Senza nemmeno accorgercene noi esseri umani veniamo ogni giorno bombardati di informazioni di qualsiasi genere, da ogni tipo di canale possibile. Informazioni che, positive o negative che siano, spingono il nostro cervello a volerne sempre di più, per imparare e fare tesoro di ogni esperienza. In ambito tecnologico, diversi apparecchi di uso comune sono accomunati dallo stesso obiettivo, che consiste nel soddisfare questa perpetua necessità . Da qualche tempo a questa parte anche i dispositivi di realtà virtuale hanno sposato questa causa. Avere a disposizione un intero mondo virtuale nel quale poter provare esperienze di ogni tipo con un grado di coinvolgimento tale da poter quasi affermare di averle effettivamente vissute… non è, sicuramente, una cosa da poco. Anche i videogiochi sono, nel senso lato del termine (e possiamo fare questa affermazione con un certo orgoglio) definibili come “esperienze”, che stimolano e coinvolgono il giocatore e soprattutto lo arricchiscono di parole, di sensazioni, di insegnamenti. Il modo più tradizionale di approcciarvisi, tuttavia, ha un difetto: non stimola la sfera sensoriale, se non in modo abbastanza limitato. Sollecitazione che è invece ampiamente possibile se si uniscono videogioco e realtà virtuale.
A tal proposito, nei prossimi anni potrebbe nascere un collegamento strettissimo tra la VR e i serious game, quel particolare filone di videogiochi che, senza nessuna velleità di intrattenimento, contengono esclusivamente elementi a scopo educativo. La loro combinazione potrebbe amplificare enormemente la già straordinaria forza espressiva del videogioco come medium interattivo, veicolata attraverso un mezzo così potente come la virtual reality. Compiuto questo passo, non è più necessario per il giocatore doversi immedesimare nell’esperienza vissuta utilizzando la propria fantasia, dal momento che la distanza fisica tra uomo e macchina viene completamente annullata. Tutto molto bello e di facile interpretazione quando, come accade solitamente, parliamo di esperienze “ludiche” vere e proprie, di opere della cui finzione siamo sempre ben consapevoli. Cosa succederebbe, invece, se la potenza espressiva della realtà virtuale venisse associata a particolari esperienze che narrano fatti di cronaca realmente avvenuti? Saremmo in grado di saper discernere emotivamente la realtà dalla finzione nel momento in cui le sensazioni provate dovessero essere in gran parte le stesse?
Chissà se anche i designer di 08:46, esperienza virtuale narrativa e guidata, come viene definita sul sito ufficiale del progetto, si sono posti questa domanda nello sviluppare tale “esperimento” per Oculus Rift, trattato recentemente, fra l’altro, anche dal canale YouTube Parliamo di Videogiochi. Ipotizzando di cominciarla senza conoscere lo scopo per cui questa particolare esperienza è stata sviluppata, all’inizio il giocatore assume semplicemente il controllo di un impiegato qualunque, probabilmente di nazionalità statunitense (non ci è dato saperlo) che, seguendo la propria routine giornaliera, si reca al lavoro in ufficio. Per i primi minuti, sembra quasi di ritrovarsi a giocare ad un simulatore di vita lavorativa: siamo seduti alla nostra scrivania, compiendo operazioni del tutto normali: controllare il computer (che mostra i comandi del gioco), aprire e chiudere i cassetti, sfogliare carte, ascoltare una nostra collega rispondere al telefono, eccetera. Dopo qualche tempo passato a sbrigare i nostri compiti o in alternativa a guardare semplicemente fuori dalla finestra, alle 8.46 e 40 secondi, da cui il titolo dell’opera, udiamo il rumore di un terribile schianto proveniente dai piani superiori del grattacielo dove ci troviamo, e comprendiamo quasi istantaneamente di quale avvenimento e di quale tipologia di videogioco si sta parlando.
Si tratta, infatti, della rievocazione degli attentati al World Trade Center di Manhattan, New York, avvenuti l’11 settembre 2001, il tutto visto attraverso gli occhi terrorizzati di un impiegato della Torre Nord. A questo punto comincia a delinearsi un quadro che sul momento è a dir poco angosciante: da una parte, il disperato tentativo degli impiegati di trovare una via di fuga, dall’altra la nostra consapevolezza di quel che sta per accadere, unita alla frustrazione che sopraggiunge nel non poter fare nulla per evitare la strage. Dopo aver inutilmente vagato per i corridoi e sentito il secondo aereo schiantarsi sulla Torre Sud, un gruppo di persone, compreso il nostro uomo, torna in ufficio, mentre l’aria si fa sempre più irrespirabile. C’è chi telefona, vanamente, al 911 e chi invece pensa di buttarsi giù dalla finestra, per non morire d’asfissia. La simulazione si conclude con una schermata nera, a testimoniare la sopraggiunta morte, a meno di non aver preso la tragica decisione di lanciarsi dal centoquarantunesimo piano. Per la maggior parte della vicenda non siamo altro che spettatori di una storia a cui dovremmo solamente assistere, ma la sensazione di viverla in prima persona, con passività ed impotenza, rimane comunque palpabile. Tutto si conclude qui.
Giunti a questo punto si rischia davvero di rimanere spiazzati.  Un simile utilizzo dell’Opera Multimediale Interattiva (OMI) associata alla realtà virtuale, soprattutto all’interno del genere dei serious game, va attentamente analizzato considerando ognuno dei pro e dei contro. Una domanda sorge spontanea: si può davvero imparare da OMI che trattano temi delicati come 08:46? Il genere dei serious game è, nella sua interezza, talmente vasto che ogni titolo rappresenta un caso a sè stante. È comunissimo, in tal senso, sentire affermazioni del tipo “questo gioco va bene perché” o “questo gioco non va bene perché”. Ci sono alcuni tabù, come ad esempio gli attacchi terroristici, che secondo l’opinione comune non ci si dovrebbe permettere di toccare, una sorta di auto-imposto limite morale che a volte si fa fatica a superare, giusto o sbagliato che sia.Considerando la cosa da un punto di vista più razionale, invece, rievocare simili eventi potrebbe essere d’aiuto a mantenerne viva la memoria, mentre proclamarli intoccabili non è che un modo come un altro per non volerli più ricordare, lasciandoli stagnare nell’idealismo dell’opinione pubblica.
Con il tempo, probabilmente, ci si comincerà ad abituare a questi particolari videogiochi; ciononostante, molto spesso si trascinano dietro un codazzo di polemiche di ogni tipo che non possono essere ignorate. Un altro, recente esempio del genere è Progetto Ustica, tra i cui sviluppatori figura Mauro Salvador (recentemente intervistato da VMAG), titolo ancora in sviluppo che, come il nome lascia intuire, racconta il disastro aereo avvenuto nel 1980 attraverso gli occhi di un passeggero del volo DC-9; partito da Bologna e diretto all’aeroporto di Palermo, l’aereo si è schiantato nei cieli sopra l’isola siciliana, mietendo decine di vittime. Il titolo si caratterizza per l’indeterminatezza con cui vengono mostrate le facce dei personaggi, che somigliano a dei manichini, per rispetto verso le persone defunte e verso i loro cari; scelta sicuramente azzeccata e rispettabile, anche considerato che dopotutto è l’avvenimento trattato a dover catturare l’attenzione. Anche 08:46 avrebbe potuto seguire questa prassi; ad ogni modo, le facce dei personaggi sono anche qui piuttosto anonime, rendendo difficile identificarle con persone reali.
Ritornando al discorso iniziale, impiegare la realtà virtuale per ricordare avvenimenti effettivamente accaduti è una possibilità da non sottovalutare affatto. Eppure, siamo davvero sicuri di essere già pronti ad un simile passo? Siamo sicuri di poter apprendere qualcosa di così importante attraverso esperienze simulate che ci consentono di vivere l’evento in prima persona? La risposta appare scontata, quasi ovvia per chi considera i videogiochi un media culturale e sa distinguere i “videogiochi ludici” propriamente detti da quelle esperienze educativo-formative di cui i serious game sono l’esempio più fulgido. È chiaro a tutti che l’enorme potere comunicativo di Oculus Rift (nel caso di 08:46) consente di esplorare un mondo del tutto nuovo, nel quale non possiamo parlare semplicemente di opere ludiche di finzione il cui grado d’immersione è amplificato dai visori; al contrario, siamo di fronte alla possibilità di riportare alla luce e far rivivere fatti di cronaca realmente avvenuti, senza l’ambizione di voler realizzare un videogioco ben fatto da punti di vista più canonici, ma con l’unico obiettivo di mantenere vivo il ricordo di un determinato evento. Un’occasione straordinaria, ma anche da maneggiare ed inquadrare con cura.
Adoperare la virtual reality come una sorta di “enciclopedia” alla riscoperta degli avvenimenti del passato potrebbe essere un’opportunità per tutti e potrebbe anche trovare un interessante e valido impiego formativo nelle scuole (l’insegnamento della storia diventerebbe materia di studio preferita di tutti i ragazzi), ma se invece venisse sfruttata come pretesto per mostrare fatti di cronaca nera, per di più senza una reale motivazione… beh, in quel caso ne verrebbe fatto un utilizzo improprio, passabile senz’ombra di dubbio di critiche e di condanne mediatiche. Come la storia stessa ci insegna, non è il mezzo ad essere sbagliato, ma può essere sbagliato il modo in cui lo si usa, proprio come due aerei di linea dovrebbero trasportare passeggeri e non andare a schiantarsi volontariamente contro dei grattacieli, provocando soltanto morte e caos.