199o. Mattatore assoluto dell’omonima serie di platform game, Alex Kidd ricoprì il ruolo di mascotte Sega per tutto l’arco vitale del Master System affermandosi, allo stesso tempo, come una delle icone videoludiche più carismatiche degli eighties. Con l’arrivo di Sonic e la conseguente perdita dello status vantato in precedenza,quest’impertinente ragazzino dallo sguardo vispo e le enormi orecchie sprofondò tuttavia in un silenzioso limbo professionale, da cui non sarebbe mai più riuscito a riemergere: l’ultima apparizione di Kidd in vece di protagonista risale difatti al lontano 1990, anno in cui il succitato 8Bit di Osaka accolse nel suo catalogo la sua ultima avventura alla volta del curioso “Shinobi World”.
Concepito, almeno in principio, quale primo esponente di una serie di parodie legate ai maggiori classici della grande S, il gioco si prendeva la briga di rivistare il leggendario Shinobi di Yutaka Sugano in chiave ironica, additandone bonariamente principali cliché ed elementi concettuali di riferimento. Lungo le 4 principali aree di gioco, suddivise a loro volta in 3 sotto livelli, il buon Kidd avrebbe dovuto in tal senso affrontare un vero e proprio esercito di buffi ninja, facendo ricorso all’uso di ermi esotiche, elementi dei fondali e tecniche speciali come il leggendario super-salto del tornado.
Benché condotta con garbo assoluto e invidiabile verve stilistica, l’operazione non si rivelò purtroppo vincente: superata la curiosità iniziale, i fan del progetto originale non riuscirono evidentemente a digerire il fatto che l’agile Joe Musashi venisse rimpiazzato dal morbido sprite di Alex, né che i rispettivi ritmi della sacra epopea risultassero “annacquati” da una più marcata componente platform. Interpretata più come una goffa dissacrazione, che alla stregua di una divertente boutade in pixel, essa scaturì pertanto in flop tanto clamoroso da tarpare immediatamente le ali ad ogni eventuale prospettiva di serializzazione.
Giocando a “Shinobi World” col senno di poi, appare francamente impossibile comprendere i motivi del suo fallimento: oltre a risultare ancora valido sotto il profilo meramente tecnico, il gioco continua di fatto ad evidenziare qualità evidenti che si riflettono sia in ambito di level design, sia in termini di gameplay nudo e crudo – il piccolo eroe disponeva, ad esempio, di un repertorio di abilità molto più vasto di quello sfoggiato da Musashi. Da qui il sospetto che il pubblico dell’epoca non fosse ancora pronto per assimilare produzioni dal taglio così particolare, nonché la certezza che un potenziale classico della sfera platform sia andato perduto per cause che esulassero dal suo effettivo valore.
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