Assassin’s Creed III: Liberation: la recensione di VMAG

Per chi vi scrive, New Orleans è il punto d’incontro tra sogni, realtà e videogiochi. Già, perché il caldo e criptico marasma culturale della Louisiana portato sugli schermi dei personal computer da sua maestà Jane Jensen, con l’indimenticabile Gabriel Knight: Sins of Fathers (1993, Sierra On-Line), mostrò al mondo le potenzialità di un universo ruvido e selvaggio, dalle tinte a pastello, le note trainanti del jazz, la morbosa attrazione per i riti vodoo, le paludi e le architetture coloniali della nobiltà francese.

E questo spin-off firmato dagli esordienti studios di Ubisoft Sofia, Assassin’s Creed III: Liberation, inonda gli schermi dell’incompresa portatile next-gen di Sony con il più ammaliante dei periodi storici della metropoli fondata dalla Mississippi Company, trascinandoci nei movimentati giorni successivi alla cessione della colonia all’impero spagnolo (durante il Trattato di Parigi del 1763). Un calderone di sapori, tradizioni ed eventi mal posti nel mezzo delle turbolente gesta della graziosa e seducente assassina Aveline de Grandpré: Liberation, infatti, si lascia incautamente alle spalle quello stesso “tratto scolastico” che permise alla fortunata IP di Ubisoft di ritagliarsi un suo personalissimo spazio.

A parte qualche breve accenno alla tratta degli schiavi e alle attività mercantili (ci mancherebbe, dato che parliamo di uno dei più grandi porti degli Stati Uniti), l’intera esperienza si focalizzerà sulle disincantate avventure della sfrontata pulzella, caratterizzate da una leggera verve da “super-eroe” (ricca e nobile ma figlia di una schiava, nonché assassina…) e, purtroppo, di una zelante ripetitività delle missioni principali (noiose) e secondarie (superflue e in minoranza numerica).

Se cercate quindi l’epicità genetica del buon Connor, magari capace di entrare comodamente nelle vostre tasche, voltate pure pagina. Qui il comparto narrativo è ridotto all’osso, senza picchi di nota, così come i galvanizzanti e felini scontri all’arma bianca di Assassin’s Creed 3. Eppure Liberation qualche carta giusta nel mazzo ce l’ha, come avrete già costatato sbirciando il voto a fondo pagina…

 Un calderone di sapori, tradizioni ed eventi mal posti nel mezzo delle turbolente gesta della graziosa e seducente assassina Aveline de Grandpré

Il meccanismo dei vari costumi, che strizzando l’occhiolino ai pochi aspetti positivi di Final Fantasy X-2 tenta di creare delle vere e proprie sottoclassi vestendosi ora da schiava, ora da nobildonna, ora (e finalmente) d’assassina, affascina nonostante alcune improbabili limitazioni (vada che con delle vesti larghe ci vengano concessi alcuni privilegi nel combattimento, ma scappa poi la risata quando con un vestito settecentesco tutto pizzi e ghirlande non ci viene concesso d’evitare manco una cassetta di frutta).

Anche la curiosa abilità di Aveline nel sedurre i bamboccioni dell’esercito, se vestita in modo “appropriato”, lascia piacevolmente sorpresi… sebbene anch’essa rimanga ingabbiata nella triste condizione del “tanto potenziale ma poco sfruttato”. Proprio come le impressionanti capacità della PS Vita, che riproducono un mondo vivido e soggiogante ma senza spingersi mai troppo verso “il limite”. Ma siamo comunque convinti che di fronte alla possibilità di portarsi in tasca un assassino, saranno in molti a voler chiudere un occhio. O due. O a calarsi semplicemente il cappuccio sulla testa.

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