Apple II, 1985. A metà tra simulatore di vita reale e inno al voyeurismo, Little Computer People fu uno dei primi titoli della storia a valicare il semplice format di gioco elettronico e a porre nuovi, intriganti interrogativi sulle potenzialità delle intelligenze artificiali e i futuribili scenari sociali derivanti dall’eventuale sviluppo di un’effettiva coscienza informatizzata.
Per godere dei frutti di quello che il suo stesso autore, David Crane, amava definire come un reale esperimento scientifico, era necessario spogliarsi del consueto ruolo di giocatore: piuttosto che limitarsi a controllare direttamente l’inquilino del grande condominio visualizzato sullo schermo, l’utente avrebbe dovuto limitarsi ad impartirgli direttive sommarie, salvo poi assistere al naturale, ma imprevedibile, sviluppo della sua personalità . Col trascorrere dei giorni, quest’ultimo sarebbe andato in effetti maturando sfumature caratteriali autonome con tanto di abitudini, necessità e nevrosi annesse, fino a diventare un piccolo essere umano con cui confrontarsi quotidianamente. Quello che, col senno di poi, potremmo anche definire come una sorta di Thruman Show privato, non mancava di alterare le dinamiche basilari dell’esperienza videoludica, finendo col sostituire il semplice fattore di causa-effetto con l’instaurazione di un vero e proprio legame emotivo col protagonista del gioco.
Da mero sprite inanimato, questi si sarebbe in tal senso trasformato in un vero e proprio amico virtuale da intrattenere, accudire e rispettare alla stregua di un animale domestico o del più avveniristico dei Tamagotchi. Uscito nel 1985 e cioè in un periodo storico in cui la maggior parte delle risorse in forza al concetto di videogame erano ancora un segreto tanto per gli utenti, quanto per i game designer, Little Computer People si ritovò oggetto di un gran chiacchiericcio teso principalmente a stabilirne l’effettiva natura. A fronte dei pochi  che seppero riconoscerne le ambizioni, molti altri si limitarono tuttavia valutarlo con i medesimi parametri normalmente riservati a titoli quali Pitfall! e a trovarlo quindi “carente” sotto il profilo del gameplay.
Uscito nel 1985 e cioè in un periodo storico in cui la maggior parte delle risorse in forza al concetto di videogame erano ancora un segreto tanto per gli utenti, quanto per i game designer, il gioco si ritrovò oggetto di un gran chiacchiericcio teso principalmente a stabilirne l’effettiva natura. A fronte dei pochi  che seppero riconoscerne le ambizioni, molti altri si limitarono tuttavia valutarlo con i medesimi parametri normalmente riservati a titoli quali Pitfall! e a trovarlo quindi “carente” sotto il profilo del gameplay. Per diversi anni a seguire, il progetto venne dunque considerato “poco divertente” o addirittura “incomprensibile”, rischiando persino di trasformarsi in un pezzo da dimenticatoio. La sua tardiva rivalutazione risale solo all’anno 2000, quando i “vecchietti” che gli avevano dato la chance che meritava, fecero notare ai più che i Sims non erano affatto forieri di una rivoluzione senza precedenti, ma solo gli eredi di un patrimonio creativo lasciatogli molti anni prima da uno dei più grandi pionieri di quest’industria.