Tom Clancy’s Splinter Cell: Blacklist: la recensione di VMAG

Quando Tom Clancy’s Splinter Cell: Blacklist si presentò ai nostri occhi nel corso di un evento dedicato in quel di Parigi giusto qualche mese fa, la prima cosa che il team ci disse è “player’s choice”, ossia “la scelta del giocatore”. Li per li la cosa non fu chiarissima. Nella nostra testa riecheggiavano ancora i trailer dell’E3 2012 in cui un letale Sam Fisher si aggirava sotto al sole indisturbato uccidendo i nemici senza timore di allarme. Eravamo delusi. Ma quando, poi, la vera natura del gioco si palesò, capimmo cosa intendeva Ubisoft Toronto con “scelta del giocatore”.

Lo capimmo allora, e pad alla mano lo abbiamo capito ancora meglio adesso. Ma andiamo per gradi. Ambientato, come nella migliore tradizione fanta-politica, ai giorni nostri, Blacklist ci vedrà, ancora una volta, nei panni della spia americana Sam Fisher. Un occhiello a questo punto è d’obbligo, perché è impossibile non restare per un attimo ammirati dall’evoluzione che il personaggio ha avuto negli anni. Il Fisher di Blacklist è un soldato avanti negli anni, ormai brizzolato, ma che non ha ancora fatto il suo tempo. È un uomo risoluto, conscio che talvolta una situazione drastica richiede una soluzione alessandrina. Di fatto è ormai l’archetipo de “l’uomo giusto al momento giusto”, sebbene con il peso degli anni condivida il peso delle responsabilità. Il Presidente lo sa, ed ecco perché dopo un devastante attacco terroristico alla base americana di Guam, gli viene affidata la gestione e il comando di una task force speciale: la Fourth Echelon. L’obiettivo della 4E è chiaro: fermare la minaccia terroristica rivendicata da un gruppo noto come “gli Ingegneri” che, proprio dopo Guam, hanno rilasciato in rete una “blacklist”, ossia una lista di obiettivi sensibili ai prossimi attacchi. Ogni obiettivo ha un nome in codice che lo rende solo vagamente identificabile (come ad esempio “Consumi Americani”), ed ognuno di essi si verificherà su territorio americano ogni sette giorni se, e solo se, l’America non ritirerà tutte le truppe spiegate nel mondo.

Fisher, coinvolto in prima persona nei fatti di Guam, non può fare a meno che accettare l’onere, imbarcandosi in una trama che da Bengasi a Londra lo porterà in giro per il mondo in una corsa contro il tempo: quale sarà il prossimo obiettivo e chi sono in realtà gli Ingegneri? Questa, senza spoiler, è la trama di Splinter Cell: Blacklist. Una trama degna della migliore tradizione “clancyana” che finalmente porta una sferzata di coinvolgimento e intelligenza in una serie che, soprattutto negli ultimi capitoli, si era ritrovata zoppicante. Oltre alla caratterizzazione di personaggi quanto mai espressivi, Blacklist propone infatti un plot maturo e interessante i cui risvolti non sono solo un pretesto per un’azione su schermo (sia essa infiltrativa o mortifera), ma nascondono persino delle chiavi di lettura molteplici, come un velato attacco all’ideologia militare americana o l’interrogativo su quanto possa essere influente il peso della responsabilità sulle spalle di un solo uomo. Blacklist torna insomma, anche solo narrativamente, alle origini di Splinter Cell consegnandoci tra le mani un plot che non fatica a meritarsi la firma del maestro Tom Clancy e che, soprattutto, tiene lo spettatore attaccato allo schermo sino alle sue adrenaliniche battute finali, senza risparmiare graditi ritorni e colpi di scena.

Se avete giocato Conviction allora sappiate che Blacklist ne è la diretta conseguenza. Quanto di buono c’era nel predecessore è stato rimaneggiato, migliorato e affinato, consegnando all’utente un’esperienza di gioco quanto mai completa e coinvolgente, capace di tenervi incollato allo schermo per ore e ore di gioco. E visto che di ore si parla, togliamoci subito una pietra dalla scarpa e rassicuriamo chi si era lamentato della longevità del predecessore. Blacklist è infatti un gioco lungo, alla cui campagna principale si affiancano tante missioni secondarie del tutto superflue ma comunque molto avvinghianti. Il gameplay, inoltre, è ostico quanto basta da tenerci impegnati, e poco importa quale sia il vostro approccio al gioco, dovrete comunque faticarvi il checkpoint con dedizione, rilasciando, in fin dei conti, anche un certo gusto nostalgico nella conquista dei vari punti di controllo. Chiarito questo, concentriamoci su quelle che sono fondamentalmente le novità di questo capitolo. Trovate come la corsa dinamica (a sua volta ereditata da Assassin’s Creed), coperture dinamiche e sistema di esecuzioni (ossia la possibilità di uccidere con un colpo solo uno o più nemici previo il caricamento di un apposito indicatore) sono infatti ancora li e hanno subito, in fin dei conti, ben poche rifiniture. Tenendo presente quanto abbiamo detto in apertura, Blacklist si prodiga piuttosto di offrire al suo giocatore quello di cui ha bisogno per approcciarsi alla missione in modo tattico, configurando fondamentalmente quelli che sono tre stili di gioco: Fantasma, Pantera e Assalto. Qui si riassume il concetto sopraccitato di “player’s choice”, definendo, a conti fatti i tre dogmi del gameplay che potremmo tradurre in altrettante tipologie di giocatori: “infiltrato non letale”, “assassino silenzioso” e “soldato d’assalto”. Abbandonando i canoni dello stealth a tutti i costi, Blacklist dà quindi al giocatore la possibilità di intraprendere lo stile di gioco che preferisce, venendo in aiuto dell’utente con una forte caratterizzazione di tipo ruolistico. Se una volta i gadget di Sam erano, tutto sommato, alla portata di tutti, con Blacklist è adesso il giocatore a decidere il proprio equipaggiamento, conscio che la preparazione a un approccio stealth richiederà non solo un certo set di armi e gadget, ma addirittura tute, pantaloni, guanti, scarponcini e visori appositamente dedicati. Ubisoft Toronto ha quindi aumentato esponenzialmente gli approcci possibili, complici due nuove variabili: il primo è quello di un set di mappe quanto mai variegato e funzionale, i cui percorsi alternativi sono molteplici ed a uso e consumo dei giocatori più scrupolosi, il secondo è invece l’introduzione del “Paladin”, un aereo in costante movimento che fungerà anche da base e hub per la squadra che Fisher metterà in piedi.

Seguendo quello che è un concept ormai molto caro allo sviluppatore transalpino, anche Blacklist introduce la “base potenziabile” in cui convergono le risorse, i personaggi e fondamentalmente anche i menù di gioco. Imponente e tecnologico, il Paladin è, di fatto, la base mobile del Fourth Echelon e sarà anche parte di alcune delle sottotrame del gioco visto che, fondamentalmente, rappresenta l’occasione per il giocatore di concentrarsi su quelli che sono i rapporti tra i personaggi. Nulla di complesso come in titoli alla Mass Effect, ma comunque apprezzabile per capire quali sono i rapporti di fiducia/sfiducia che intercorrono nella squadra, senza dimenticare quello che è il lato più umano del nostro granitico protagonista. Ciò detto, i compiti principali di questo “paladino dei cieli” sono fondamentalmente altri, in primis quello di fare da hub a tutte le missioni del gioco, siano esse parte della campagna principale o meno, così come esso funge anche da accesso per la modalità Spie Vs Mercenari. Il Paladin può inoltre essere potenziato, aumentando la sua portata, la sua potenza e fornendo allo staff di 4E strutture sempre più complesse e funzionali che, di fatto, si traducono per Sam nella possibilità di acquistare equipaggiamenti sempre più letali, nonché nello sblocco di gran parte delle missioni secondarie. Anche queste ultime si evolvono direttamente da quelle viste in Conviction e brillano non solo per qualità, ma soprattutto per varietà. Da soli, con un amico in split screen o sino a quattro utenti online, si possono quindi intraprendere le più disparate missioni, siano esse di infiltraggio o di omicidio, qui presenti anche nella classica modalità “orda”, ma con quel tocco di strategia che permea, come avrete intuito, l’intero gioco. La stessa bellezza pianificativa del gameplay in singolo è infatti parte integrante anche delle missioni secondarie, il che si traduce nell’attento studio delle routine nemiche, dei livelli (talvolta grandi quanto una mappa della campagna principale!) nonché dell’equipaggiamento. Affrontare i nemici a fuoco aperto equipaggiati per lo stealth gaming si traduce infatti in un buco nell’acqua, con il risultato che non solo si rischia di pesare alla squadra ma addirittura di far fallire la missione. La raffinatezza stilistica raggiunta con Blacklist non si dimostra, quindi, un mero orpello, ma tanto in singolo quanto in multiplayer dimostra chiaramente quanto Splinter Cell sia, fondamentalmente, l’unica valida alternativa a titoli stratificati e complessi come il ben noto Metal Gear Solid.

Ereditata, anch’essa, dai precedenti capitoli, la modalità Spie Vs Mercenari torna in pompa magna anche in Blacklist risultando, come immaginerà chi già l’aveva amata in Conviction, un ritorno graditissimo. Fondamentalmente incentrata sul lavoro cooperativo, questa modalità prevede l’azione tra due squadre che, come intuibile, sono di fatto divise in spie (dedite allo stealth e alle uccisione furtive) e mercenari (soldati d’assalto dall’enorme potenziale bellico). Divertente già agli albori, e caratterizzata da un’accentuata tendenza a favorire la cooperazione tra gli utenti della stessa squadra, Spie Vs Mercenari si distingue fondamentalmente in poche ma funzionali modalità. In quella Classica vivremo un’esperienza ludica in tutto e per tutto simile a quella del precedente capitolo, con due turni di gioco che vedranno in ballo due squadre da 2 elementi. Alle spie il compito di hackerare tre diverse postazioni nell’area, mentre ai mercenari l’oneroso lavoro di stanarle e ucciderle. A fine turno si invertono le classi, cosicché chi era spia diventa mercenario e viceversa. Ieri come oggi questa modalità funziona egregiamente, restituendo un divertimento e un coinvolgimento con pochissimi eguali nell’affollato mondo dei titoli multigiocatore. La fondamentale idea di una costante caccia all’uomo regala attimi di puro godimento in ambo le squadre, con un’azione sempre controllata e mai caotica o “casuale”. Nella sua nuova incarnazione, poi, ossia nella “Blacklist”, il gioco diventa ancora più gradevole, con l’ampliamento delle squadre (ora di 4 giocatori l’una) e l’ingrandimento esponenziale delle mappe. Il bilanciamento del gioco è in tal senso più che buono e concede ad ambo le squadre ampie possibilità di vittoria. Gli approcci ai livelli imparati nel corso della campagna principale premiano l’utente, ed anche chi è a digiuno delle avventure di Fisher non disdegnerà qualche buona partita in compagnia. L’ampiezza delle mappe, unita alla necessità di coordinarsi con la propria squadra conferisce alla modalità un fascino del tutto particolare che pare la continuazione perfetta del lavoro cominciato nei precedenti capitoli. Date le premesse e il certo supporto di Ubisoft Toronto per aggiornamenti futuri, Splinter Cell: Blacklist convince a pieni voti anche sotto il punto di vista del multiplayer, costituendo un’esperienza appagante che meriterebbe di essere provata senza remore.

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