Ci è cascato di nuovo. A distanza di 16 anni dall’ultima volta, Keiichiro Toyama, che tutti conosciamo per avere dato vita alla serie di Silent Hill con Konami e a quella di Siren in Japan Studio, sta per lanciare l’enigmatico Slitterhead. Il gioco, atteso l’8 novembre su PlayStation, Xbox Series e PC, rappresenta per il game creator il ritorno al genere horror dopo 16 anni (Siren: Blood Curse, 2008) e dopo una parentesi dedicata a Gravity Rush (Japan Studio, 2012 e 2017).
“Volevo tornare alle mie radici di creator di giochi horror. Volevo un gioco che trattasse determinate tematiche. Ma voglio anche un gioco originale, non una rielaborazione di qualcosa che ho già fatto”. Queste le parole proprio di Toyama, riferite al portale The Gamer questa estate.
Quali sono i punti in comune tra Slitterhead e i lavori precedenti di Toyama? Quali invece saranno i segni distintivi del nuovo orrore che si cela nei vicoli oscuri di una metropoli asiatica degli anni ’90? Mentre attendiamo l’uscita, abbiamo provato a rispondere a queste domande.
L’invasione degli ultracorpi?
Primi anni ’90. Ci troviamo a Kowlong, una immaginaria cittadina dell’Asia orientale. Tra gli ignari abitanti della città serpeggia una minaccia. Le creature note come “spacca-cranio” (i titolari Slitterhead) si aggirano tra noi prendendo il controllo degli esseri umani, ma ne mantengono le fattezze. L’unica speranza contro l’annichilimento totale della specie risiede nello Hyoki, un’entità priva di corpo e di memoria che si serve degli umani alleati per liberare chi cade preda dei parassiti venuti da un altro mondo.
Per comprendere quanto questo gioco si discosti da quanto fino ad ora realizzato da Toyama, dobbiamo andare ad analizzare le peculiari caratteristiche dello Hyoki. Grazie alla sua natura incorporea, non esiste ostacolo fisico che questa entità misteriosa non possa attraversare, o luogo inaccessibile a cui non possa accedere; inoltre, può possedere e controllare, a suo piacimento, qualsiasi essere umano, trasformandolo di conseguenza in una sua pedina. Infine, in conseguenza a quanto detto finora, può assumere l’identità di chiunque, cambiando rapidamente ospite a suo piacimento e consumando la forza di chiunque possieda. In condizioni particolari, inoltre, quando cioè incontra un Unicum, un essere umano dotato di una grande capacità di sincronizzazione con lui, i suoi poteri aumentano esponenzialmente, attivando abilità ad hoc caratteristiche dello specifico Unicum con cui è entrato in contatto.
Certo, questo elemento della possessione da parte di alieni et similia è un tema ampiamente trattato in letteratura, cinema e serie TV, e i videogiochi, ovviamente, non fanno eccezione: basti pensare, per fare un esempio, a Snatcher, titolo di Konami del 1988. Si tratta di un insieme di suggestioni che Toyama ha sicuramente già incontrato nel suo passato di giovane giapponese nato e cresciuto tra gli anni ’70 e ’90, ma che mai prima d’ora aveva espresso all’interno di una sua opera.
Ispirazioni diverse
La meccanica principale, quella della possessione, è anche l’elemento portante della trama: da una parte ci siamo noi, uno Hyoki che, privo di corpo, dovrà utilizzare quelli altrui per combattere la minaccia degli Slitterhead. Questi ultimi si annidano nei corpi degli esseri umani e lì rimangono, indistinguibili dalle persone normali, finché non decidono di mostrare le loro orrende fattezze e attaccare.
Se lo Snatcher di Kojima sembra attingere a piene mani sia da “L’invasione degli ultracorpi” (il film del ’56 di Don Siegel), che dal “Blade Runner” di Ridley Scott, pare che Slitterhead abbia come fonte di ispirazione principale Kiseijū, manga di Hitoshi Iwaaki edito da Kodansha dal 1989 al 1994. All’originale manga si aggiungono due lungometraggi del 2014 e 2015 e un adattamento anime andato in onda sempre nel 2014. Infatti, per quanto il gioco di Kojima e il manga di Iwaaki abbiano in comune la caccia ai “sostituti degli umani”, è il protagonista di quest’ultimo, Shinichi, col suo rapporto con Migi, a far pensare alle premesse di uno Hyoki.
Quando il gameplay è cinico
A darci la misura di questa riflessione è il funzionamento stesso del gioco di Toyama, ma prima è utile fare un passo indietro e citare brevemente la trama generale di Kiseiju.
Siamo in Giappone, a Fukuyama, nei dintorni di Hiroshima. Durante la notte, la città viene invasa da particolari alieni: sono minuscoli, simili a vermi e con la testa a punta. Il loro scopo è intrufolarsi nei corpi degli umani e prendere il controllo del loro cervello. Fin qui si percepiscono ancora forti somiglianze con il romanzo di Jack Finney che ha ispirato la pellicola di Siegel (e i successivi remake). Tra gli esseri umani bersagliati dagli alieni, solo Shinichi riesce a evitare di perdere se stesso, grazie a un colpo di fortuna: resosi conto che qualcosa stava provando a entrargli nel naso, il diciassettenne prova a respingere l’attacco. Ha quasi successo: Migi, così chiamerà poi il parassita nel suo corpo, prende il controllo della sua mano destra. Insieme, i due si alleano per respingere l’invasione, combattendo contro gli altri alieni. Ed è da questo punto in poi che si comincia a intravedere più chiaramente la somiglianza tra manga e videogame.
Infatti, lo Hyoki ha necessità del corpo di un ospite per poter agire e compiere il proprio volere. Quasi ogni essere umano diventa dunque sacrificabile. Fanno eccezione gli Unicum, personaggi che diventano essenziali per il proseguimento della trama. Solo attraverso specifiche interazioni con essi, e dopo aver completato missioni in loro compagnia, è possibile accedere alle fasi avanzate del gioco.
Un deciso cambio di rotta
Tra le differenze più evidenti con le opere del passato di Toyama-san, si nota anche e soprattutto l’ambiente di gioco. Kowlong (che, a quanto risulta, pare essere basata sulle reali Hong Kong e Tokyo) è ben diversa dai luoghi che ci si potrebbe aspettare per un videogioco horror.
Una grande metropoli asiatica degli anni ’90 che, ancora una volta, Toyama ha rubato dal cassetto della propria memoria. Trasferitosi a Tokyo giovanissimo, con l’idea di proseguire gli studi e trovare un impiego, Toyama, nato in un piccolo villaggio della provincia, si è invece scontrato con una realtà nuova, in fermento e psichedelica. Una realtà fatta di metro affollate, di strade brulicanti di persone. Tutti uguali, tutti anonimi, tutti… spendibili? Forse anche a questo dobbiamo il concept di cui vi abbiamo parlato nel paragrafo precedente.
Il cambio di rotta è evidente su più aspetti: lontani dalla provincia americana, dalla collina silenziosa avvolta da quella nebbia che inghiotte e al tempo stesso custodisce paure e ansie. Eppure, un fil rouge lungo 25 anni si dipana da quel lontano 1999 fino a oggi: è sempre l’ignoto a fare paura. È più ciò che non si vede che dobbiamo temere.
Da un punto di vista puramente estetico, quest’ultima produzione, la prima sotto etichetta Bokeh, è completamente diversa da qualsiasi altra cosa mai uscita dalla mente di Toyama. A distanze siderali da Gravity Rush e dal suo seguito (PS Vita e PS4, 2012 e 2017), così come dai già citati Siren e Silent Hill, Slitterhead offre colpi d’occhio che non stonerebbero nemmeno se presentati come adattamenti videoludici di un qualche anime o manhwa coreano.
Dal punto di vista del gameplay, Slitterhead è chiaramente un action che fa del combattimento ravvicinato il suo punto principale. Oltre a controllare i corpi degli Unicum, lo Hyoki può utilizzarne il sangue per generare armi da usare contro i mostri. Un potere molto simile a quello posseduto da Skarlet in Mortal Kombat, per intenderci. Tali elementi mescolati danno vita a un combat system misto dove i colpi ravvicinati a mani nude o con le armi, e il continuo spostamento da un ospite al successivo possono offrire momenti al cardiopalma. Le abilità specifiche degli Unicum, inoltre, permettono di approfondire ulteriormente il gameplay. Come detto, alcuni sono specializzati in determinati tipi di combattimento, altri offrono la possibilità di deviare ogni colpo e via dicendo, con una varietà che ha del sorprendente. Inoltre, non mancheranno, come da descrizione fornita dal team, fasi di infiltrazione dove sarà necessario ponderare meglio ogni mossa prima di passare all’azione.
Per concludere
Quando mancano pochissimi giorni all’uscita su PC e console, di Slitterhead conosciamo già moltissimo. Conosciamo i personaggi, l’ambientazione e il combat system, quest’ultimo approfondito proprio da Bokeh Game Studio a inizio ottobre.
Sebbene la firma di Toyama sia, per molti, garanzia sufficiente circa l’attesa eccellenza del gioco, lo studio di sviluppo è alla sua prima prova da software house indipendente. “Alcuni giocatori non lo hanno ancora capito. Si chiedono quale sia il tema”, ha confessato Toyama ai microfoni di The Gamer quest’estate. Qualche dubbio di troppo? Non ci resta che attendere l’8 novembre per provare a dissiparli.
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