Recensione Suburra – La Serie

Quando ormai, svariati mesi fa, Netflix, colosso mondiale dell’intrattenimento digitale ormai radicato anche in Italia, annunciò l’uscita della serie di Suburra, i fan e gli appassionati iniziarono a non stare più nella pelle: d’altronde, non ci si poteva aspettare altro, considerato il successo che romanzo prima e lungometraggio poi avevano raccolto. Partendo anche questa volta da un libro edito da Giancarlo De Cataldo, come avvenuto in precedenza con Romanzo Criminale, si avvertiva quasi la necessità di avere a disposizione una serie tv che ripercorresse il racconto del giudice in maniera più approfondita, analizzando i personaggi sotto la lente d’ingrandimento. Anche stavolta, lo scrittore ha deciso di affidare il proprio lavoro nelle mani di uno dei suoi fedelissimi, Michele Placido, già regista del film che raccontava, romanzandola, la storia della Banda della Magliana: una scelta che ai tempi fece comunque rumore, in quanto, negli ultimi anni, le produzioni di questo filone narrativo (pensiamo ad esempio alla serie di Romanzo Criminale, piuttosto che a quella di Gomorra o allo stesso film di Suburra) erano state affidate a Stefano Sollima, regista che, grazie ai suoi lavori, è riuscito ad ottenere un plebiscito di pareri favorevoli da parte di stampa e critici del settore, trovando la sua consacrazione.

Non potevano mancare i tipici “sanpietrini” a formare la scritta iniziale

A differenza, però, degli esempi riportati in precedenza, la serie di Suburra si presenta al pubblico con un cambiamento di rotta netto e importante, poiché non si tratta solo di un racconto più approfondito, ma la storia inizia prima degli avvenimenti visti nel film e mantiene parte del cast del lungometraggio: la storia prende il via nel 2008, tre anni prima rispetto all’opera cinematografica, e ci permette di seguire da vicino lo sviluppo caratteriale dei personaggi. Il centro energetico dell’intera produzione è senza dubbio quello composto dalle storie dei tre protagonisti principali: Aureliano Adami, interpretato da un magistrale Alessandro Borghi, figlio di Tullio Adami, capo della famiglia che comanda la criminalità del litorale romano; Giacomo Ferrara nei panni di Alberto Anacleti, detto “Spadino“, fratello minore di Manfredi, capo degli “Zingari“; Eduardo Valdarnini, alias Gabriele Marchilli, studente universitario figlio di un poliziotto. Tre profili totalmente diversi fra di loro, ma che unendosi creano un intreccio di dinamiche e narrativa entusiasmante e talvolta imprevedibile, portando lo spettatore a scoprire sempre più sfaccettature del lato umano dei giovani, inizialmente nascosto sotto le fredde apparenze. Il tema ricorrente, che ci accompagnerà per tutte le dieci puntate, è quello familiare: Aureliano, orfano di madre sin dalla nascita, vive da sempre un rapporto estremamente conflittuale con il padre Spadino: a causa della struttura gerarchica degli “Zingari” e dell’atteggiamento del fratello, si sente intrappolato all’interno di un mondo che non sente suo, mentre Lele, apparentemente uno studente universitario modello, nasconde al padre poliziotto i risvolti criminali della sua vita parallela.

Probabilmente il trio di criminali più diversi fra loro che si sia mai visto.

A fare da contorno vivo e fondamentale al trio di punta, troviamo una serie di personaggi più o meno presenti, tutti con un peso importante rispetto alla trama, a partire da Samurai, interpretato da Francesco Acquaroli, ex membro della Banda della Magliana e attualmente criminale di punta della malavita capitolina, spesso obbligato a gestire, in maniera più o meno plateale, i rapporti fra le varie famiglie romane. Oltre a lui, un ruolo decisivo lo rivestono un piccolo politico della giunta comunale di Roma con ambizioni di grandezza e il revisore dei conti del Vaticano, Amedeo Cinaglia e Sara Monaschi, rispettivamente Filippo Nigro e Claudia Gerini, che in maniera diretta si ritrovano coinvolti nel tema sul quale si basa l’intera trama, ovvero sia l’assegnazione di alcuni terreni di Ostia, centrali e nevralgici per la costruzione di quello che potrebbe diventare il porto turistico più importante del litorale romano. Come palcoscenico d’eccezione di questa criminalità, schiava di vizi e corruzione, di sotterfugi e violenza, troviamo una città come Roma, stavolta, però, non messa in mostra nella sua proverbiale bellezza e nei suoi angoli migliori, ma soprattutto nei suoi scorci bui, come a voler evidenziare che sotto allo strato di arte, cultura e meraviglia che la capitale porta con sé, vive un agglomerato di immoralità e malaffare che divora tutti coloro che vi si avvicinano, dal semplice criminale di borgata al politico, passando per borghesi e esponenti della Chiesa.

Il passaggio da Amendola a Acquaroli non è stato minimamente accusato.

Se all’inizio della serie seguire il filo narrativo potrà risultare intricato e difficile da digerire, col passare del tempo le cose inizieranno a farsi sempre più chiare, anche e soprattutto grazie alla mano di Michele Placido, abile a dare ad ognuno dei protagonisti il proprio spazio per esprimersi, portando lo spettatore ad entrare in sintonia con il personaggio, pur mantenendo il distacco necessario quando si affrontano temi delicati come quelli della malavita, soprattutto contemporanea: una delle critiche che era stata mossa alle precedenti produzioni di questo genere, era di rendere “simpatici” i protagonisti, portando quindi il pubblico quasi a fare il tifo per loro. In Suburra questa sensazione sparisce, lasciando spazio ad una pura e semplice analisi delle azioni: il personaggio di turno non può essere visto di buon occhio, perché su ognuno di loro è posto saggiamente l’accento sulle azioni negative, lasciando spazio sì al lato emotivo, ma senza che esso prenda il sopravvento. Alla fine della serie potremo certamente dire di preferire un personaggio rispetto ad un altro, ma difficilmente avremo anche la minima percezione positiva di esso, come invece accaduto ad esempio in Romanzo Criminale. Molto interessante l’escamotage con cui il regista ci tiene sulle spine sin dall’inizio di ogni puntata: un piccolo taglio di circa un minuto ci preannuncia cosa vedremo alla fine, senza però svelare nulla di fondamentale, riportandoci poi al giorno precedente, in modo da tenerci concentrati e scatenando in noi la voglia di scoprire come si è arrivati alla situazione vista inizialmente.

Uno dei punti più importanti della serie è il rapporto fra i fratelli Anacleti.

Una menzione speciale, in chiusura, è da fare alla colonna sonora, che inquadra perfettamente l’intera serie: il gruppo Il Muro del Canto, insieme a Tommaso Zanello, meglio conosciuto come “Piotta”, ha difatti inciso 7 Vizi Capitale, nella quale descrive la Roma nascosta, quella che, citando il testo, “ti divora come un Barracuda”. Non staremo qui a raccontarvi cosa succederà nel dettaglio e come si concluderà la storia, ma quel che è certo e che vi possiamo dire è ciò che la stessa Netflix ha confermato: Suburra non si ferma qui e la serie continuerà, portandoci ad una seconda stagione.

In definitiva, il nostro consiglio è quello di prendervi del tempo per gustarvi questa magnifica produzione, capace di eccellere tanto nel manico del regista, quanto nell’abilità degli attori nel rendere umanamente i personaggi che hanno interpretato. Un lavoro pregevole, che conferma quanto noi connazionali sappiamo da tempo: in Italia, le serie le sappiamo fare. E bene. Lasciatevi inghiottire dalle profondità della Suburra.

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