Non giocate a The Witness. Per favore, non giocateci se siete persone impazienti. Non acquistatelo se vi piace essere guidati e se non avete intenzione di riflettere, scuotere le vostre sinapsi, apprendere, crescere. Non lanciatevi in questa avventura se non avete intenzione di gettare prima dalla finestra preconcetti e metri di paragone che risulterebbero stantii e fuori luogo. Questo titolo probabilmente non vi divertirà se siete passionali amanti dei sempre più ipertrofici tripla A e non è detto che lo apprezzerete neanche se avete già adorato brillanti puzzle-game come Portal o The Talos Principle. Se vi sentite chiamati in causa da queste parole, potete tranquillamente  smettere di leggere ed interessarvi ad altro. Siete ancora qui? Non vi abbiamo scoraggiati? Ne siamo felici. Dunque, per chi è rimasto ed in questi giorni non è stato attirato come ape al miele dal successo di critica riscosso da questo mastodontico puzzle game, stiamo parlando della nuova fatica di Jonathan Blow, celebre e geniale game designer tra i primi ad illuminare il palcoscenico del movimento Indie con il bellissimo Braid. Stiamo parlando di The Witness.
In seguito ad una prima superficiale occhiata potreste dire che il gioco prende notevoli spunti da Myst ed in parte avreste ragione: siamo catapultati in prima persona in un mondo a noi estraneo, un’isola liberamente esplorabile in questo caso, con limitate possibilità di interagirvi. Conosciamo il nostro alter-ego solo attraverso l’ombra che proietta sul terreno e lo controlliamo grazie al mouse, che utilizziamo per muovere la visuale, e alla tastiera con cui possiamo guidarne i movimenti come in qualunque gioco open-world. Saremo infatti catapultati in una vasta ambientazione con l’unico chiaro obiettivo di risolvere puzzle disegnati su una lunghissima serie di amati/odiati pannelli per proiettare sulla montagna dell’isola dei misteriosi raggi. Con un semplice clic del mouse subentrerà una speciale modalità /visuale in cui la periferica non orienterà più lo sguardo del nostro personaggio, ma un puntatore, grazie al quale potremo interagire con i vari pannelli, ciascuno contenente un puzzle diverso. Ancora un clic all’interno del pannello ed il cursore comincerà a condurre una linea da uno o più determinati punti di partenza a uno o più  punti di arrivo attraverso percorsi preimpostati.
Ora, se concettualmente l’idea può sembrare essenziale – e lo è – , bastano pochi passi sull’isola per spalancare la bocca dinanzi alla quantità di soluzioni differenti che Blow è riuscito ad elaborare da tale concetto di base. Verremo introdotti gradualmente a sempre più simboli, ciascuno rappresentante implicitamente una regola che influisce radicalmente sul percorso da tracciare sulle griglie. Inizialmente ci troveremo dinanzi a puzzle piuttosto semplici, ma man mano che procederemo nell’avventura persino i rompicapo con regole introdotte nei primi minuti di gioco si complicheranno o si combineranno al punto da procurarci infiniti grattacapi. Nel gioco sono presenti tra i 600 ed i 700 puzzle , alcuni simili, ma mai uguali, sempre capaci di catturare la nostra attenzione e convincerci a proseguire verso quello successivo. Rifletteteci e realizzate quale poderoso lavoro di design è stato effettivamente fatto da Jonathan Blow.
Se approfondissimo ulteriormente i regolamenti dei puzzle vi toglieremmo il gusto di giocare, perché, ed è qui lo spunto più geniale che poi identifica ed attribuisce un senso coerente all’opera intera, nessuno vi darà una mano ad apprenderli, dovrete scoprirne i fondamenti da soli e spesso sarà proprio questo a darvi motivo di continuare a giocare. Il processo sarà graduale, non preoccupatevi, difficilmente non riuscirete a comprendere una meccanica e se passeggiando per l’isola vi imbatterete in pannelli complessi con simboli a voi sconosciuti avrete la possibilità di spostarvi altrove, data la natura open-world del titolo ed anzi, sin dall’inizio vi sentirete incoraggiati a farlo. Ad esempio, vi capiterà presto di scontrarvi con un puzzle apparentemente irrisolvibile, ma lasciandolo indietro e percorrendo un breve tratto di strada verrete immediatamente introdotti a tali concetti prima sconosciuti ed all’improvviso avrete in mano i mezzi per risolvere l’intricatissimo enigma che avevate a malincuore lasciato indietro. Nessuno vi fornirà tali capacità se non voi stessi, la vostra curiosità e la vostra facoltà di apprendere. The Witness è un gioco ideato per metterci costantemente alla prova, in condizione di mettere in moto il cervello e, in effetti, almeno nella nostra interpretazione, l’intera opera a partire dalla situazione in cui ci pone, è una parabola sul processo di apprendimento. Ce lo suggeriscono i puzzle ed il modo in cui ci vengono proposti e ce lo dicono pure le numerose citazioni cosparse attraverso piccoli registratori in tutta l’isola. Ma più di ogni altra cosa ce lo dice l’avventura nel suo insieme, l’isola ed il silenzio religioso in cui è immersa.
Di fatto, The Witness è stato costruito per sfidarci a riflettere ed a considerare diverse prospettive da cui osservare la realtà . Si potrebbe pure essere indotti a credere che  questo gioco sia una sorta di confronto tra noi e Jonathan Blow, ma in realtà nell’isola ci siamo solo noi. Ed il nostro cervello. La sfida, in definitiva è nostra, personale, interiore e la rivolgiamo noi al nostro stesso modo di pensare. Dall’alto della montagna, avviati alla chiusura del gioco, osserverete come astronauti dallo spazio la terra su cui fino a poco prima stavate facendo i vostri primi ingenui passi da bambini. La osserverete minuscola, oltrepassando in un intenso attimo con lo sguardo i confini che separavano le eterogenee ambientazioni dell’isola, sapendo che ciascuna vi ha proposto prove che piano piano avete superato grazie a conoscenze acquisite solo da voi stessi. E se poco prima eravate come bambini sperduti in un luogo sconosciuto, dall’alto della montagna guarderete tutto con occhi diversi, consapevoli, adulti. Questo non perché qualcosa nell’isola sia cambiato. La natura impiega secoli a trasformarsi. Ad essere cambiati, al termine della prova, sarete voi. Ciò non significa che sia tutto relegato alle nostre sensazioni e non sia presente una narrativa, anzi, tutto questo è sua parte integrante e l’esperienza tutta, coadiuvata dai file audio sparsi in giro, aiuterà a risolvere diversi quesiti che inevitabilmente l’ambientazione stessa ci porterà a porci.
Avviandoci alla conclusione non possiamo fare a meno di elogiare il comparto grafico. L’isola è una delle cose più belle che abbiamo mai visto, trasuda stile da ogni filo d’erba e mai un singolo pertugio sarà inutile, vuoto o giocherà col nostro tempo. Che sia per un puzzle ambientale ben nascosto o per particolari panorami mozzafiato, più di una volta ci troveremo sul bordo di una scogliera o sul ciglio di qualche formazione rocciosa ad osservare, immersi nel silenzio più totale, l’ambiente circostante. Come accennato, il comparto audio invece è stato volutamente ridotto all’osso e ci accorgeremo in maniera evidente della sua esistenza esclusivamente nei momenti in cui sarà davvero rilevante per ragioni inerenti il gameplay del gioco stesso. Durante tutta la nostra avventura l’unico rumore che saremo in grado di percepire in maniera più o meno costante sarà quello dei nostri passi assieme ad alcuni occasionali effetti ambientali rilassanti ed azzeccati. Suggerimento: non fate l’errore di ascoltare qualche canzone mentre risolvete dei puzzle!
The Witness è una gemma opaca piena zeppa di idee, trovate geniali e passione che pochi possono valutare senza averla osservata con attenzione, poiché essa stessa ci conferisce i mezzi che ci mancano per farlo. Un progetto enorme,  ma pure ostico e non adatto a chiunque, che terrà impegnati persino i più avvezzi alla risoluzione di puzzle per un periodo variabile dalle 20 alle 70 ore di gioco. L’unica nota negativa è il prezzo, a nostro parere giustificato dalla portata dell’opera, che è arte pura, ma oggettivamente poco accessibile. 36,99 euro agli occhi dei più potranno sembrare eccessivi per un “giochillo indipendente” ma vi assicuriamo che li vale tutti. Adesso scusate, devo andare a farmi curare. Tutte le volte che chiudo gli occhi comincio a tracciare puzzle col pensiero. Ma prima un altro salto sull’isola!