Il mondo dei videogiochi sa essere strano a volte: dagli anni ’50 e dalle primissime sperimentazioni nelle università sono passati interi decenni e periodi che si possono chiaramente distinguere, eppure è difficile riconoscere anche solo una manciata di artisti e designer nel medium. Certo, in molti conoscono Hideo Kojima, David Cage o Shinji Mikami, ma gli estranei al mondo videoludico sarebbero in grado di farlo alla stessa maniera? Nella cultura popolare il videogioco è ancora lungi dall’essere totalmente presente; basti pensare a volti noti come Quentin Tarantino o Leonardo di Caprio per capirlo, che riescono facilmente ad uscire dal loro medium di appartenenza, a formare meme e ad appassionare il loro pubblico, fuori e dentro gli schermi. In questo ambiente amaro, dovremmo dare più valore a quei designer che sono riusciti nel corso degli anni a portare avanti l’opera multimediale interattiva, come Richard Rouse III. L’artista poliedrico, che può vantare anche un passato da scrittore grazie alla sua opera Game Design: Theory & Practice, ha contribuito a realizzare piccole perle e successi, tra cui The Suffering, titolo horror del 2004, arrivando negli ultimi anni a passare allo sviluppo indipendente. Con The Church in the Darkness sulle spalle, abbiamo voluto intervistare il designer americano sulla sua prima opera da direttore; have a look!
1) Come e perché è nata Paranoid Productions? Ci farebbe piacere una presentazione e un’introduzione al suo lavoro, The Church in the Darkness, per chi è ignaro di cosa sia.
Anni fa Paranoid Productions realizzava videogiochi su Machintosh e Windows per team indipendenti e ristretti. Dopo quel periodo, mi sono spostato a lavorare nelle case più note come Surreal Software, Ubisoft e Microsoft, lavorando come direttore sui titoli tripla A del calibro di The Suffering e consultandone altri come State of Decay e Quantum Break. Nonostante io abbia vissuto il lavoro dietro questi titoli mastodontici, ho sempre sentito il bisogno di concentrarmi su progetti minori. Avevo anche la voglia di essere più sperimentale e di prendermi qualche rischio con i contenuti, e tornare ad un lavoro indipendente era il modo migliore per realizzarlo. Ecco quindi che ci troviamo a parlare di The Church in the Darkness, il primo “nuovo” gioco di Paranoid Productions. E’ un titolo action-stealth con visuale dall’alto ambientato all’interno di un culto religioso durante gli anni ’70, con una trama che cambia ogni volta che la si vive. Ho sempre amato le narrative nei giochi che potessero essere diverse e dinamiche, e sono stato fortunato a lavorarci sopra negli anni (includendo The Suffering e State of Decay). Ma mentre ci stavo lavorando ho realizzato che The Church in the Darkness è il gioco più ambizioso a cui io abbia mai lavorato in termini puramente narrativi.
2) E’ noto per i suoi molteplici impegni all’interno dell’industria videoludica: da The Suffering al recente Quantum Break, è arrivato a comprendere ogni minuzia del mercato tripla A. Quante differenze ha notato tra il lavorare a titoli di quel tipo rispetto ad un prodotto indipendente?
C’è un numero di differenze prominenti, ma alla fine va tutto a cadere nel budget. I giochi tripla A, con il loro splendore grafico hanno bisogno di più soldi per essere sviluppati. Per arrivare a raggiungere tali fondi, dovrai sempre rinunciare in qualche modo al tuo controllo creativo sulle persone, che può rivelarsi un bene, e sicuramente vengono sviluppati un sacco di titoli tripla A dalla qualità eccelsa. Per contrasto, nello spazio indipendente il tuo budget è decisamente inferiore, e ciò significherà che ci saranno più probabilità che le persone ti lasceranno più libertà decisionali. In un progetto indipendente c’è infatti più pressione nei confronti del creatore per realizzare qualcosa che sia rischioso e unico, ma che potrà interessare ad una diffusa cerchia di videogiocatori, cosa che è già una cosa difficile da sviluppare quando pensata da sola. E’ divertente, non direi con certezze che lo sviluppatore tripla A sia più felice di quello indipendente, o viceversa. Sono entrambi lavori intensi e si portano dietro una pressione a lavorare pesantemente per realizzare la loro idea di gioco. Alla fine sono soltanto stressati in modi differenti.
3) The Church in the Darkness è in fase di sviluppo, ma come sta andando? Qual è stata la parte più difficile nella formazione del gioco?
Lo sviluppo indipendente è stato di sicuro un cambiamento enorme dai progetti su cui lavoravo prima, ma per ora sta andando tutto bene. Ho amato nuovamente la programmazione, una cosa che che non facevo da circa 10 anni. La parte più complessa è stata di sicuro quello di gestire un gioco così ambizioso, soprattutto quando sono io ad essere il diretto responsabile, lavorando insieme ad artisti, musicisti e attori per comporre il puzzle, senza le infrastrutture e i produttori che arrivano nel caso di uno studio da tripla A. Mi ha sicuramente aiutato ad apprezzare appieno l’importanza di quei produttori che sono capaci di gestire a modo titoli maggiori.
4) Qual è stato il processo creativo che ha portato alla formazione dell’idea dietro The Church in the Darkness?
Ho avuto dei pezzi del gioco che già mi giravano nella testa da diversi anni a questa parte. Sapevo di voler fare qualcosa con una narrativa che cambiasse ogni volta che la si sarebbe giocata – Ero affascinato da quei titoli investigativi di decadi fa che randomizzavano il colpevole del caso, e intanto immaginavo cos’altro si sarebbe potuto fare con quello strumento narrativo ed interattivo. Sono inoltre rimasto affascinato dai culti – come si sono trasformati in piccole società private, e il motivo che hanno portato le persone ad avvicinarcisi. Poi adoro la prospettiva dall’alto nei videogiochi simulativi, immersivi e di stampo infiltrativo. Ad un certo punto ho realizzato che tutti questi punti li avrei potuti convergere in un gioco che si sarebbe potuto distinguere dal resto del mercato. Eventualmente è diventato il titolo che ho più voluto realizzare, così ho preso la palla al balzo e ho incominciato a lavorare in Paranoid Productions, insieme ad un piccolo team.
5) La tua ispirazione per il gioco sembra provenire dall’incidente di Jonestown. Quale tipo di ricerche e studi ha condotto per esprimere le sensazioni dietro questi tipi di storie ed eventi?
Il gioco prende qualche spunto da Jonestown, ma non è un documentario. Questo gruppo non contiene le persone che costruirono Jonestown e i leader, che sono ben diversi dal Reverendo Jim Jones. Visto che volevo raccontare una storia che potesse funzionare in un gioco, sapevo già dall’inizio che non potevo solamente ricreare gli eventi storici. Dovevo fare qualcosa di nuovo. Eppure ho cercato di rendere il tutto realistico. Ho quindi studiato molti gruppi politici radicali che volevano dividersi dalla società e provare qualcosa di completamente differente. Alla fine, nel gioco finale, le ispirazioni si sono congiunte in una varietà unica, trovando anche interessante come ogni gruppo possa iniziare con delle intenzioni positive, per poi arrivare sia a rimanere in regola con quelle idee che a scartarle completamente. Specificamente gli anni ’70 mi sono sembrati l’era ideale per raccontare questa storia perché rappresentava un tempo particolarmente sentito negli Stati Uniti. C’era la guerra in Vietnam che proseguiva ininterrottamente, vi era il terrore continuo di un annientamento nucleare dovuto dalla Guerra Fredda, e il fallimento dei movimenti pacifici degli anni ’60 aveva portato parecchi gruppi radicali a inasprirsi ulteriormente, con l’FBI che inseguiva attivamente un programma che avrebbe annichilito chiunque avesse tentato di minacciarli. L’ho sentito come il periodo ideale per la proliferazione di un gruppo simile.
6) Il gameplay di The Church in the Darkness è un action/stealth con una prospettiva dall’alto. Potresti descriverci i motivi di questo design peculiare?
Il gioco si basa sul classico gameplay d’infiltrazione – la gente spesso lo compara ai vecchi Metal Gear Solid, ma il titolo è ben più frenetico di tutto ciò. C’era un vecchio gioco in particolare che ho amato da bambino – l’originale Castle Wolfenstein – che era essenzialmente uno stealth ambientato in un castello nazista, che si trovava ben più avanti rispetto ai tempi. Quello è stato un gioco dal quale mi sono ispirato particolarmente. Nei panni di Vic, proverai ad infiltrarti in Freedom Town per andare a visitare Alex, il tuo nipote. Il giocatore non conosce le vere motivazione della Missione Collettiva di Giustizia, ma il gruppo sarà sempre ostile a chiunque si infiltrerà nella loro città senza un permesso. Dovrai quindi evitare che ti scoprano o utilizzare dei metodi letali e non per abbattere le guardie che bloccheranno la ricerca di Alex. Esplorando Freedom Town, si potranno trovare oggetti e dispositivi per entrare ancora di più nella comunità . Adoro vivere un gioco come questo, con una prospettiva dall’alto, perché da un senso di consapevolezza dei propri paraggi, e ti aiuta a compiere scelte tattiche senza dover osservare attraverso muri o altro. Inoltre credo che ci sia un grande beneficio nel vedere una comunità come questa dall’alto, perché ti da una maggiore sensazione delle scelte che il gruppo ha intrapreso nella loro vita.
7) Abbiamo notato questo stile grafico unico e distinto. Qual è stata l’idea che vi ha portato a tale scelta?
Essendo un team indipendente volevamo fare qualcosa che sarebbe rimasto impresso, e che avrebbe dato un bell’effetto grafico con la prospettiva della camera. Tentare il fotorealismo dei tripla A avrebbe potuto funzionare, ma non senza un team ben più esteso. Riempire una città così grande di persone che sono uniche diventa veramente costoso. Ho voluto uno stile visivo che potesse avvicinarsi comunque alla realtà , utilizzando però una visione più stilizzata e astratta. Con questo look, il luogo sembra vero, e possiamo portare ancora altre novità sulla narrativa ambientale.
8) Il sistema narrativo sembra incredibilmente interessante, che cambierà profondamente ad ogni partita. Puoi espandere il discorso su questo concept così affascinante?
Uno dei motivi principali che mi porta ad amare le storie attraverso i videogiochi è che adoro lasciare che la narrativa possa reagire alle azioni del giocatore, per sfidare le persone a pensare alle loro decisioni e a osservare le reazioni del mondo stesso. Molti giochi lo fanno lasciando al giocatore la libertà di scelta – sia per scelte narrative che per come si gioca il titolo – che poi ha ripercussioni nel sistema di gioco e, spesso, alla fine della storia. Così come abbiamo fatto con la serie di The Suffering, abbiamo aggiunto un dettaglio in più, dando alla libertà di scelta del giocatore la possibilità di alterare le origini del personaggio stesso, che sono rivelate alla fine del gioco. I giocatori arrivando quindi ad influenzare non solo il futuro, ma anche il passato. Ma apprezzo anche titoli dove, se riesco ad immergermi, posso rigiocarlo più volte ed avere ogni volta un’esperienza diversa. Se vuoi che la tua opera sia rigiocabile, devi avere a disposizione le meccaniche di gioco migliori al mondo, ma se la storia è statica, perdi un motivo piuttosto serio di rigiocabilità . Adoro quindi l’idea di una storia che può cambiare, dove devi capire come la storia può rivoltarsi e in che modo ci si può arrivare attraverso le proprie scelte. Ho trovato che questo si collega piuttosto bene con il soggetto preso in causa – perché nella vita reale è veramente difficile capire quali “culti” siano pericolosi o semplicemente eccentrici. Volevo che ci fosse un’ambiguità di fronte alla Missione Collettiva di Giustizia. Sono un gruppo nobile o nascondono un lato oscuro? Nel gioco, Isaac e Rebecca, i capi del culto, sono sempre gli stessi personaggi da un certo punto di vista, ma certe linee di dialogo cambieranno a seconda della loro personalità durante quella specifica avventura. Il giocatore troverà lettere e note sparse per il campo, che diverranno frammenti di evidenza. Quindi chi vorrà giocare il titolo in maniera minuziosa per ottenere il finale voluto, dovrà ascoltare ogni pezzo trovato e decidere se le persone staranno bene se lasciate in pace, o se c’è il bisogno di fare qualcosa per prevenire un possibile disastro.
9) C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori di VMAG?
Siamo ancora lontani dalla fase di rilascio, ma sarebbe importante se la gente ci volesse seguire durante lo sviluppo per ottenere degli scorci sulle varie fasi del gioco sviluppate. Abbiamo una mailing list alla quale ci si può segnare a questo indirizzo, altrimenti ci potete sempre trovare su Twitter o su Facebook. Saremo soprattutto incuriositi dalle scelte che faranno i giocatori nella giungla.