Recensione Un marito a metà

Le commedie, soprattutto nel mercato dell’intrattenimento italiano, stanno assumendo sempre un peso maggiore, sia a livello di incassi sia a livello di produzione, poiché se ne realizzano così tante da riempire i cinema nostrani, oscurando alcune volte delle uscite di forte impatto sul pubblico. Il genere, che all’apparenza può sembrare saturo e non garantire nuove idee, confeziona in alcuni casi dei prodotti davvero ben fatti, come nel caso di Un marito a metà (Garde altèrnee), lungometraggio francese scritto e diretto a Alexandra Leclère (Le Prix à payer, Maman), in arrivo il 30 agosto nelle nostre sale, distribuito da Officine UBU, ma già rilasciato nel paese d’origine il 20 dicembre 2017. L’opera, ispirata ad una storia autobiografica della regista stessa, tratta un argomento piuttosto attuale, cioè la crisi matrimoniale, con un taglio surreale ed estremo, tipico della nazione che ha realizzato titoli del calibro di Quasi Amici (2011) e Il favoloso mondo di Amèlie (2001).

L’incipit è assolutamente assurdo, ma al tempo stesso geniale: e se una moglie scoprisse il tradimento di suo marito e si mettesse d’accordo con l’amante, per vivere con lui a settimane alterne con l’altra? Nonostante la sceneggiatura dia l’impressione di qualcosa di già visto, sa comunque regalare dei momenti di ilarità genuina, senza mai scadere nel volgare e tantomeno nel banale. Questo è anche merito dell’ottimo cast, composto da Valerie Bonneton (Piccole bugie tra amici, Un amore di gioventù) nei panni della moglie Sandrine, Didier Bourdon nel ruolo del marito Jean (Il tulipano d’oro, Un’ottima annata) e Isabelle Carrè, che interpreta l’amante Virginie (La piccola Lola, Troppo amici), ma anche gli attori che compariranno meno su schermo saranno importanti per lo svolgersi degli avvenimenti e per rendere la trama ancora più convincente, creando delle situazioni imbarazzanti e quindi comiche.

Un altro aspetto chiave della vicenda è l’evoluzione notevole che subiranno i personaggi nel corso della storia.

Un altro aspetto chiave della vicenda è l’evoluzione notevole che subiranno i personaggi nel corso della storia: per quanto la situazione iniziale sembra assolutamente scontata, ci saranno diverse sorprese inaspettate che li coinvolgeranno e, oltre a strappare qualche sorriso, faranno riflettere su quanto accaduto in maniera leggera, senza incappare in ragionamenti filosofici di chissà quale entità. La stessa creatrice di Un marito a metà, infatti, ha dichiarato che il suo intento non era quello di costruire una critica programmatica sul legame coniugale ma creare qualcosa di divertente, con l’assenza di un obbligo di una morale di fondo che renderebbe il tutto più lento e cervellotico.

Jean in difficoltà di fronte alla sue due donne.

Queste parole dimostrano una cosa molto importante: anche se solitamente un film per essere brillante è supportato da un insieme di tematiche e ragionamenti di un certo spessore, non è detto che lo debba essere per forza, come in questo caso, in cui si è di fronte ad una commedia intelligente che intrattiene ugualmente il pubblico in maniera egregia. C’è però sempre da sottolineare che in questo tipo di prodotti, se non si ha un copione scritto in maniera puntuale e precisa, incastrando alla perfezione le varie scene, non si riesce ad ottenere il successo sperato, in quanto il supporto dello script è fondamentale.

Quello che però stona un pochino con il resto degli altri eventi che avvengono all’interno della storia, è il finale, che è sulla stessa linea estrema del resto, ma che forse è fin troppo esagerato e assurdo: una volta visto, lascia un po’ di amaro in bocca, poiché ci si aspettava qualcosa di molto più tradizionale e classico. Consigliamo quindi a tutti, sia ai più avvezzi a questo tipo di racconti, che ai più seriosi, di andare a vedere il film, poiché riuscirà a tenervi incollati allo schermo e difficilmente potreste resistervi.

 

 

 

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