Il Cartoons on the Bay ha dato parola ai più illustri esponenti dell’animazione come Taku Furukawa, Keisuke Tsuchihashi e Fusako Yusaki, richiamando a sé le attenzioni di critici e stampa specializzata. È stato impensabile per la redazione non coinvolgere in un’intervista una vera e propria autorità in questo campo, Luca Raffaelli: giornalista, saggista e sceneggiatore, nonché uno dei massimi esperti di animazione giapponese, essendo il paese del sol levante ospite speciale di questa ventunesima edizione dell’evento organizzato dalla Rai.
Abbiamo esordito domandando al noto scrittore de La Repubblica quali fossero le sue personali considerazioni su questa speciale edizione del Cartoons on the Bay e sull’operato della Rai negli ultimi tempi.
Che opinione si è fatto di questo festival e che direzione pensa stia prendendo l’animazione italiana?
La risposta è veramente molto complessa. Penso che la Rai dovrebbe fare nella vita di tutti i giorni quello che viene detto a parole in questo festival, impegnandosi in maniera diversa nei confronti dell’animazione e sviluppando il settore. Credo debba occuparsi di lungometraggi ma soprattutto di cortometraggi, fulcro essenziale ma di cui spesso nessuno parla. Parte sempre tutto dal cortometraggio: basti pensare ai Simpson. È poi altrettanto importante che sia data la giusta visibilità alle produzioni nostrane, permettendo iniziative editoriali atte a dare forza ai prodotti meritevoli.
La domanda successiva è stata inerente al paese partner dell’evento, al quale Raffaelli ha risposto dilettandoci con degli aneddoti sul suo primo viaggio in Giappone.
Cosa pensa dell’animazione giapponese e della sua attuale influenza nel settore?
Io ho avuto la fortuna di pubblicare nel 1994 il saggio Le Anime Disegnate che è stato il primo libro o saggio italiano a difendere il cartone animato giapponese, per cui la mia risposta alla prima parte di questa domanda è facilmente ipotizzabile: ne ho sempre pensato un gran bene. Anche perché quando c’è un fenomeno di pubblico che coinvolge soprattutto un’utenza molto giovane, gli adulti invece di controllare dovrebbero anzitutto capire e in silenzio chiedersi “il perché”. Questo è quello che ho cercato di fare io, avendo avuto peraltro la fortuna nel 1985 di fare il mio primo viaggio in Giappone e di scoprire che la leggenda, ignota ai più, secondo la quale tutti i cartoni animati giapponesi venivano realizzati al computer, come fosse una cosa dannosa o demoniaca, al contrario di quanto si è poi detto dei cartoni della Pixar. Vi era questa convinzione che il computer potesse controllare le menti dei giovani ragazzi che stavano guardando. Tra l’altro pare, altro fatto surreale, che vi siano state addirittura interrogazioni parlamentari – accompagnate dall’argomentare della stampa di tutto il paese – su questi cartoni animati che stavano distruggendo l’anima dei nostri fanciulli italiani; in realtà stavano facendo un’altra cosa: stavano distruggendo l’animazione italiana. In qualche maniera noi siamo ancora figli di quella crisi e se non avessimo avuto quel periodo di silenzio non saremmo oggi così indietro rispetto ad altri paesi come la Francia.
Occupandoci in VMAG di videogiochi, abbiamo notato un parallelismo tra la nostra posizione in tale settore con quella che abbiamo nell’animazione rispetto ai paesi più competitivi.
Quali sono gli espedienti da adottare al fine di poter tornare ad esercitare un’influenza nel modo dell’animazione?
È ovvio che quanto avvenuto in Giappone è un fatto epocale, quasi irripetibile. Un paese che ha trovato nei fumetti e nell’animazione, prendendo ispirazione da Disney, un modo così efficace per esprimersi da farci risultare delle emozioni e dei sentimenti, appartenenti a una cultura tanto diversa, assolutamente condivisibili. Una situazione assolutamente straordinaria. Noi siamo esenti da un tale spirto unitario, essendo più per l’autorialità quindi per la differenziazione degli stili e dunque non ci sarà un movimento come quello. Dobbiamo contribuire innanzitutto con un aiuto statale perché non c’è dubbio che in questa congiuntura di crisi economica non ci sono finanziatori privati che si prendono l’enorme onere di una serie TV o di un lungometraggio d’animazione. Poi c’è un altro discorso da fare sull’educazione del pubblico. Alcuni film francesi, ad esempio, o giapponesi che vengono portati nelle sale italiane non hanno alcun riscontro e questo poiché manca ancora un’educazione all’immagine. Detto ciò, il gusto sta cambiando ed è incoraggiante vedere come nelle nuove generazioni il cartone animato ed il fumetto non siano più considerati un genere per bambini, il che è un fatto di crescita fondamentale dal punto di vista culturale.
Come ultimo quesito dell’intervista abbiamo cercato di affrontare un tema che ben si sposa con la filosofia del nostro sito e che è stato toccato più volte nel corso del festival, generando spesso controversie.
Abbiamo sentito parlare di tecnologia e animazione quasi come due elementi inconiugabili. Cosa sta comportando questo tipo di evoluzione?
Io ho una certa età. Sono nato che c’era solo un canale in bianco e nero e con la Rai che ne annunciava un altro. Pensate a quanto è cambiata la vita. Per esempio, io per andare a vedere i grandi maestri dell’animazione dovevo andare ai festival internazionali, adesso basta andare su YouTube per vedere tutto Taku Furugawa. Pazzesco. Quando ero piccolo bisognava avere le pellicole per vedere un film e potete immaginare quanto fosse diverso il mondo. Ora però questa diversità va controllata ed educata: proprio perché Taku Furugawa è disponibile su YouTube come sono disponibili altri miliardi di film, chi lo va a vedere? E perché uno dovrebbe andarlo a vedere sen non sa chi è e se non ha una preparazione tale da capirlo? Ci sono cose molto più immediate di un artista come Furugawa che richiede impegno, passione, tempo e cultura per poter essere compreso.
Ringraziamo Luca Raffaelli per la generosa porzione di tempo concessaci, dalla quale abbiamo senz’altro tratto un quadro accurato del complesso mondo dell’animazione. Ci auspichiamo che quest’intervista sia stata altrettanto edificante per i nostri lettori e di poter vedere un giorno il nostro paese tra i maggiori fautori di un tipo di arte che ha ancora molto da esprimere.
L’intervista è stata realizzata da: Richard Ivantchikov e Giulio di Gravio.