C’è stato un tempo, e in parte è tutt’ora valido, in cui per vedere una stagione di una serie TV si impiegavano parecchie settimane, complice l’attesa fra una puntata e l’altra e la tanto odiata pausa mid-season, accompagnata da quei 2-3 mesi tragici in cui non si sapeva più cosa fare della propria vita. Netflix, in questo, ha generato una lunga serie di bingewatcher accaniti, che divorano puntate su puntate, abbandonandosi chi alla poltrona, chi al divano, chi direttamente al letto. Se da una parte questo può essere dannoso, dando poco tempo per metabolizzare gli eventi, dall’altro lascia allo spettatore la possibilità di scegliere come e quando vedere la propria serie preferita: alcune di queste hanno infatti la caratteristica di essere alienanti, obbligandoti a premere quel pulsante “Prossimo Episodio” non appena termina l’ultimo fotogramma e per certi versi rendono al meglio se viste in modalità “Maratona”. Ecco, se ve lo state chiedendo è così: stiamo descrivendo proprio Stranger Things.
Nella lunga lista di produzioni cinematografiche e televisive che hanno invaso gli schermi di tutto il mondo, sono incalcolabili le volte che un sequel, o come in questo caso una seconda stagione, abbia deluso le aspettative dei fan dopo il grande esordio: lampante e, purtroppo, triste è l’esempio dato da Matrix Reloaded, opera più commerciale che altro e della quale, in tutta onestà, avremmo fatto volentieri a meno; oppure Lost, serie meravigliosa nelle prime stagioni e che, nelle sue ultime apparizioni, è andata perdendosi. Più raro è invece imbattersi in un miglioramento: le possibilità che una grande serie TV arrivi alla seconda stagione battendo sé stessa sono decisamente poche: Stranger Things, dopo l’esordio dello scorso anno, si ripresenta con l’ambizione di non perdere l’energia della prima uscita, mantenendo alta la tensione senza risultare banale. Beh, direi che c’è poco da dire: “You did it!” [su_quote]
Stranger Things 2 riesce dove molti hanno fallito, tenendo testa alla prima stagione, addirittura superandola.
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Raccontarvi questa seconda stagione riuscendo a non lasciarci sfuggire neanche uno spoiler sarebbe un’impresa titanica, degna del miglior Ercole, per cui no, non vi racconteremo Stranger Things. O meglio, non vi racconteremo cosa succede nella serie, ma cosa è successo a noi, le nostre emozioni, ciò che ci è passato sulla pelle. Si, perché quella che è nata come una “semplice” produzione Netflix non è rimasta tale: diremo una cosa forte, ma si ha la nettissima sensazione di essere di fronte ad una di quelle opere delle quali parleremo per i prossimi 30 anni: Stranger Things è un viaggio personale che ti trascina all’interno dei sentimenti, dei pensieri e delle sensazioni di tutti i personaggi, dal protagonista di spicco alla meno importante delle spalle, senza escluderne neanche uno. Un ottovolante di emozioni, dalla paura all’amore, dall’amicizia all’odio, passando per la confusione e il dolore fisico.
Siamo quindi di fronte alla serie perfetta? No, neanche per sogno, perché questa seconda ondata di episodi di Stranger Things lascia qualche lacuna a destra e a sinistra. Su tutti un paio di episodi che abbiamo trovato decisamente rivedibili, soprattutto il primo, con toni particolarmente bassi e ben poca carne al fuoco, cosa che non ti aspetti in una serie “breve”, composta da nove episodi. Ma al di là degli intrecci narrativi, a volte inspiegabilmente complessi da seguire all’interno di una trama discretamente lineare e semplice, l’ago della bilancia torna a pendere in favore della serie quando si analizzano i singoli: ognuno dei personaggi, anche quelli minori, è caratterizzato, ogni dialogo è pensato e pesato, ogni singola espressione facciale è perfettamente abbinata a chi la effettua (Dustin. Dustin. Come si fa a non amare un personaggio come Dustin?)
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Ogni personaggio è studiato alla perfezione, risultando importante anche restando poco sullo schermo.
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Ghostbusters, Karate Kid, Dragon’s Lair, Life is Strange, Mad Max e tanti altri: citazioni su citazioni. Uno degli aspetti più o meno nascosti della serie è il continuo richiamo a produzioni cinematografiche e videoludiche degli ultimi 30 anni, sotto forma esplicita (Dig Dug o gli altri giochi fisicamente presenti) o più celata (qui evitare gli spoiler è praticamente impossibile, ma prendiamo quello meno doloroso: “Max, non Maxine.”. Alla Dontnod qualche orecchio deve aver fischiato bello forte.). Un omaggio sia a chi, avendo vissuto gli anni ’80, guarda la serie riportando indietro la mente a quello stile di vita, sia a chi più giovane si addentra nel mondo che fu dei propri genitori, fra film e musica. Proprio su quest’ultima una menzione speciale, azzeccata alla perfezione, fra Push It To The Limit, già presente in un cult dell’epoca come Scarface, e Every Breath You Take dei Police: note e immagini associate con perfetta maestria.
Grande protagonista anche, ovviamente, di questa seconda stagione è il Sottosopra, l’Upside-Down, la Hawkins parallela in cui tutto è più cupo e tenebroso, oltre ad essere dannatamente pericoloso. La differenza di colori e di inquadrature rende benissimo l’idea di dove ci si trova e quale sensazione è giusto trasmettere allo spettatore in quel preciso istante. La cura dei dettagli ambientali resta quindi uno dei punti di forza maggiori di Stranger Things, mentre altrettanto non si può dire, ma questo è un difetto ereditato sin dall’inizio, per quanto riguarda la localizzazione. Per chiarezza: l’Italia vanta uno dei parchi traduttori e doppiatori migliori del mondo e di questo dobbiamo andare fieri e orgogliosi. Resta però un velato disappunto quando si ascoltano o leggono alcune traduzioni, ben più che forzate: non ci abitueremo mai, seppure fosse molto complicato trovare un’altra soluzione, al fatto che se El / Eleven è un gioco di parole meraviglioso, essendo El non solo l’abbreviazione di Eleven, ma anche di un nome reale come Elizabeth o Eleanor, altrettanto non si può dire di Undi, certamente abbreviazione di Undici, ma decisamente non l’abbreviazione di un nome.
Matt e Ross Duffer, insieme al prezioso aiuto di Shawn Levy, Dan Cohen e all’abilità di tutto il cast, compresi i nuovi ingressi (dlin-dlon, altro campanello spoiler, per cui ci fermiamo qui) hanno confezionato quindi uno degli esempi di un sequel in grado di battere il proprio predecessore: Stranger Things 2, con le sue dinamiche e i suoi intrecci, riesce a generare un livello di empatia tale fra personaggi e spettatori che porta questi ultimi a gioire, piangere, emozionarsi e soffrire insieme a loro per tutto l’arco delle nove puntate. Un’esperienza unica, da vivere tutta d’un fiato, senza farsi distrarre neanche per un secondo. Bentornati ad Hawkins.