Metro: Last Light: la recensione di VMAG

Oggi giorno il mercato è invaso da first person shooter e da survival horror, ma pochi rendono veramente onore al genere al quale dicono di fare parte. Molte volte le meccaniche degli FPS sono trite e ritrite, mentre svariati survival horror non sono peggio di una scampagnata in montagna. Per fortuna esistono ancora quei titoli che riescono a portare una ventata d’aria fresca in questi fantastici generi, nonostante la pletora di giochi che popolano i negozi di videogame. Metro: Last Light, non solo è un esempio lampante di questo raro fenomeno, ma riesce addirittura a coniugare questi due generi che, apparentemente, sembrano due realtà del tutto differenti. Il risultato, ottenuto dai ragazzi di 4A Games con non pochi sforzi, è una simbiosi armoniosa e al contempo inquietante di meccaniche sparatutto fuse insieme a un universo post-apocalittico dove la sopravvivenza è la parola d’ordine.

Tutto ciò è stato ottenuto anche grazie alle solide basi poste dal precedente capitolo, Metro 2033, capostipite della saga, che, oltre ad averci mostrato le potenzialità del brand, ci aveva già dato un assaggio della torta agrodolce di cui ci siamo innamorati adesso. Evidentemente Cupido era insieme a noi quando abbiamo messo le mani sul titolo prodotto da Deep Silver/Koch Media, così, dopo neanche un’ora di gioco, siamo stati inesorabilmente colpiti da svariate frecce e l’infatuazione è stata immediata. Prima fra tutte, quella della grafica ci ha colpito dritto nel petto. 4A Games aveva garantito che Metro: Last Light sarebbe stato “il titolo più bello da vedere in assoluto”: questa frase potrebbe effettivamente sembrare un po’ tracotante, ma abbiamo potuto constatare che non si discosta troppo dalla realtà.

Metro: Last Light è tratto dal romanzo fantascientifico di Dmitry Glukhovsky, intitolato Metro 2034. Lo scrittore russo ha collaborato attivamente allo sviluppo del videogioco aiutando i ragazzi di 4A Games per quanto riguarda l’ambientazione e ponendo un’attenzione meticolosa ai particolari. A suo avviso il giocatore merita un “mondo dettagliato e profondo”: possiamo assicurarvi che ogni minimo dettaglio non è stato lascio al caso, riuscendo così a rendere l’esperienza di gioco davvero realistica.

Gli sviluppatori hanno potenziato al massimo il già notevole 4A Engine, perfezionando il rendering e sfruttando al meglio il sistema d’illuminazione, capace di creare un’atmosfera degna dei migliori survival horror, principalmente grazie all’ottima gestione delle luci e delle ombre. Perlustrare le anguste gallerie metropolitane di Mosca e le oscure stanze della stessa, con il solo ausilio della propria torcia e di qualche lampada ad olio qua e là, fa il suo effetto. A volte l’unica fonte di luce è affidata ai funghi radioattivi, che, con la loro fioca luce verdastra o bluastra, rendono gli ambienti ancora più inquietanti, soprattutto se si pensa che da un momento all’altro potrebbe spuntare un ragno pronto a farvi la festa. La seconda freccia è arrivata come un lampo: rapida, silenziosa e letale ci ha colpito nel profondo. Il tuono l’abbiamo sentito poco dopo, quando ci siamo realmente accorti dei nuovi accorgimenti legati al gameplay. Poter accendere la luce della torcia e cambiare il filtro della maschera antigas semplicemente premendo gli analogici, non è solo un miglioramento dal punto di vista della comodità (perché, oltre a questo, l’accesso all’inventario è più semplice), ma potrebbe anche salvarvi la vita in diverse situazioni.

Ad esempio, il primo livello è ambientato all’esterno della metropolitana: il compito del nostro beniamino Artyom e del suo compagno Pavel, è quello di raggiungere la stazione dopo aver perlustrato da cima a fondo i relitti di un aereo precipitato in cerca d’informazioni. Dopo aver setacciato da cima a fondo il velivolo, l’ossigeno ha iniziato a scarseggiare e proprio in quel momento siamo stati assaliti da un branco di demoni a quattro zampe. Dopo un breve panico iniziale, della serie “faccio in tempo ad ucciderli oppure mi conviene cambiare il filtro e rischiare di morire?”, ci è venuto in mente il cambiamento apportato al sistema di gioco, e così siamo riusciti a ripristinare il livello di ossigeno mentre tenevamo a bada i mostri. Ricordate che, anche con queste introduzioni, il livello di sfida rimane comunque davvero elevato. Infatti poco dopo siamo morti. Ma questo è un altro discorso.

La terza e ultima freccia, ci ha scaldato il cuore soprattutto per un’iniziale conferma e una successiva sorpresa. Ciò che ha reso grande la serie Metro, sia letteraria che videoludica, sono l’ambientazione e il contesto storico: le vicende si svolgono in una Mosca devastata da una guerra nucleare, dove gli esseri umani sopravvissuti sono in continua lotta per il predominio delle stazioni della metropolitana. La trama di Last Light riprende le fila del discorso da dove 2033 aveva lasciato, infatti questa è la conferma, che comprende anche la già conosciuta Mosca e le gallerie metropolitane già esplorate. Ora arriva la sorpresa. Portare delle innovazioni in un’ambientazione già ampiamente esplorata e sfruttata non è per niente semplice, anche perché gli sviluppatori non si sono limitati a un semplice miglioramento dal punto di vista grafico: la cura per i dettagli è quasi maniacale, gli ambienti sono particolareggiati al massimo e le texture sfruttano nel migliore dei modi il 4A Engine. In titoli di questo calibro, anche i minimi particolari sono importanti perché conferiscono quel qualcosa in più all’esperienza di gioco e insinuano in ogni gamer una specie di febbrile curiosità che li spinge a cercare anche le più piccole sfumature e minuzie dell’ambiente che li circonda. Proprio come è successo a noi. Siamo rimasti a bocca aperta, in sacrosanto silenzio, per ciò che abbiamo visto. E possiamo assicurarvi che non è una cosa che succede tutti i giorni. Durante il tramonto delle console di settima generazione, si staglia, alto nel cielo, il sole nero di Metro: Last Light. L’ultima luce splendente prima dell’alba del futuro.

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