Carissimi lettori di VMAG, bentornati sulle nostre pagine con un nuovo capitolo dell’amata FutuRetrò. Quest’oggi, dopo ben nove episodi nei quali abbiamo trattato capolavori del passato, siamo pronti a concludere in bellezza la rubrica, raccontandovi, nell’ultima puntata, di un gioco capace di entrare nell’immaginario collettivo di tutti i player del mondo, di rivoluzionare, insieme alla saga di Resident Evil, i survival horror dell’epoca e di consacrare nell’olimpo dei migliori developer Shinji Mikami: stiamo chiaramente parlando di Dino Crisis, uscito nell’ormai lontanissimo 1999, il quale fu contraddistinto da un tessuto narrativo complesso e articolato, un gameplay sfaccettato e unico nel suo genere e da un’atmosfera così dark e claustrofobica, in grado ancora oggi di avvolgere l’utente, lasciandolo senza respiro. Insomma, mettetevi comodi ed iniziamo il nostro viaggio nei meandri della magnetica Ibis Island, attraverso la geniale follia del Dottor Kirk e seguendo le vicende di una squadra speciale che si scontrerà con qualcosa di dannatamente più grande di loro.
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Dino Crisis.
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La contorta trama di Dino Crisis si dipana nel futuro (riferendoci all’epoca d’uscita del titolo), esattamente nel 2009, dove il corpo militare “Secret Operation Raid Team”, abbreviato in S.O.R.T, invia un proprio agente, Tom, ad indagare sugli strani esperimenti condotti da uno scienziato creduto morto fino a poco tempo prima: ovvero il geniale quanto squilibrato Edward Kirk, il quale, in una gigantesca struttura laboratoriale, ha conseguito scoperte uniche sul fronte delle “Energie”. Purtroppo, però, dopo l’arrivo iniziale di alcune informazioni sulla base da parte di Tom, egli risulterà scomparso, e per risolvere la questione viene coinvolto un team composto da quattro soldati: Gail, capo squadra, Rick, Regina e un altro elemento, il quale, dopo essersi paracadutato a parecchia distanza dai suoi colleghi, verrà assalito da un T-REX e ucciso all’istante. Il trio, completamente all’oscuro delle fameliche presenze sull’isola, si troverà ad esaminare scie di cadaveri spappolati e sminuzzati, e noteranno per tutta la struttura i resti degli scienziati che lavoravano con il dottore. Nessuno, ovviamente, crederà alla presenza dei dinosauri, fino a che la protagonista, ovvero Regina, non ne affronterà uno, salvandosi grazie all’intervento di Gail che però cadrà da uno strapiombo insieme al rettile.
A questo punto si inizieranno a palesare tutte le creature presenti nella struttura, e l’obiettivo del duo rimasto sarà quello di riattivare l’antenna dell’avamposto per lanciare un S.O.S, riuscendo, al contempo, a recuperare Kirk e portarlo via. Dobbiamo fermarci qui per non rischiare di rovinarvi completamente l’avventura, ma vi basti sapere che la storia di Dino Crisis non soltanto risulterà semplicemente stupenda e ricca di colpi di scena, ma sfocerà anche sul fantascientifico, aprendo a risvolti tanto unici quanto assolutamente coerenti e credibili con le basi poste in precedenza. Sarà un viaggio arduo, difficoltoso e ansiogeno, contraddistinto dalla perdita di amici, colleghi e compagni di squadra, e non a caso sarà narrato sempre nel completo buio della notte, scelta volta quasi a sottolineare l’angoscia e il tormento provato in un incubo senza fine. Oltre a ciò, il giocatore avrà la facoltà di scegliere di sua iniziativa determinati bivi narrativi, potendo indirizzare sia la storia in uno dei numerosi finali presenti nel titolo che decidere, inconsapevolmente, le sorti dei personaggi che ruoteranno intorno a Regina. Qualcosa di incredibile per una produzione concepita 20 anni fa.
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Dino Crisis perfeziona e porta al massimo splendore un aspetto già presente in altri titoli horror di Capcom dell’epoca: gli enigmi ambientali, qui inseriti sì in quantità industriali ma caratterizzati da un’attenzione spaventosa per i dettagli.
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Le soddisfazioni migliori, però, giungeranno dal gameplay, il quale per l’epoca rappresentava uno standard mai raggiunto prima da nessun titolo appartenente al genere dei Survival Horror. Difatti, come sicuramente saprete, il team di sviluppo che lavorò a Dino Crisis era esattamente lo stesso di Resident Evil 1 e 2, e non a caso il feedback di gioco era piuttosto simile. La visuale risultava sempre fissa e posta in alto, il player giocava in terza persona e le aree erano sempre delimitate da porte che fungevano da caricamenti, attraverso la geniale, e indimenticata, animazione dell’apertura della stessa, la quale conferiva anche un tocco ansiogeno in più. Anche sotto il profilo della giocabilità le due saghe condividevano molti aspetti: vi era una penuria di armi e munizioni, le quali dovevano esser trovate attraverso un’accurata esplorazione, Regina era obbligata a curarsi in caso di ferite attraverso dei Medikit, che potevano essere combinati tra di loro per ottenere una capacità terapeutica superiore (non vi ricordano le erbe?), e il backtraking, questa volta sotto forma di tessere invece che di chiavi, oltre a risultare oculato e mai frustrante, permetteva di proseguire nella storia attraverso la scoperta di codici o strumenti indispensabili.
Sicuramente vi starete chiedendo: “Alla fine sono solo meccaniche riciclate e inserite in un diverso contesto”. In parte questo ragionamento è vero e innegabile, ma Dino Crisis perfeziona e porta al massimo splendore un aspetto già presente in altri titoli horror di Capcom dell’epoca: gli enigmi ambientali, qui sì inseriti in quantità industriali ma caratterizzati da un’attenzione spaventosa per i dettagli, definibili, a mani basse, leggendari, indimenticabili e annoverabili nei libri di storia del videogioco. Infatti, per ottenere risorse uniche, proseguire nella storia e raccogliere tutti gli oggetti era necessario esplorare ogni singolo anfratto della mappa di gioco, scrutare accuratamente in ogni manoscritto esistente e, insomma, vivere il titolo come se anche noi fossimo stati realmente intrappolati in un’isola sperduta nell’oceano. Oltre a dei codici segreti, per continuare la storia era necessario scovare dei dischetti speciali, i quali al loro interno celavano la password nascosta per sbloccare la porta: per essere completati, però, bisognava utilizzare l’intelletto, sbatterci la testa, ragionare accuratamente sulle azioni da eseguire, come nel caso dell’unione dei flussi, della composizione dello stabilizzatore e inizializzatore o per riprodurre una sequenza di suoni ascoltando specifiche registrazioni. Insomma, per tutta la sua durata Dino Crisis sapeva stupire, sorprendere e lasciare a bocca aperta l’utente, coinvolgendolo in un vortice di emozioni contrastanti: paura e ansia di non riuscire a completare l’incarico, mista a gioia e soddisfazione per la risoluzione del rompicapo.
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Sia la direzione artistica che le atmosfere proposte avevano un fascino unico: ammalianti e seducenti ma al tempo stesso disturbanti e repellenti, unite in un connubio antitetico difficilmente visto prima.
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Ad accrescere il potenziale di questo capolavoro senza tempo fu la presenza di un comparto tecnico “sloga mascella” per l’epoca: Dino Crisis, infatti, invece degli sfondi pre – renderizzati tipici dei giochi appartenenti alla saga di Resident Evil, utilizzò un motore grafico con elaborazione dati in tempo reale e dotato di reali ambienti 3D. Tutto ciò permise tanto la creazione di luoghi credibili quanto di fornire maggiore realismo agli accadimenti, riuscendo a coinvolgere maggiormente l’utente. In più sia la direzione artistica che le atmosfere proposte avevano un fascino unico: ammalianti e seducenti ma al tempo stesso disturbanti e repellenti, unite in un connubio antitetico difficilmente visto prima. Senza dimenticarci, chiaramente, della splendida e commovente colonna sonora e, in generale, dalle incredibili soundtrack disponibili, capaci di rendere i momenti più concitati particolarmente frenetici e al cardiopalma.
Cosa dire di più: Dino Crisis è, senza ombra di dubbio, uno dei migliori titoli di tutti tempi, certamente uno dei più gloriosi e apprezzati dell’immortale PlayStation One, che ha avuto, però, la sfortuna di possedere tutti sequel raffazzonati e lontani anni luce (soprattutto dopo il secondo episodio) da quanto realizzato con il primo capitolo. Da una parte è anche paradossale che Capcom, avendo un brand incredibile come questo, non sia ancora riuscita a riportarlo in auge, come invece ha compiuto con Resident Evil. L’augurio è che possa tornare prima sotto forma di remake, concedendo, così, la possibilità a chiunque di apprezzare un titolo di tale caratura, e poi di rilanciare il franchise con prodotti all’altezza. La speranza è l’ultima a morire, ma, in attesa di sviluppi futuri, in caso non l’abbiate mai fatto, vi consigliamo davvero con il cuore in mano di gettarvi in quest’avvenuta così unica da togliervi il fiato.
Se siete arrivati fino in fondo, vi preghiamo di ascoltare la soundtrack “Reminiscence”, la quale nel titolo chiudeva l’esperienza di gioco accompagnando i titoli di coda, mentre qui concluderà, con un pizzico di nostalgia, semplicemente l’articolo.
https://www.youtube.com/watch?v=rZ2rIDWGNeU