Il vero titolo del film non è Birdman. È L’imprevedibile virtù dell’ignoranza.

E se lo spettatore ci facesse caso attentamente, prima di vedere l’ultima pellicola di Innàritu, è possibile che sveli in anticipo l’intero finale del film. Film, questo, che fa leva su un attore fallito in cerca di riscatto, interpretato da Michael Keaton, che ha il sapore dell’omaggio personale, un tributo metacinematografico al Batman di Burton, icona che si è “appollaiata” su Keaton nel corso degli anni e a cui l’attore non ha mai dato un terzo capitolo, per paura di scadere nella petulanza dei cinecomic hollywoodiani moderni. Detestati, tra l’altro, anche da Edward Norton (secondo attore di punta del film), avendo rinnegato il suo Incredibile Hulk e gli Avengers tutti.
Proprio come accade al Birdman, icona supereroistica anni ’90 caduta nel dimenticatoio, ma ancora presente nella testa di Riggan Thompson.
Anzi, sulla testa.

Ma L’imprevedibile virtù dell’ignoranza è, oltre che un delicatissimo omaggio biografico, un film sulla capacità di fare soldi con la notorietà virale, coi click e le visualizzazioni su Twitter e YouTube, piuttosto che con la vena artistica e il talento che ogni attore di successo dovrebbe avere. Specie se si calca un palcoscenico importante come quello di Broadway. Birdman è una pellicola che critica sottilmente i dietro le quinte, le paranoie degli attori e delle attrici e soprattutto di una certa critica specializzata, la “stampa che distrugge le opere prima ancora di vederle”. È una pellicola sul fallimento, personale prima ancora che professionale, e sulla terribile ossessione che ciò provoca nella mente di un artista. Il tutto in un ridondante susseguirsi di piani sequenza per tutti i 119 minuti, sorretti da una deliziosa colonna sonora “da strada”.

Birdman è un esperimento cinematografico immenso, pervaso da una tristezza costante e perenne, realizzato con una cura tale da renderlo imparagonabile a qualsiasi altro film del genere.
Per farla breve, un capolavoro unico, capace di prendere a calci nel culo anni di cinecomic senza arte né parte. E nove Oscar siano.

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