AESVI, l’Associazione che rappresenta l’industria dei videogiochi in Italia, ha presentato oggi a Roma, in occasione del Games Industry Day, il terzo censimento dei game developer italiani. La rilevazione, commissionata ad un gruppo di lavoro dell’Università degli Studi di Milano, è stata effettuata con l’obiettivo di monitorare lo stato dell’industria dei videogiochi in Italia rispetto alle indagini precedenti, la prima compiuta nel 2011 e la seconda nel 2014. Al censimento, realizzato attraverso la somministrazione di un questionario diretto a soggetti con responsabilità gestionali all’interno delle imprese e a singoli liberi professionisti, hanno risposto oltre 120 studi di sviluppo di videogiochi da tutta Italia. Di seguito i principali risultati emersi.
Un settore piccolo, ma in grande fermento. La produzione di videogiochi in Italia sviluppa un giro d’affari complessivo ancora abbastanza contenuto (la stima dell’Associazione è di circa 40 milioni di euro contro i 20 al precedente censimento), ma in generale è possibile rilevare un grande fermento nel settore, con un numero crescente di studi operanti sul territorio, sempre più giovani sia per età degli imprenditori (l’età media è di 33 anni) sia per età delle imprese (il 62% delle imprese ha meno di tre anni, contro il 45% della rilevazione precedente).
Giro d’affari in crescita nelle fasce intermedie. Il fatturato generato dagli studi di sviluppo di videogiochi rientra nel 30% dei casi nella fascia tra i 10.000 e i 100.000 euro. Nel 44% dei casi il fatturato non supera invece i 10.000 euro, confermando la dimensione di attività individuale di buona parte del campione analizzato. Solo un quarto circa dei casi considerati si colloca nelle classi di fatturato superiore (da 100.000 fino a 5 milioni di euro), con una maggiore concentrazione nella fascia tra i 100.000 e i 250.000 euro (15%). Rispetto alla precedente rilevazione, la percentuale di imprese con un fatturato elevato (oltre il milione di euro) è rimasta sostanzialmente invariata (5%).
Presenza rilevante di start up innovative. La maggioranza degli studi di sviluppo di videogiochi che operano in Italia sono costituiti sotto forma di società di capitali (55%). Il settore è composto tuttavia anche da una percentuale significativa di liberi professionisti (40%). Oltre il 20% degli studi sono iscritti nel registro delle start up innovative, una percentuale non esigua soprattutto se rapportata alla numerosità delle società di capitali presenti nel campione e ai requisiti richiesti per l’iscrizione.
In aumento gli operatori del settore con una formazione specializzata. Il livello di istruzione più diffuso tra i rispondenti si conferma la licenza media superiore (40%), ma appare consistente anche la quota di operatori con una formazione altamente specializzata, con oltre un terzo dei rispondenti che ha conseguito un master, un dottorato o è in possesso di un diploma di laurea magistrale (34%). Nella maggior parte dei casi le competenze sono quindi acquisite attraverso la pratica professionale. È tuttavia probabile che nei prossimi anni si rilevi un aumento del livello di istruzione dei rispondenti, come risultato delle numerose iniziative messe recentemente in campo da diverse Università e scuole private, che hanno avviato percorsi specialistici orientati allo sviluppo di videogiochi.
In crescita il numero degli addetti. La metà circa del campione (47%) ha una struttura costituita da uno a cinque collaboratori stabili. Il 42% degli studi di sviluppo di videogiochi ha invece più di cinque addetti. L’analisi dell’occupazione del settore – che per le sue peculiarità e la ridotta dimensione delle imprese non può essere analizzata semplicemente con la figura del “dipendente” – è stata raffinata rispetto alla rilevazione del 2014. Il numero delle persone che lavorano in questo settore oggi (poco più di 1000) è maggiore del previsto e pari a quasi il 50% della stima realizzata in occasione della precedente rilevazione (700 persone).
Studi di sviluppo sempre più organizzati. Rispetto al 2014 si osserva una maggiore organizzazione all’interno degli studi di sviluppo, con una distribuzione dei ruoli tra più persone e una ripartizione delle figure professionali in tre aree principali di competenza: management, competenze tecniche e competenze artistiche. Solo uno studio su cinque può essere definito una “one-man company”, dove un singolo ricopre tutte le funzioni produttive.
Un settore con una forte vocazione internazionale. Gli studi di sviluppo italiani sono inoltre caratterizzati da una forte tendenza all’internazionalizzazione nella distribuzione, guardando più ai mercati internazionali che a quello interno come destinatari delle proprie attività. Infatti i videogiochi Made in Italy vengono esportati nella quasi totalità in tutta Europa (93%), in larga maggioranza nel Nord America (83%), e anche in Asia (64%) e in Sud America (58%).
Milano e Lombardia in testa per la presenza di game developer sul territorio. Il Nord Italia ospita circa due terzi degli studi di sviluppo italiani (61%), seguito dal Centro Italia (22%) e dal Sud Italia e dalle isole (16%). A livello provinciale la provincia di Milano è in testa, con più del 22% di studi di sviluppo, seguita dalla provincia di Roma (12%). Le due provincie, complessivamente considerate, rappresentano il 35% circa del campione. Vanno inoltre segnalati i casi di Torino (5%), Bologna (5%), Verona (4%) e Genova (4%). La posizione di leadership per numerosità di imprese rimane alla Lombardia che, da sola, riunisce circa il 25% delle imprese italiane.
PC e mobile le piattaforme di lavoro più comuni. Non solo B2C ma anche B2B. Realtà virtuale nuova frontiera di sviluppo. Il 44% degli studi ha prodotto fino a cinque videogiochi negli ultimi tre anni, con una particolare concentrazione su alcuni generi come avventura, azione, arcade e puzzle. La produzione di videogiochi si concentra in particolar modo sulle piattaforme PC, con il 37% dei titoli e in crescita rispetto alla rilevazione precedente, e quelle mobile, che registrano una contrazione e coprono il 35% dei prodotti nostrani, a cui seguono quelle console, con il 14% di titoli, e quelle online, che coprono il 13% della produzione Made in Italy. Rilevante la quota di studi impegnata nello sviluppo di videogiochi in realtà virtuale, ben il 42%, che dimostra la loro sensibilità all’innovazione tecnologica e il pieno inserimento nelle dinamiche di mercato internazionale. Degli oltre 120 studi di sviluppo che hanno risposto alla rilevazione circa l’86% opera nel mercato consumer (B2C), realizzando videogiochi commerciali con finalità di puro intrattenimento, mentre il 61% opera nel mercato business, realizzando videogiochi per conto terzi.
L’autofinanziamento come prima fonte di sostentamento. Gli studi di sviluppo di videogiochi in Italia operano in larga maggioranza sulla base di autofinanziamenti (56%). Rispetto alle rilevazioni precedenti si rileva una tendenza, anche se per il momento non del tutto robusta, alla variazione delle fonti di finanziamento, con un’integrazione dell’autofinanziamento attraverso il supporto finanziario da parte di publisher (17% circa) o con meno frequenza di private equity (8% circa). Sostanzialmente assente il finanziamento da parte di istituzioni pubbliche e di istituti di credito (3%), mentre si segnala il crescente ricorso al crowdfunding (oltre il 7%).
La scarsità di finanziamenti come primo ostacolo allo sviluppo del settore. La mancanza di fonti finanziarie, tanto esterne quanto interne, è ritenuta in assoluto il principale ostacolo allo sviluppo, coerentemente con la ridotta patrimonializzazione e con il ridotto intervento di soggetti finanziari esterni. Altri fattori che limitano lo sviluppo sono identificati nel rischio troppo elevato dell’attività d’impresa, nel costi dell’innovazione, nel deficit di combinazione tra competenze tecnologiche e manageriali, probabilmente frutto di uno sbilanciamento verso la funzione produttiva, nella mancanza di personale qualificato e in una conoscenza ritenuta non adeguata sullo stato dei mercati e delle tecnologie.
Raccomandazioni. Per far diventare il gaming italiano più competitivo nel mercato globale e renderlo maggiormente attrattivo, è auspicabile che siano adottati una serie di interventi a medio e a lungo termine, sulla scia di quanto già sperimentato da diversi paesi europei dove il settore riceve un considerevole sostegno pubblico. Come ad esempio investimenti pubblici e privati, per sopperire alla scarsità di fonti finanziarie, tanto esterne quanto interne, degli studi di sviluppo italiani. Formazione delle imprese, già costituite e ancora da costituire, in ambito business e marketing. Rafforzamento delle iniziative per favorire l’accesso degli operatori del settore al mercato internazionale. Sviluppo della committenza pubblica e privata di videogiochi non strettamente legati a finalità di mero intrattenimento (come la formazione, l’educazione, il marketing, la promozione e altro). Inclusione dei videogiochi nelle politiche culturali e diffusione di una più ampia conoscenza del mezzo a tutti i livelli.
Noi di VMAG oggi eravamo presenti e il Games Industry Day è stata un’ottima occasione per celebrare la crescita dell’industry nostrana e cercare di capire quali sono i margini dove il settore può crescere ulteriormente.