Candidato ad 8 nomination agli Oscar tra cui Miglior Film e Miglior Regia, Arrival è l’ultima fatica di Denis Villeneuve, già regista di Prisoners e Sicario. In attesa di ultimare il sequel di Blade Runner, debutta nel genere e realizza un dramma fantascientifico intimo che contempla il côté umano, già al cuore di Gravity e di Interstellar. Con un cast d’eccezione composto da celebri attori come: Amy Adams, Jeremy Renner e Forest Whitaker, la pellicola non affronta la questione della fine del mondo, niente battaglie sanguinose o confronti militari, uomini e alieni questa volta provano a comunicare e a comprendersi. Essendo la sua prima volta con “l’assenza di gravità”, se la cava molto bene, infatti, senza rivoluzionare l’immaginario della science-fiction, l’autore canadese evoca un concetto e gli dona una forma. Siete appassionati di film fantascientifici? Siete indecisi se andare a vedere il titolo in questione? Beh, vi invito a continuare a leggere la mia personale recensione di questo, inaspettato, capolavoro.

Eccoci subito scaraventati nel mondo di Louise Banks (Amy Adams) che ci mostra la nascita di sua figlia. Già dagli inizi del film, si può subito notare come reciti divinamente la nostra attrice nominata più volte agli Oscar e vincitrice di due Golden Globe. Con qualche fatica, ma neanche troppa, si riesce a capire che la figlia non sta tanto bene e difatti dopo la troviamo su un letto d’ospedale con la madre affianco piangente. Superato il tutto, il regista ci porta a conoscere più approfonditamente la vita della Dottoressa Louise Banks. E’ una linguista che insegna ad un college americano. Appena entrata, invitata dai suoi ragazzi in classe a sintonizzare la televisione su un notiziario, apprende, e noi insieme a lei, l’arrivo di questi U.F.O. Sulla Terra sono atterrati 12 oggetti non identificati. Sono altissimi, circa 450 metri, ed assomigliano a degli enormi gusci. Come normale che sia, il director Villeneuve ci fa vedere come l’umanità impazzisca per l’arrivo di questi esseri.

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Il regista Villeneuve aggiunge una dimensione supplementare interrogandosi sulla nostra maniera di comunicare.

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Dopo un giorno, la protagonista torna al college, che naturalmente è deserto. Come poteva sperare di trovare dei ragazzi a scuola con la presunta calamità in atto? Questo, almeno a parer mio, ci fa capire come la professoressa sia ossessionata dalla voglia di insegnare quello che le piace e cioè le lingue straniere e non. Dopo questa scoperta, la docente si ritira in un ufficio, almeno sembra, e facciamo la conoscenza del Colonnello Weber (Forest Whitaker) che ingaggia Louise per aiutare il governo a parlare con gli alieni. Perché proprio lei? Perché la Banks ha già aiutato i servizi segreti in passato con alcune traduzioni ed è risultata essere davvero molto brava. Il film è incentrato proprio su questo: interrogare gli extraterrestri per capire il perché loro siano qui. Infatti, il regista Villeneuve, aggiunge una dimensione supplementare interrogandosi sulla nostra maniera di comunicare. Non ci troviamo davanti la solita pellicola sulla fine del mondo da parte degli U.F.O.

Dopo aver ingaggiato la professoressa, Weber chiama a raccolta anche Ian Donnely (Jeremy Renner), fisico teorico e uomo di scienza, anch’egli ossessionato dalla sua materia di competenza. Con questo abbiamo conosciuto tutti i protagonisti della pellicola. Gli attori fanno vedere quanto valgono, anche perché Renner e la Adams più vanno avanti e più creano empatia tra i loro personaggi, facendo diventare la pellicola sempre più godibile, anche grazie alla bravura di Whitaker. Il film si fa sempre più misterioso e le domande che vengono poste sono: che cosa sono venuti a fare gli alieni qui? Come sono fatti? Hanno cattive intenzioni? Tutte le risposte saranno date in un susseguirsi di affermazioni e interrogazioni, di rivelazioni e continui punti di domanda che poi avranno un finale che tutto è tranne che banale.

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Con delle tracce che scuotono lo spettatore, è anche grazie a loro che il film diventa indimenticabile.

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Anche il lato sonoro ha il suo perché e, forse per la maggior parte dei casi, è ciò che rende il tutto più inquietante e pauroso. Con delle tracce che scuotono lo spettatore, è anche grazie a loro che il film diventa indimenticabile. La parte che più rimane in mente della soundtrack è quella specie di tromba, la quale somiglia molto a quella di una nave da crociera, che suonerà ogni qualvolta ci saranno pezzi oscuri e misteriosi. Apprezzatissimi anche i versi che emettono gli essere spaziali. Il montaggio intero dell’opera è realizzato magistralmente e come volevasi dimostrare Joe Walker è stato nominato agli Oscar grazie al titolo in questione.

In conclusione posso dire che Arrival avanza in un silenzio opaco e negli occhi liquidi di Amy Adams, riempiendo con la parola ciò che è la trama del film: perché la lingua è il motore di un poema spazio-temporale che non impiega le sue straordinarie abilità tecniche per considerazioni metafisiche ma disegna, letteralmente e più dimessamente, una metafora narrativa ipnotica, spostando il significato e covandolo in un ventre materno. Consiglio vivamente a tutti di vedere la pellicola, premetto che non ci saranno ammazzamenti o uccisioni varie, ma se siete amanti del genere misterioso ed intelligente, fa al caso vostro.