Come gli Westwood Studios rivisitarono Blade Runner

La via del tie-in, non finirò mai di ripeterlo, è una delle più affidabili scorciatoie per il fallimento: annali alla mano, risulta in effetti impossibile tenere il conto delle software house che, nel tentativo di convertire in pixel questo o quel blockbuster cinematografico, hanno finito col rimetterci faccia e capitale. Se quest’assunto vale come un comandamento per operazioni men che convenzionali, leggi la trasposizione di un qualsiasi Spy Kids, la decisione di coinvolgere nell’operazione una delle opere più acclamate del ventesimo secolo parrebbe esprimere la palese volontà di abbandonarsi al suicidio produttivo. Potete in tal senso immaginare quali furono le reazioni dei più alla notizia che la Westwood Studios si apprestava a rivisitare la cosmologia di Blade Runner in salsa adventure…

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Grazie ad una riuscita amalgama di elementi poligonali e fondali renderizzati, l’affresco grafico allestito dai Westwood Studios catturava appieno il fascino dell’ambientazione della rispettiva opera cinematografica, dimostrandosi per giunta in grado di reggere in maniera sorprendente al passare degli anni.

Strisciando sull’esile confine che separa il coraggio dalla stupidità, i ragazzi della major americana riuscirono tuttavia ad addomesticare il gigante e regalare ai seguaci del classico di Ridley Scott un motivo in più per amarlo. Piuttosto che pescare a man bassa da una storyline già di per sè in grado di dar vita a ben più di un singolo videogame, questo novello Blade Runner si proponeva infatti il ben più elevato obiettivo di penetrare ancor più affondo nelle viscere della visionaria Los Angeles vista sul grande schermo, puntando l’obiettivo sul personaggio di Ray McCoy: un giovane Cacciatore di Replicanti incaricato di far luce su un insolito crimine perpetrato da due androidi a piede libero.

Nel tessere le articolate trame di un’ indagine dai risvolti decisamente sorprendenti e le accennate venature Action, la riflessiva visione di gioco proposta ci avrebbe permesso di esplorare finalmente in prima persona i luoghi che avevano caratterizzato l’epopea di celluloide dell’agente Deckard offrendoci, di rimando, l’occasione di interagire con alcuni dei personaggi che ne determinarono lo sviluppo, nonché l’opportunità di scoprire nuovi, inquietanti dettagli sull’operato della Tyrrell Corporation… Il tutto infiocchettato ad arte da un concept di tale impatto da aver resistito egregiamente al trascorrere del tempo.

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Gli interrogatori ai sospetti Replicanti potevano essere praticati anche tramite l’applicazione del famoso Voight-Kampff Test: la procedura sinaptica protagonista di una delle sequenze più memorabili della pellicola firmata da Ridley Scott nel 1982.

Oggi come allora, il Blade Runner dei Westwood Studios riesce in effetti a stupire il per la sua complessità strutturale: una qualità che non emerge unicamente dai seducenti tratti di un comparto visivo ancora all’avanguardia. Pur essendo intervallato da alcune sequenze di leggera connotazioneShooter e dalla presenza di alcuni enigmi di matrice logica, il dipanarsi dell’ avventura avrebbe difatti seguito binari prevalentemente investigativi, trovano il proprio climax nell’ambito di interrogatori la cui natura anticipava la complessità proposta in sede da un cult-game molto più recente quale L.A. Noire.

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Per nulla invadenti e sempre giustificate nell’economia della storia, le sequenze action rappresentavano un valore aggiunto.

Se aggiungiamo al tutto la possibilità di giugnere a 6 differenti epiloghi strettamente legati alle singolari conclusioni tratte nel corso dell’indagine, capirete come mai c’è chi è solito inquadrare questo progetto anche come antesignano di hit moderni quali Fahrenheit ed Heavy Rain. Alla luce di quanto detto, non posso che suggerire a tutti i fan del capolavoro di Ridley Scott di rintracciare questo gioiello al più presto sollecitando, in parallelo, anche i soli amanti delle avventure grafiche. Ben pochi esponenti della categoria in questione sono stati d’altronde in grado di abbinare un impianto produttivo di questo spessore ad una tale versatilità narrativa.

Attivamente Impegnato nel settore editoriale dal 2003, ha scritto per le più note riviste videoludiche italiane, concentrandosi spesso nell'area Retrogaming. Dopo aver pubblicato il saggio Storia delle Avventure Grafiche: l’Eredità Sierra, svolge ruolo di docente presso l’Università degli Studi Link Campus di Roma in collaborazione con la Vigamus Academy rivestendo, in parallelo, la carica di Vice Direttore del mensile multipiattaforma V.