Recensione Godless

Nel promettente universo del piccolo schermo, esiste un prima e dopo Westworld. La creazione di Jonathan Nolan e sua moglie, Lisa Joy, ha rilanciato il genere western, contaminandolo superbamente con la fantascienza. Altro esempio del ritorno della Frontiera lo abbiamo con la Torre Nera, film uscito ad agosto tratto dalla saga di Stephen King, che ibrida il mondo dei pistoleri con il fantasy. Poi c’è Godless: la miniserie televisiva di 7 episodi ideata da Scott Frank e Steven Soderbergh. Uscita il 22 Novembre su Netflix, si presenta in una veste classica senza modificare troppo gli stilemi di Leone e soci, aggiungendo però anche qualche tematica interessante e attuale. La trama è molto lineare: un gangster spietato è alla ricerca di un suo scagnozzo, che lo ha tradito durante una rapina a una diligenza ed è scappato con la refurtiva. Il fuggitivo, braccato dai malviventi, si rifugia in una piccola cittadina, che lo tiene nascosto segretamente. La sceneggiatura in tal senso è semplice, ma efficace, con non troppi fronzoli e dettagli inutili.

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Da qui parte un viaggio che coinvolge personaggi interessanti e molto ben caratterizzati, sia i principali sia i secondari, andando a creare delle relazioni narrative dinamiche, davvero ben costruite. Le figure più emblematiche sono sicuramente il già citato villain Frank Griffin (interpretato da un magnetico Jeff Daniels) con una personalità profonda e complessa, la sua nemesi Roy Goode (il talentuoso Jack O’ Connell) un farabutto pentito, lo sceriffo Bill Mc Nue (Scott Mc Nairy) in cerca di redenzione e la solitaria Alice Fletcher (impersonata da una convincente Michelle Dockery). Altre menzioni degne di nota sono sicuramente la sorella dello sceriffo, Maggie Mc Nue, donna dall’invidiabile coraggio, e lo squallido giornalista Grigg, odioso in diversi momenti della narrazione. Sicuramente quello che salta all’occhio è il realismo che traspare nelle interpretazioni dei vari attori: davvero molto efficaci e mai banali nelle loro prove recitative.
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Tra i punti di forza ci sono sicuramente il background della città di La Belle, al centro dell’intera storia, e i continui riferimenti all’odio razziale, piaga di quel periodo storico.

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La vicenda si snoda in questa piccola comunità abitata solo da donne, a causa di un tragico incidente minerario. Questa è una metafora dell’emancipazione e indipendenza della figura femminile. Spesso gli episodi sono spezzati da dei flashback presentati con un filtro giallognolo e con delle gradazioni di grigio, che approfondiscono il passato dei diversi personaggi e narrano dei retroscena dietro alcuni degli eventi più importanti dell’opera. I ricordi non sono in quantità massiccia: sono piacevoli da guardare e spesso interrompono sapientemente la narrazione, dando maggior respiro alla vicenda. Altro elemento da sottolineare è l’attenzione per il contesto storico in cui si svolgono gli avvenimenti, con allusioni a fatti e personaggi appartenenti a quegli anni a cavallo tra il diciannovesimo e ventesimo secolo. Protagonista assoluta di queste lunghe 7 puntate (della durata media di un’ora ciascuna) è la musica.

Quello interpretato da Jeff Daniels è un cattivo carismatico e ambiguo.

Le tracce musicali, curate da Carlos Rafael Rivera, propongono una struttura molto canonica e in linea con il genere di riferimento: sono molto spesso azzeccate e particolarmente ispirate. Le citazioni, seppur velate, sono un grandissimo tributo ad Ennio Morricone, uno dei più grandi compositori viventi, reso per l’appunto celebre per aver curato colonne sonore per film dello stesso genere. Le scene d’azione, che ricalcano i grandi classici come il Buono, il Brutto e il Cattivo, il più recente Django Unchained del maestro Tarantino, sono poche ma efficaci: quello che basta per attirare l’attenzione dello spettatore. Le riflessioni e i dialoghi spesso scavalcano le parti più movimentate, rendendo i primi due episodi lenti rispetto agli altri, anche se progressivamente il ritmo aumenta in un crescendo che esplode nel magistrale finale.
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Il tradizionalismo è sia un pregio sia un difetto.

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Questa severa impostazione derivata dai film western rende il tutto molto godibile, tuttavia è presente una mancanza di innovazione. Ci sono senza ombra di dubbio delle trovate particolari e inusuali, ma non offrono abbastanza per cambiare una struttura che è molto legata al passato. Questo penalizza Godless in maniera significativa? Assolutamente no, il prodotto è comunque ottimo e merita più di una visione per essere compreso in tutte le sue sfaccettature. In conclusione, consigliamo la serie a chiunque cerchi un approccio molto fedele e appassionato al western, descrivendo delle situazioni molto ben sceneggiate e curate, concentrandosi in maniera particolare sulla psicologia e sull’interazione tra i vari soggetti dell’intera avventura. In attesa della nuova serie dei fratelli Coen, The Ballad of Buster Scruggs, che riprenderà sicuramente qualche elemento dalla serie, questo è un ottimo modo per prepararsi ad una nuova lettura di questo intramontabile cosmo fatto di revolver, sparatorie e diligenze.

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