Era il 2010 quando Playdead, uno piccolo studio indie, debuttò con Limbo su Xbox Live e PC. Il gioco era un platform bidimensionale con enigmi estremamente semplice nelle meccaniche, ma con un comparto artistico e uno stile che rimasero subito impressi nella mente dei giocatori. Il grande successo di Limbo da parte di critica e pubblico permise successivamente al gioco di uscire anche su PlayStation 4, PlayStation Vita e iOS, rendendo Playdead uno degli sviluppatori indie più amati. Il team iniziò subito i lavori per un nuovo gioco, ma solo nel 2014 venne finalmente annunciato Inside, con una finestra di lancio che sarebbe dovuta essere molto vicina considerati i già 4 anni di lavoro alle spalle… tuttavia qualcosa andò storto, e Inside sparì praticamente dalla circolazione, generando non poca preoccupazione sul suo stato. Quasi a sorpresa durante l’E3 di quest’anno Playdead ha annunciato che il gioco sarebbe uscito a pochi giorni dalla fine della fiera, e finalmente è arrivato il momento di mettere alla prova il titolo.
Appena avviato il gioco vediamo un bambino che rotola giù per una collina in quello che sembra essere un bosco. Non sappiamo chi è, come si chiama, dove si trova, in che periodo storico, quale è l’obiettivo… nulla. Questa totale mancanza di informazioni lasciandoci nell’ignoto è una delle caratteristiche che rendono Inside un prodotto unico e decisamente difficile da recensire. Prima di addentrarmi ulteriormente nell’analisi è doveroso precisare come Inside sia un gioco che o si ama o si odia, non esistono vie intermedie. E soprattutto DEVE essere provato per capire esattamente di cosa sto parlando. Perché Inside non ti spiega assolutamente nulla, ti butta nel gioco e nei panni di questo bambino continui ad avanzare risolvendo enigmi più o meno complicati basati principalmente sulla fisica… ma perché? Dopo pochi minuti ci si rende conto che il bambino è costantemente inseguito da uomini armati e creature più o meno strane, e nessuna esita un momento ad uccidere il piccolo. Playdead non si fa scrupoli, e nonostante ci metta nei panni di un bambino la punizione per gli errori è sempre crudele: vedere il piccolo corpicino massacrato, smembrato, mangiato dai cani, fatto esplodere e altri mille modi orribili per mettere fine ad una giovane vita è qualcosa che normalmente non si vede spesso in gioco, ed è piuttosto disturbante. Ma proprio per questo ti lascia qualcosa dentro, ti fa sentire ancora più in ansia e legato al protagonista, e quando senti quei maledettissimi cani (li odierete sul serio) abbaiare in lontananza inizia a sudare freddo cercando di capire al volo come fare prima di fine tra le loro fauci.
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“Questa totale mancanza di informazioni lasciandoci nell’ignoto è una delle caratteristiche che rendono Inside un prodotto unico e decisamente difficile da recensire”
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Piano piano Inside ci fornisce alcuni elementi per contestualizzare il motivo delle nostre azioni, lasciando tuttavia un ampio spazio all’immaginazione del giocatore, motivo per cui vi dicevo che mi risulta piuttosto difficile cercare di far capire la storia senza che voi proviate prima il gioco. Di base comunque immaginate un futuro (?) distopico in cui buona parte dell’umanità è lobotomizzata e ridotta praticamente in schiavitù tramite alcuni dispositivi che permettono un controllo totale delle loro azioni, e il bambino si intrufola in uno studio di ricerca dove probabilmente è iniziato tutto per cercare un modo di liberare tutti. Detta così purtroppo non rende minimamente l’idea, perché appunto il gioco lascia il compito della narrazione unicamente all’azione: non esistono dialoghi, scritte o qualsiasi cosa che possa dirci di più, e ognuno è libero di dare l’interpretazione che gli suggerisce l’esperienza… basta farsi un giro sui forum dove si parla del gioco per vedere già decine e decine di teorie e interpretazioni del messaggio del gioco, alcune simili, altre diverse ma tutte ugualmente valide e interessanti. Soprattutto il finale è piuttosto disturbante, ovviamente non vi anticipo nulla ma è qualcosa che mi ha profondamente colpito, anche se tutt’ora non riesco a capire esattamente COME… so solo che una volta arrivato ai titoli di coda mi ha pervaso un senso di vuoto enorme, e ho passato tutto il giorno a riflettere su cosa avevo appena giocato, una cosa che devo ammettere mi è successa raramente negli ultimi tempi.
I comandi sono piuttosto basilari: ci si muove con le frecce direzionali verso destra o sinistra (la grafica e gli ambienti sono tridimensionali, ma il gioco si svolge su binari bidimensionali), con un tasto si salta e con uno si interagisce con gli oggetti. Fine. Ad una prima impressione si potrebbe pensare che Inside non offra molto da giocare a livello pratico, e se da una parte è vero che buona parte del suo fascino risiede tutto nella pura esperienza visiva non mancano comunque gli elementi per un gameplay semplice ma solido ed efficace. Gli enigmi in genere richiedono lo sfruttamento della fisica spostando casse e oggetti, ma in alcuni casi si può prendere momentaneamente il controllo di alcune persone “lobotomizzate” tramite specifici dispositivi, e anche diverse situazioni come quello sott’acqua (forse un pochino troppo presenti) che variano comunque l’approccio ai puzzle, che risultano ben bilanciati e mai troppo difficili da restare bloccati, ma nemmeno così intuitivi da farvici arrivare subito. Inside abusa forse del trial & error, e in alcune situazioni sarà praticamente impossibile non morire al primo tentativo a causa di elementi a sorpresa di cui dovremo ricordarci e regolarci di conseguenza riprovando la sezione, anche se i checkpoint piuttosto generosi limitano questo problema. Anche dal punto di vista grafico Inside risulta piuttosto minimalista, e i toni grigi e cupi saranno presenti per la maggior parte di tempo, e solo pochi elementi saranno invece colorati, creando dei contrasti piuttosto di impatto. Degna di nota anche la colonna sonora che amplifica il senso di inquietudine alternando motivetti cupi ad attimi di assoluto silenzio dove si sentono solo i passi del bambino e il suo battito cardiaco, inoltre in alcuni punti il suono diventa parte integrante del gameplay con alcune situazioni dove per non morire bisogna basarsi proprio sul tempismo dei suoni. A livello di longevità purtroppo Inside non brilla, e ho completato il gioco in una unica sessione ininterrotta di circa 4 ore, anche se esplorando per bene e trovando tutte le aree segrete si può sbloccare un finale alternativo, offrendo così un motivo per rigiocare.
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“se da una parte è vero che buona parte del suo fascino risiede tutto nella pura esperienza visiva non mancano comunque gli elementi per un gameplay semplice ma solido ed efficace”
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In conclusione, Inside è un titolo veramente particolare, ma che vi consiglio assolutamente da provare. Come accennato all’inizio si tratta di un titolo che o si ama o si odia senza mezze misure, ma se volete provare un’esperienza diversa dal solito che una volta completata vi lasci qualcosa (che sia vuoto, smarrimento, soddisfazione, inquietudine o tutte insieme) allora sarà un gioco perfetto, mentre se non amate titoli in cui non si capisce quasi nulla della trama e con gameplay profondi e complicati allora statene alla larga. Peccato solo per la breve durata dell’esperienza, ma considerato il prezzo budget a cui viene venduto (circa 20 euro), potrebbe essere una buona occasione anche se non siete particolarmente attratti dal genere.