La strada per il progresso è lastricata di clamorosi fallimenti, tanto da lasciar stimare che, per ogni iniziativa che abbia maturato un reale impatto sul mercato, ve ne siano almeno cinque o sei sepolte nel cimitero delle invenzioni. In questo tetro camposanto della plastica, dove si ergono imponenti i mausolei dei più sfortunati sistemi da gioco apparsi sulla scena negli ultimi 40 anni, langue pressoché indisturbata una vasta area circoscritta a periferiche, sulle lapidi di ognuna delle quali spicca sempre il medesimo epitaffio: “Nacque per innovare, morì in solitudine e disgrazia”.
Al contrario di quanto si possa supporre, i brand rappresentati in loco non parlano soltanto per le cenerentole dell’industria, ma anche e soprattutto a nome di tutte quelle aziende che l’hanno alimentata per decenni: le uniche che potessero d’altronde permettersi gli investimenti legati al varo di questo genere di operazioni. Si va pertanto da Mattel a Sega passando per Atari e Nintendo senza alcuna distinzione di rango… Ognuna celebrata a dovere da un’abbondante selezione di tecno-immondizia, cui i collezionisti dallo zoccolo più duro sono soliti rivolgere attenzioni ai limiti del morboso.
[su_animate type=”fadeLeft”]
[/su_animate]Per farsi un’idea generale del quantitativo di risorse sprecate inseguendo le più bislacche frontiere dell’evoluzione, basterebbe probabilmente gettare un’occhiata al ciclopico profilo delineato dai ruderi ammonticchiati qua e là; ma per comprendere appieno l’entità del patrimonio concettuale andato perso nel tempo, occorre avventurarsi in una vera e propria via crucis che trova nel leggendario Intellivision un punto di partenza ideale. Pur non avendo inaugurato il binomio console-periferica, il sistema targato Mattel fu difatti il primo a farne realmente le spese… Responsabile diretto della dolorosa imbarcata fu il modulo di sintetizzazione vocale noto come Intellivoice che, a fronte di aspettative tutt’altro che contenute, poté godere del sostegno di soli 5 titoli dedicati. Prima di essere repentinamente ritirato dal mercato, il gingillo in questione aveva già arrecato profondi danni alle casse della azienda produttrice, ma le perdite rilevate dopo il lancio erano comunque quisquiglie rispetto ai fondi utilizzati per svilupparlo. Per un trimestre di pura follia, i dirigenti della Mattel valutarono dunque l’ipotesi di produrne una versione affinata da ribattezzare come Intellivoice II e, se un provvidenziale singulto di razionalità non li avesse spinti a tornare sui propri passi, oggi staremmo probabilmente parlando dell’unico flop periferico della storia ad essersi meritato il bis.
Ancor più eclatante e non meno rovinosa si rivelò, più o meno in parallelo, la debàcle patita dagli add-on con cui Atari cercò di amplificare il potenziale ludico del VCS 2600: né il modesto Kid Vid Cassette Player, né tantomeno la visionaria Joy Board furono difatti in grado di centrare l’obiettivo prefisso. Laddove il primo accessorio non era che un semplice mangiacassette atto a riprodurre Jingle ed FX tesi esaltare il comparto sonoro di alcuni titoli, il secondo vantava caratteristiche in realtà promettenti. Molto più simile a una bilancia che a un controller, la Joy Board non era poi tanto diversa da quella Wii-Fit che tanta gloria favorì a Nintendo nel 2008, il che porta a ritenere che il flop non fosse da ricondurre ad una sua eventuale inutilità, bensì al fatto di essere approdata sul mercato con eccessivo anticipo.
A conferma di una tradizione di settore divenuta col tempo famigerata, Atari avrebbe rimediato anche altre, fragorose cantonate. Tra queste continua tuttavia a svettare incontrastato l’imbarazzante JAG-CD. Lanciato sul mercato nell’autunno del 1995 col disperato intento di salvare il Jaguar da un destino oramai segnato, questo dispositivo a supporto digitale finì infatti per affossarne ogni residua speranza di riscatto, alimentando in compenso un eterno focolaio di ironie che, proprio di recente, è culminato in un MEME che inquadra l’add-on come simulacro del water. [su_animate type=”fadeRight”][/su_animate]
Per individuare i veri e propri protagonisti di questo macabro capitolo di storia dell’home entertainment è in ogni caso necessario rivolgere lo sguardo al sol levante: nessuno più dei tecno-samurai della terra dei Sakura ha difatti sorretto la causa delle periferiche con analoga determinazione ed altrettanta impermeabilità al fallimento.
[su_animate type=”fadeLeft”]
[/su_animate]
Prima di approdare in quel di Osaka, dove Sega custodisce parecchie dimostrazioni tangibili della sua rinomata bipolarità produttiva, tocca però far tappa a Kyoto. Nelle segrete della blindatissima sede centrale della Nintendo giacciono difatti aggeggi che avrebbero fatto invidia persino ai custodi dell’Area 51, i quali sarebbero senz’altro favorevoli a scambiare le spoglie dell’alieno J-Rod con un esemplare funzionante del R.O.B. Ultimato nel 1985, quest’ingombrante robot da salotto rappresenta a tutt’oggi l’unico reale tentativo di personificare il concetto di Intelligenza Artificiale e sarebbe probabilmente diventato un’inseparabile compagno di giochi per molti di noi, se solo qualcuno si fosse degnato di sviluppare del software che ne sviscerasse a dovere le potenzialità.
Più ergonomico, ma non per questo meno visionario, il Power Glove distribuito nei negozi a partire dal 1989 vantava poi prospettive d’applicazione addirittura superiori, eppure, anche nel suo caso il tutto si risolse in un buco nell’acqua.
[su_animate type=”fadeRight”]
[/su_animate]Fossimo nati e cresciuti in Giappone potremmo a questo punto sfoderare anche il ricordo diretto di add-on dal peso specifico (ed economico) molto più rilevante, quali Famicom Disk System, Satellaview e 64DD, ma la loro mancata affermazione in patria ebbe portata tale da frantumare ogni flebile speranza di esportazione. A parziale consolazione per la perdita, resta almeno la consapevolezza di aver risparmiato fior di quattrini in investimenti infruttuosi… Alibi morale di cui non potranno invece avvalersi tutti coloro che scelsero di affiancare un bel Mega-CD al proprio Megadrive. Uscito in Giappone nel dicembre del 1991, ma approdato in occidente con circa un anno di ritardo, questo dispositivo era il frutto di tre diverse esigenze strategiche: acquisire una posizione d’avanguardia in vista della rivoluzione digitale attesa proprio per l’inizio degli anni ’90, garantire al Megadrive le armi necessarie a fronteggiare la preoccupante avanzata nipponica del PC Engine NEC e bruciare sul tempo una Nintendo che pareva star sempre sul punto di accordarsi con Sony o con Philips circa lo sviluppo di una periferica analoga destinata ad arricchire l’hardware dello SNES.
[su_animate type=”fadeLeft”]
[/su_animate]
Accolto dalla stampa con un certo interesse, il Mega CD non fu purtroppo in grado di soddisfare nessuno di questi obiettivi. Dopo aver prima patito le conseguenze di un prezzo di vendita troppo elevato, poi accusato l’endemica carenza di software in grado di esaltarne le qualità, esso sarebbe rimasto infatti vittima di uno dei proverbiali svarioni dei suoi producer. A breve distanza dal suo debutto europeo, questi ultimi avrebbero lanciato sul mercato il Sega 32X che, riproponendo le cartucce come supporto standard, generò un conflitto intestino a dir poco paradossale. Incapacitati a stabilire un nesso tra i due add-on o a valutare con adeguata cognizione di causa quale dei due convenisse acquistare, gli utenti finirono infatti per snobbare entrambe le proposte, favorendo così all’azienda il non certo onorevole merito di essere riuscita ad affossare due costosissime iniziative in un colpo solo.
Questo grottesco “epic fail” non fu che l’apice di un ciclo suicida molto più lungo, che trovò altri interpreti in progetti quali l’Activator Ring, la Dreamcast Karaoke Expansion (!) e la Visual Memory Unit.
[su_animate type=”fadeRight”]
[/su_animate]
A differenza dei primi due, è opinione comune che il fallimento di quest’ ultima sia da ricondurre più alla rispettiva gestione “politica” che alla sua inefficacia: qualora si fosse riuscito ad ottenere maggior supporto da parte delle software house, la periferica di salvataggio dati abbinata al Dreamcast avrebbe potuto magari ridefinire gli stessi criteri di sviluppo e superare molti dei vincoli che hanno, ad esempio, impedito al controller del Wii U di imporsi come prolungamento handheld dell’esperienza videoludica tradizionale.
Una qualsiasi rassegna dei più grandi bidoni mai apparsi nella storia delle periferiche non sarebbe ovviamente completa senza almeno un accenno al settore dei personal computer. Il solo elenco dei tecno-flop legati a macchine quali C64, Amiga 500, 386, 496, Pentium e compagnia danzante occuperebbe d’altronde un intero numero di GR. Dato che dei visori adibiti alla chimerica realtà virtuale ci siamo già occupati qualche mese fa, visto che non abbiamo lo stomaco per rievocare tutti gli alambicchi che seguirono la leggenda metropolitana del cyber-sex e stabilito a priori che il presente special fosse ad esclusivo appannaggio del pianeta console, non ci resta altro da fare che abbandonare queste lande desolate…
[su_animate type=”fadeLeft”][/su_animate]
Presto o tardi, molti altri gingilli dal karma segnato andranno ovviamente ad occupare i restanti loculi e un giorno potremo magari decidere di ripassare da queste parti per farci un’altra scorpacciata di naufragi tecnologici. Mentre imbocchiamo il viale d’uscita, un’illuminante rivelazione si fa però strada tra le meningi: la verità è che l’unica periferica in grado di aggiungere davvero qualcosa a una buona console è una bella bionda con cui passare il tempo tra una partita e l’altra.