Fin dal suo annuncio We Happy Few ha saputo catturare l’attenzione di critica e pubblico, soprattutto grazie al suo particolare stile artistico che ricorda per molti versi la serie di BioShock. Inizialmente molti hanno pensato addirittura che fosse una sorta di “clone”, ma ora che il gioco è uscito in fase Alpha e abbiamo avuto modo di provarlo per diverse ore possiamo già dirvi che le similitudini con la saga di Big Daddy e compagnia si limitano solo alla direzione artistica, mentre per quanto riguarda il gameplay sono completamente differenti. Ecco quindi cosa abbiamo scoperto in questo primo contatto con We Happy Few.
Essendo una versione Alpha il gioco è ancora in fase di sviluppo, e al momento non è presente praticamente nulla di quanto riguarda la trama (se non il breve prologo, lo stesso mostrato durante l’E3 2016), ma ci siamo potuti fare un’idea più chiara per quanto riguarda invece il gameplay. Prima di iniziare è doveroso fare una piccola premessa sull’ambientazione, vero punto focale di We Happy Few: il gioco inizia in una versione distopica dell’Inghilterra nel 1964, 30 anni dopo l’inizio dell’occupazione Nazista. La popolazione vive in uno stato di dittatura ed estrema miseria, ma per controllare le masse il governo costringe tutti ad assumere regolarmente dei potenti allucinogeni chiamati Joy, poiché costringono chi li usa a sorridere sempre e vedere il mondo come perfetto e gioioso, ma la realtà è ben diversa. Il protagonista è Arthur Hastings, il cui lavoro è quello di leggere gli articoli di giornale prima che vadano in stampa e decidere se censurarli o meno. Tutto procede per il meglio finché un articolo riguardante il fratello inizia a far riemergere i ricordi della sua vera vita, e Arthur decide così di smettere di prendere le pillole… e scoprire la terribile realtà in cui lui e gli altri abituanti vivono. Quando gli altri colleghi capiscono che non è più sotto l’effetto della droga chiamano immediatamente le guardie che, dopo averlo picchiato selvaggiamente, lo portano nel Garden District, ovvero la zona dove abitano i Downer, coloro che rifiutano di assumere il Joy. Inizia così la nostra lotta per la sopravvivenza.
Le meccaniche di We Happy Few infatti sono prettamente quelle di un vero e proprio survival in terza persona con tinte horror, e la gestione delle risorse è la base per cercare di restare vivi. Arthur infatti ha bisogno di bere, mangiare e dormire, e per farlo bisogna scendere a “compromessi” con gli altri abitanti: nelle prime ore ho provato ad agire nella maniera più civile possibile cercando di non fare mosse avventate, ma quando l’indicatore della fame e della sete arrivano a livelli critici si capisce che la moralità viene completamente distrutta in We Happy Few. Lo stesso Arhur spesso commenta le nostre azioni chiedendosi come abbiamo fatto ad arrivare così in basso quando ci ritroveremo a rubare cibo e acqua fino ad uccidere per avere un letto dove dormire. Gli altri personaggi infatti spesso saranno piuttosto ostili, anche se per motivi diversi… anche solo l’abito indossato può essere motivo per essere attaccati. Una volta raggiunta la città principale di Wellington Wells vedremo gli abitanti sotto l’effetto del Joy indossare l’inquietantissima maschera bianca, e per passare inosservati dovremo assumere anche noi la pillola. Il dosaggio della droga diventa quindi una meccanica fondamentale se si vuole esplorare per bene l’area, completare le missioni e raccogliere preziosissimi materiali per il crafting.
Questo si è rivelato piuttosto semplice e basilare, infatti una volta ottenuti i materiali si possono creare oggetti in qualsiasi momento, ad eccezione di alcuni particolari che richiedono un banco di lavoro. Una volta ottenuti determinati materiali inoltre si sbloccano automaticamente le “ricette” per creare i relativi oggetti, che possono essere armi, strumenti o medicinali, e ognuno occuperò uno o più slot nell’inventario a seconda della loro grandezza. In questa prima fase Alpha il consumo delle barre di sete, fame e sonno mi è sembrato troppo veloce, costringendomi a non allontanarmi mai troppo dalla base o luoghi dove recuperare scorte influenzando così le mie sessioni esplorative… spero che nella versione finale vengano bilanciate, perché al momento diventa veramente difficile stare dietro a tutti i bisogni del protagonista. Anche il sistema di combattimento è piuttosto semplice e basato sulle armi corpo a corpo (almeno ad eccezione di alcuni dardi non ho mai trovato armi a distanza per ora), e con i due grilletti del pad ci si para e attacca, e con il giusto tempismo di possono eseguire delle brevi combo. Bisogna inoltre fare sempre attenzione alla barra della stamina e non attaccare a caso se non si vuole rimanere senza energie, anche perché gli scontri singoli sono abbastanza facili, ma quando ci si ritrova contro 2 o più persone spesso la fuga è la tattica migliore. Il gioco spinge molto verso la componente stealth strisciando dietro i nemici per eliminarli silenziosamente, anche se ho notato che le persone vicine sono fin troppo attente e riescono quasi sempre a scoprirci anche se non siamo nel loro campo visivo… un altro elemento che spero venga sistemato al più presto.
We Happy Few si è dimostrato un prodotto decisamente interessante, anche se al momento questa versione Alpha presenta alcuni problemi di bilanciamento e anche alcuni bug, oltre ovviamente a non essere completa della Storia, elemento che a detta degli sviluppatori sarà fondamentale nel gioco. L’ambientazione e lo stile artistico in effetti sono ciò che colpisce maggiormente, e non vediamo l’ora di seguire i prossimi sviluppi in attesa dell’uscita ufficiale prevista per il 2017.
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