visualizzare, alcune delle più recenti tecnologie si apprestano a farlo per noi, grazie alla capacità di riconoscere il nostro interesse nei confronti di determinati contenuti piuttosto che di altri.

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Ciò sarebbe in teoria possibile per tutti quei dispositivi in grado di catturare le nostre reazioni e sensazioni. Andando un po’ indietro nel tempo (ma neppure troppo), la periferica per l’acquisizione del movimento Kinect (realizzata prima per Xbox 360 e poi per Xbox One di Microsoft) si potrebbe considerare uno dei primi dispositivi di questo genere. Premesso che non è questa la sede per elucubrazioni varie di stampo complottistico, c’è da considerare che la capacità di Kinect di riconoscere non soltanto i movimenti del corpo ma anche le espressioni del volto, renda la periferica in grado di mappare attraverso le nostre reazioni quali contenuti sono di nostro gradimento e quali no. E se siamo con essa collegati alla rete i dati raccolti possono raggiungere potenzialmente chiunque. Certo al tempo (e probabilmente tutt’ora) questa tecnologia non è stata realizzata con l’obbiettivo di tracciare così a fondo le nostre sensazioni da creare una mappa dei nostri interessi, ma altri dispositivi, invece, lo sono, o sono in fase di progettazione proprio a tal scopo.

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Ne è un esempio Amoeba (della quale si è già parlato sempre su questo portale), il monocolo in grado di scegliere per noi i contenuti che ci interessano così da ottimizzare i tempi di ricerca su internet. Questa volta il rilevamento delle sensazioni non avviene soltanto per mezzo delle microespressioni del volto, ma anche attraverso l’archiviazioni di altri dati, come il calore emanato dal nostro corpo, la microsudorazione, la dilatazione delle pupille. I dati così raccolti non fanno altro che tradursi in parametri con la quale i contenuti vengono man mano catalogati, finché non ci vengono proposti soltanto quelli di nostro interesse. Questo processo potrebbe portare a una raccolta di informazioni personali estremamente accurata, il che porterebbe ad una conoscenza dell’individuo così profonda, da sapere esattamente ad esempio, quale prodotto scarterebbe e a quale non potrebbe rinunciare.

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Ma la tecnologia non sembra essersi fermata (non che fosse disposta a farlo in effetti) e si è raggiunto anche il passo successivo. Senza dubbio le nostre informazioni più profonde e intime, anche se possono essere “captate” tramite il nostro corpo, si trovano pur sempre nella nostra mente. Come sempre, anche se un dispositivo non nasce con lo scopo di rubarci le informazioni, non è detto che non sia in grado di farlo. E’ il caso delle cuffie Emotiv. Il dispositivo nasce  (come per Kinect, ma non soltanto) a scopo video ludico, in quanto il suo impiego permette di sondare i segnali prodotti del cervello e tradurli in azioni da compiere all’interno di un videogioco, dando praticamente ai giocatori la possibilità di agire con il solo pensiero sull’ambiente virtuale. L’Emotiv è uno strumento simili ad una macchina per l’elettroencefalografia, che si presenta come una calotta dotata di quattordici elettrodi che si estendono lungo la parte posteriore della testa andando a ricoprire la superficie del cranio. L’Emotiv legge letteralmente i nostri pensieri traducendoli in input informatici, permettendoci quindi di impartire dei comandi. Tale dispositivo, se posto “in mani sbagliate” (mi si conceda l’espressione), diverrebbe uno strumento per la lettura di codici bancari, PIN e informazioni di ogni genere.

Questi sono soltanto alcuni esempi delle tecnologie in grado, seppure create allo scopo di aiutarci nel quotidiano, di mettere seriamente a rischio la nostra privacy, e alcuni esperti del settore già tendono a segnalare questo pericolo. Più permettiamo alla tecnologia di mettersi a nostra disposizione, più siamo noi a metterci a disposizione della tecnologia?

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