Il razzismo è un male che imperversa nel mondo da sempre, figlio della paura dell’ignoto misto alla più becera ignoranza. Accomunare il male alla differenza altrui, che sia etnica, estetica, di pensiero, di cultura, di costume, o della filosofia più spicciola nell’approccio alla vita, ha sempre causato problemi più grandi di quanto il timore per il diverso da sé stessi possa ingenuamente far presagire. Tante opere hanno affrontato questo tema direttamente o metaforicamente, anche i videogiochi, pensiamo a The Witcher, e in qualche caso hanno dato vita a polemiche nelle quali erano gli stessi titoli ad essere sotto accusa. Ma questo è un altro discorso, questo è Deus Ex: Mankind Divided, dove gli esseri umani sono come da tema e da titolo divisi, ormai profondamente, tra Naturali e Potenziati. I primi hanno scelto di non ricorrere alla tecnologia per aumentare le proprie facoltà organiche, muscolari o percettive, e vedono con disprezzo i secondi che, per volontà o forzatura, come lo stesso Adam Jensen, hanno modificato il loro corpo con componenti biomeccaniche. In Human Revolution abbiamo assistito a come l’introduzione nel genere umano di tali potenziamenti desse vita alle prime problematiche su come far combaciare le nuove necessità artificiali del corpo a quelle classiche naturali nella vita quotidiana, e come il contrasto filosofico avesse poi dato vita ad un disastro di dimensioni apocalittiche, tramutando i potenziati in ciechi assassini e sfiorando l’estinzione. Inutile dire che il giudizio verso questi ne è uscito definitivamente devastato, arrivando alla divisione totale, l’apartheid sviluppatosi due anni dopo “l’incidente dei potenziati”, che ci racconta Mankind Divided.
Sarà ancora una volta Adam Jensen nell’occhio del ciclone. Qualunque sia stato il finale scelto nel precedente capitolo, Adam è sopravvissuto all’incidente di Panchea, ha ancora una volta subito interventi sul suo corpo passando due mesi in un laboratorio in Alaska, e proprio non ne ha voluto sapere di ritirarsi dall’attività militare e si unito alla Task Force 29, unità speciale antiterrorismo dell’Interpol. Il carattere cupo e pragmatico è sempre lo stesso infatti, lo vediamo dalle prime battute di gioco, in cui la TF29 viene spedita a Dubai per smantellare un mercato nero di Potenziamenti militari. Come da tradizione, nulla va come previsto in Deus Ex, e l’operazione viene interrotta dall’attacco in imboscata di un commando ignoto, che darà il via alla vera avventura di Adam una volta tornato a Praga, sua attuale casa, dove collaborando con gli attivisti del collettivo Juggernaut scopre che probabilmente qualcuno sapeva e la TF29 era stata inviata appositamente per essere eliminata con un alibi credibile.
Intrecci politici e militari che danno vita agli straordinari luoghi di Mankind Divided, immersivi e intensi come non mai, a partire dalla Praga in cui ci muoviamo con cautela, per via del controllo quasi da regime militare dove un documento non aggiornato può fare la differenza tra la permanenza e la deportazione in città ghetto. L’odio tra le due “specie” ha ormai raggiunto livelli estremi e le mappe di gioco riescono a trasmetterlo in pieno: la polizia armata ovunque, i droni che pattugliano le strade costantemente, gli ingressi alla metropolitana diversi per Naturali e Potenziati e la forte presenza malavitosa rendono il mondo di Deus Ex credibile e dal forte impatto emotivo. Più volte sono rimasto stupito positivamente dalla enorme cura per il dettaglio da parte di Eidos Montréal (in collaborazione con Square Enix in Giappone per le cinematics) nel costruire e dar vita ad ogni zona, ad ogni edificio, ad ogni stanza ed ogni elemento che le compone. Tutto riesce ad essere comunicativo verso il giocatore e far sì che venga coinvolto in pieno dalle quest, primarie o secondarie che siano.
[su_quote]Il mondo di Deus Ex è credibile e dal forte impatto emotivo[/su_quote]
Probabilmente la cura per gli interni supera quella The Division, che avevo già descritto in recensione come la migliore mai vista, anche va ovviamente rapportata alla tipologia (e topologia) di gioco. Non stupiscono le dimensioni totali delle mappe, cresciute sì ma non di molto rispetto a Human Revolution, questo non è un Open World, anzi, dopo un paio di compiti svolti vi muoverete agilmente ricordandole a memoria, pur rientrando tutto nell’approccio di realizzazione, che analizzeremo in seguito. La via di mezzo tra un’atmosfera puramente cyberpunk, fantascienza e pseudo realismo è sempre convincente, e la direzione artistica ha una coerenza di alto livello davvero notevole, già dal prequel se vogliamo. È evidente a partire dagli edifici fino all’abbigliamento dei personaggi, in alcuni casi davvero riusciti nella caratterizzazione che li rende unici e riconoscibili tanto che uno spin off su uno di loro (doc. Vaclav Koller anyone?) non guasterebbe affatto.
Pur passati due anni, Adam Jensen è sempre lo stesso. Forse troppo come si è discusso in questi giorni (anche da questo la scelta di non metterlo in copertina dell’articolo), ma fatto sta che controllando un potenziato per eccellenza dovremo far fronte a tutte le difficoltà generate dall’Apartheid in prima persona. I potenziamenti che avevamo in Human Revolution ci sono tutti, ai quali si aggiungono di nuovi, dalla dubbia origine, ma sempre molto divertenti da usare. L’hacking a distanza, le nanoblade proiettili o i pugni elettrificati sono solo alcuni, ben equilibrati dal nuovo sistema che prevede l’attivazione o la disattivazione dei potenziamenti per restare entro una certa soglia. Non saranno tutti attivabili dunque, pena l’overheat dello stesso Jensen, ma è una scelta giusta visto che avrebbe reso alcune quest troppo semplici e aggiunge un minimo di profondita nello scegliere l’abilità più adatta al caso.
[su_quote]Il controllo non è semplice e immediato[/su_quote]
Da scegliere c’è anche come al solito con quale approccio affrontare una missione, se stealth o ad armi spianate, e sempre come al solito la prima via sembra quella per cui in realtà Deus Ex è stato pensato principalmente. In Eidos hanno fatto molto per affinarlo, ma il sistema di controlli e di coperture risulta ancora poco fluido per essere adatto ad un FPS e sviluppare un gameplay appagante, e qualche difficoltà la si incontra ancora anche nello stealth. Una grande mano la dà lo spostamento tra i ripari che troviamo, ora in parte simile a The Division che permette di selezionare con precisione e velocità il prossimo punto in cui spostarsi. Nel complesso però prendere confidenza con tutte le combinazione per avere il controllo non è certo immediato, probabilmente capace di scoraggiare i giocatori occasionali. Più facile invece per quelli più smaliziati e tenaci, che saranno probabilmente gli stessi che partiranno dalla difficoltà più alta (e giocheranno poi a quella sbloccabile da una vita singola), vorranno provare molteplici modi per superare una quest e andranno a spulciare ogni anfratto per leggere tutte le mail e i pad possibili. L’esplorazione ricompensata infatti torna in grande stile e dà grande soddisfazione a chi intende approfondire tutto il possibile, donando ancor più credibilità ed enfasi ad ogni passo successivo ad una scoperta. “Rimandata” invece l’IA dei nemici: reagiscono molto più realisticamente una volta che vi hanno scovato, muovendosi e adunandosi rapidamente, ma seguono routine di pattuglia troppo prestabilite e sono in generale poco “svegli”, ancora troppo robotici.
Curiosamente, se avete giocato a Human Revolution, la sensazione è di giocare proprio ad una versione Potenziata, per fare un paragone attinente. Quello che c’era prima è stato sviluppato per renderlo più grande, numericamente e qualitativamente: più armi, più potenziamenti, comparto tecnico migliore e mappe più grandi. Questo è il pregio ed il difetto maggiore di Mankind Divided, che non rischia mai di rinnovare la formula pur portando tutto su un livello decisamente più alto. Le uniche vere novità sono il crafting di alcuni oggetti utili di diverso tipo, e il modding delle armi e dei proiettili, anch’essi costruibili una volta ritrovati i progetti e le risorse necessarie, di un solo tipo purtroppo. Qualche altra novità minore qua e là, ma insomma, tutto ciò che vediamo è la versione 2.0 di ciò che già c’era nel capitolo precedente. Vediamo le zone dei nemici o quelle segrete, ad esempio, dove i punti di accesso e i modi per farlo sono decisamente di più: condotti d’aria, cunicoli, balconate, tombini o porte da hackerare, ce n’è per tutti e a volte capita di accorgersene solamente dopo o non vederli affatto. Addirittura gli effetti degli scontri verbali sono maggiori, stavolta potremo evitare molti dei boss presenti solamente con la forza delle parole, che è una manna visto che in certi casi sono sottotono nelle meccaniche, grande difetto già in Human Revolution.
Seppur poco innovativa, tutta la produzione è evidentemente figlia di un budget elevato da parte di Square Enix, lo si nota sia dai dettagli maggiori, come nel livello di dettaglio di grafica e di precisione nelle animazioni, o la colonna sonora, ancora una volta riconoscibilissima e di grande impatto, sia dai dettagli minori come gli effetti delle transizioni tra icone e menù. Al di là del gioco abbiamo visto come già nel teasing si sia creato quel Deus Ex Universe multimediale comprensivo di App per mobile, a riprova che non si sia tralasciato nessun aspetto per i giocatori. Ciliegina sulla torta è Breach, la modalità di gioco alternativa che riprende in toto le meccaniche della storia principale e le ripropone in un puzzle game dove velocità ed efficacia sono tutto per attraversare livelli (che rappresentano nodi di server) di difficoltà crescente in cui bisogna recuperare più dati (punti) possibili e ritornare al punto d’origine entro il tempo limite. Il punteggio finale è appunto un’equazione tra tutti i fattori che vi porterà a competere con gli altri giocatori in classifiche locali e mondiali. In alcuni casi gli oggetti recuperati si intersecano con la storia di Adam come rivendibili ai negozianti. È vero che porta avanti tutto il commercio delle in-App purchase, odiate dalla maggior parte dei giocatori (nel caso degli oggetti per la campagna singleplayer sono ovviamente inaccettabili) ma Breach è una componente assolutamente positiva per Deus Ex, è la chiave giusta che permette di allungarne la longevità oltre la storia e continuare a divertirsi con tutte le sue meccaniche, e gode sempre della grande cura nella realizzazione tanto quanto la modalità principale.
Deus Ex Mankind Divided non stravolge la formula del predecessore, anzi, va sul sicuro e ne migliora gli aspetti consolidati. Personalmente avrei voluto almeno un’interazione più profonda con l’ambiente circostante: siamo di fronte a scenari stupendi e immersivi ma ancora poco dinamici. Non siamo in un Open World, come già detto, eppure qualcosa in più si poteva fare, visto che a ripagarne è la nota libertà d’approccio data al giocatore, sempre però racchiusa in un recinto. Non raggiungerà l’eccellenza piena ma tuttavia l’esperienza è sempre ampiamente godibile, un’avventura SciFi estremamente curata che regala momenti di grande enfasi, accompagnati da una solida narrativa che non vede l’ora di avvolgervi nella suo universo, dalle maglie intricate e nel progredire avvincente, in cui starà alla vostra curiosità scegliere il livello più profondo in cui immergersi.
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