NES, 1990 – Non è raro che il destino di un dato progetto possa dipendere da una serie di dettagli contestuali, piuttosto che dal suo effettivo valore: la storia dei videogame è anzi piena di titoli degni di ambire ai massimi vertici del settore, la cui sorte è stata alterata da coincidenze avverse. Il caso di Startropics appare in tal senso emblematico: non avesse avuto la sfortuna di condividere diversi elementi concettuali con Legend of Zelda e vedere la luce sulla medesima console, l’Action Rpg firmato da Genyo Takeda sarebbe potuto difatti diventare il capostipite di una dinastia altrettanto longeva.
Al di là di un’architettura grafica simile a quella sfoggiata dal classico di Shigeru Miyamoto e di una formula di gioco grossomodo orientata su principi analoghi, il viaggio intrapreso dal giovane Mike Jones alla ricerca del suo mirabolante zietto scienziato si dimostrava comunque in grado di esprimere tratti di assoluta unicità . Mi riferisco alla delicatezza del character design e al fascino innato dell’insolita ambientazione esotica, ma anche e soprattutto alla riuscitissima amalgama di elementi action e sobrie soluzioni ruolistiche che ne caratterizzava il gameplay.
Se aggiungiamo al tutto, tocchi di classe come le coraggiose zoomate che allargavano il campo visivo durante le fasi esplorative, per poi ingrandire l’area di gioco durante le incursioni nei dungeon risulta pertanto strano – oltre che ingiusto – costatare che Nintendo paia ormai essersene del tutto dimenticata. Escludendo la mera introduzione della sua versione originale nel catalogo della Virtual Console Wii (2008), l’ultima interazione del brand risale infatti al lontano 1994, anno in cui Startropics II: Zoda’s Revenge approdò sui circuiti di un NES che aveva già abdicato da tempo in favore del suo Super Fratellone…
Che i signori di Kyoto interpretarono il mancato successo di quella tardiva operazione come segno di debolezza del brand? Probabile. Ma se anche così fosse, perché continuare in ogni caso ad accanirsi sui medesimi franchise per tanti anni, senza mai risolversi ad offrirgli una nuova chance? Misteri da grande N oppure, come si diceva in apertura, le semplici, letali conseguenze di un fato patrigno.
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