L’apocalisse che nessuno vorrebbe mai perdersi, oggi come oggi, è firmata Bethesda Softworks e tutti ci aspettiamo di riviverla presto in versione next-gen, marchiata da un bel 4 fumante. Piuttosto che indicare l’esponente di chissà quale potenza, quest’ultimo non starebbe tuttavia ad incarnare altro che l’ultima iterazione di un progetto partorito sotto un brand differente, in un epoca altrettanto diversa, le cui impostazione strutturale vantava già un certo spessore ai suoi albori. Per quanto al giorno d’oggi possa sembrare magari azzardato sostenerlo, Fallout non si è pertanto riscoperto capolavoro in terza età: il conseguimento di questo status, è stato di fatti l’epilogo di un processo creativo avviato molti anni or sono, di cui non tutti sembrano purtroppo conservare adeguata memoria.
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Ideato e prodotto da Timothy Cain ai tempi in cui questi militava tra i ranghi della Interplay, il capitolo d’esordio del Mad Max video-ludico per eccellenza, vide la sua alba nucleare nel settembre del 1997, alla volta dei migliori PC dell’epoca. Tecnicamente notevole, con le complesse isometrie prospettiche ad immortalare la brutale desolazione delle Wastelands, esso incorporava già molte delle soluzioni concettuali che avrebbero reso celebre la sua più recente incarnazione. Oltre a condividerne il medesimo background post’atomico e a presentare una mappatura pressoché aperta dell’area di gioco, anche il primo Fallout affidava, ad esempio, all’interfaccia S.P.E.C.I.A.L. il compito di coordinare le abilità in forza al suo protagonista. Se la parallela presenza di un Main Plot dai contenuti pressoché analoghi non faceva poi che acuire ancor di più dette corrispondenze, entrambi i titoli avrebbero inoltre condiviso la sovrabbondanza di Side Quest ed elementi Free Roaming.
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Fatta eccezione per il supporto di un sistema di combattimento fondato su una ben più artificiosa struttura a turni, si potrebbe dunque sostenere che la “rivoluzione” introdotta dalla Bethesda non sia stata poi così radicale come sottolineato invece da stampa e PR nel corso degli ultimi anni. Una considerazione, questa, che parrebbe tra l’altro avallare la tesi dei reduci dalla prima Vault Experience, secondo cui Fallout 3 avrebbe avuto soltanto il merito di aver ottimizzato i canoni estetici e formali della produzione originale…
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A prescindere dall’effettiva fondatezza della teoria succitata, non possiamo in ogni caso che congedarci da quest’analisi retroattiva rafforzando la già comune idea che il franchise di Fallout rappresenti uno dei pilastri fondamentali della storia degli action/GDR di matrice occidentale. Il che non può che spingerci a celebrare, per l’ennesima volta, il talento di Tim Cain: l’uomo che, con la sua puntuale supervisione, ha permesso ad ogni singolo episodio della trilogia di ergersi a sommo baluardo del genere.