Il 7 ottobre 2024, Diablo IV ha inaugurato il suo primo grande contenuto aggiuntivo: Vessel of Hatred. Questa espansione riprende le fila del racconto, concentrandosi sulla figura di Mefisto, il Primo Maligno imprigionato alla fine del gioco base, e puntando i riflettori su Neyrelle, la giovane studiosa determinata a porre fine alla minaccia demoniaca, portandosi dietro un fardello che incombe costantemente su di lei. L’anno scorso, Diablo IV aveva diviso la community tra chi ne aveva apprezzato l’impatto e chi si era lasciato frenare da diverse perplessità. Le stagioni, in particolare, hanno proposto un ventaglio di esperienze molto altalenante, tra buoni risultati e delusioni cocenti. Vessel of Hatred promette di rinnovare l’interesse dei giocatori con la sesta iterazione stagionale, denominata Stagione dell’Odio Crescente, una nuova classe, nuove attività endgame e una trama avvincente. Tuttavia, il costo di 39,99 euro solleva più di una domanda: si tratta di un prezzo considerevole, che la avvicina a quello di un gioco completo, e che ravviva il focolaio di polemiche riguardante il modello economico di Diablo IV, basato su un servizio live gratuito affiancato da un negozio in-game e da pass battaglia stagionali. Vessel of Hatred promette molto sulla carta, ma l’asticella da raggiungere e superare è quella di Reaper of Souls, l’espansione di Diablo III che aveva letteralmente rivoluzionato il gioco base, e i dubbi che assillano gli appassionati sono più che legittimi, soprattutto considerando le critiche mosse verso alcune scelte di design non ancora sanate del tutto.
Diablo IV Vessel of Hatred: sacrificio e corruzione
Iniziamo con i non pochi punti a suo favore: Blizzard si è superata ancora una volta in termini di direzione artistica, e Diablo IV Vessel of Hatred ne è la prova tangibile. L’espansione non solo continua la tradizione di pregevolezza estetica della serie, ma la eleva a nuovi livelli, confezionando un’opulenza visiva che lascia senza fiato. L’ottimizzazione inoltre è straordinaria, poiché Diablo IV gira senza troppi compromessi anche su hardware di fascia media, come Xbox Series S e Steam Deck, ma è sui sistemi più potenti che il gioco dà il meglio di sé, con effetti visivi sbalorditivi come le soluzioni di geometria ottica del ray tracing. La nuova regione di Nahantu, lascito diretto di Diablo II, è un vero e proprio trionfo del comparto grafico: foreste lussureggianti, atmosfere cupe e dettagli incredibili creano incredibili scenari che catturano lo sguardo e l’immaginazione, e lo dico da abituale detrattore delle zone selvatiche nei videogiochi. I fan della serie troveranno in Vessel of Hatred numerosi riferimenti e richiami ai capitoli precedenti perché, oltre a Nahantu, l’espansione riporta in vita luoghi iconici come Kurast e le rovine di Travincal, apportando un tocco di nostalgia e familiarità. La trama, inoltre, è ricca di momenti memorabili che si intrecciano con la storia principale di Diablo IV, strutturando una continuità narrativa apprezzabile. Malgrado le limitazioni della prospettiva isometrica, gli sviluppatori sono riusciti a creare momenti di straordinaria intensità, grazie a una direzione artistica impeccabile e a una cura maniacale per i dettagli. Le condizioni ambientali dense e opprimenti della giungla, unite ai richiami alla storia di Diablo II, creano un’esperienza coinvolgente che va ben oltre il semplice gameplay: le sequenze più spettacolari sono quelle in cui la musica e le immagini si fondono in un tutt’uno, conferendo alle scene un taglio quasi cinematografico. Tuttavia, è proprio la perizia con cui Blizzard ha realizzato questi momenti a lasciar emergere qualche piccola disillusione. Di fatto, mi sarei aspettato di trovarne un numero maggiore lungo tutta l’espansione, ma sembra quasi che lo studio abbia concentrato gli suoi sforzi solo su poche sequenze apicali, sacrificando in parte la coerenza del racconto e l’uniformità dell’avventura.
A dispetto delle premesse interessanti e i momenti di grande impatto visivo, Vessel of Hatred non riesce a sfruttare appieno il suo potenziale narrativo. La storia, pur promettente, si sviluppa con eccessiva celerità e si conclude in maniera brusca, lasciandoci con un frustrante senso di insoddisfazione: i numerosi elementi narrativi introdotti vengono abbandonati con la medesima solerzia, nuovi personaggi, trame e nemici emergono in rapida successione, lasciando tracce effimere nei nostri ricordi mentre il climax, per quanto intenso, sembra più un intermezzo che una vera e propria conclusione, anche se uno degli aspetti più deludenti è la durata contenuta. Completare la storia principale richiede infatti solo poche ore, un lasso di tempo troppo breve per approfondire tematiche e personaggi che avrebbe piuttosto tratto beneficio da sequenze più lineari, come dungeon o roccaforti uniche, per sviscerare opportunamente ogni singola sfumatura. Quando funziona, la trama di Vessel of Hatred ci trascina in un vortice emozionale, con colpi di scena catartici e sorprendenti, dunque la sua disomogeneità non può che generare amarezza. Inoltre, la transizione brusca dalle scene cruciali alle attività ripetitive di fine gioco, come le Maree Infernali, sminuisce l’impatto emotivo delle vicende, laddove invece lo scontro con l’Angelo della Morte Malthael al termine di Reaper of Souls avveniva al culmine di un corposo e soddisfacente atto supplementare. La scelta di adottare una struttura episodica, con la promessa di assistere al prosieguo con future espansioni, potrebbe rivelarsi una strategia commerciale valida, ma nel breve termine penalizza e mortifica quanto abbiamo vissuto. L’impressione è quella di un prodotto incompleto ma venduto a prezzo pieno, adornato dalla magra consolazione dei pochi contenuti esclusivi rispetto al gioco base.
Il segno della bestia
La nuova classe dello Spiritista è chiaramente la novità più significativa, una sorta di incrocio tra il Monaco e lo Sciamano, poiché impiega le arti marziali in combattimento e invoca gli spiriti di potenti entità della giungla per potenziare le proprie abilità. Durante la mia prima avventura stagionale ho sperimentato principalmente le abilità del Centopiedi, attratto dalla loro spettacolarità, e non ne sono rimasto per nulla deluso: la sua abilità Ultra, Divoratore, evoca un’orribile creatura insettoide che erutta dal terreno e sputa veleno sui nemici con un potente soffio degno di un drago nero di Dungeons & Dragons. È possibile anche evocare i poteri di un massiccio Gorilla, orientati alla resistenza e alla forza, e di un’imponente Aquila, concentrati sull’agilità. Ultimo ma non per importanza il Giaguaro, che si basa su attacchi rapidi a distanza ravvicinata. Quando sferriamo un colpo in mischia, il personaggio fa un passo in avanti per andare incontro ai nemici, azione che evidenzia l’impressionante agilità degli Spiritisti e permette al contempo di sottrarsi alla portata di contrattacchi o effetti nocivi se siamo abbastanza capaci. La polivalenza della classe viene garantita dalla facoltà di adottare spiriti alternativi e utilizzare più poteri contemporaneamente: benché abbia prediletto i poteri del Centopiedi, ho intravisto un notevole potenziale nelle combinazioni di abilità differenti. Ad esempio, sbloccare la Passiva Chiave Posture Adattive fornisce bonus differenti a seconda dello spirito cui sono legate le abilità utilizzate, perciò sperimentazioni e accostamenti bizzarri sono all’ordine del giorno.
Altra importante novità introdotta da Vessel of Hatred è il sistema dei Mercenari. Simile a quanto visto in precedenti giochi della serie, è una meccanica che consente di reclutare un gruppo di combattenti incontrati durante le missioni principali e secondarie. Questi mercenari funzionano come i servitori del Negromante e si scagliano automaticamente contro i nemici, ma abbiamo la possibilità non banale di personalizzare i loro talenti attraverso alberature specifiche. Il mio principale rammarico risiede nella loro mancanza di personalità, che sparisce del tutto dopo aver portato a termine la missione con cui vengono reclutati: sebbene sia più un problema narrativo che di gameplay, una volta sbloccati le rispettive personalità si azzerano e diventano più meccanici di quanto mi sarei aspettato, quasi come se ogni classe potesse accedere a un Golem personale con la medesima loquacità. Sarebbe stato interessante saperne di più su Aldkin o su Varyana ma, quantomeno, una volta preparati a dovere i nostri alleati diventano delle ottime opzioni complementari per la creazione di build personalizzate. Inoltre, il nuovo sistema delle rune introduce ulteriori possibilità di costruzione del personaggio. Anche senza una profonda conoscenza degli incastri numerici ottimali tra i bonus, è possibile creare accostamenti proficui che migliorano il proprio stile di gioco. Ad esempio, con pochi passaggi è possibile creare una mescolanza di rune che riduce il tempo di recupero della mia Ultra suprema ogni volta che schivo, onde incrementare la frequenza dei potenti attacchi del mio Centopiedi.
Un patto ancestrale con le tenebre
L’espansione introduce anche svariati contenuti per l’endgame di Diablo IV, a cominciare dalla Città Sotterranea di Kurast, un dungeon a tempo che offre ricompense sempre più potenti in base alle prestazioni e che richiama alla mente i Varchi Maggiori di Diablo III, dato che il suo funzionamento è pressapoco simile. Il ritmo dei combattimenti è decisamente superiore in questo episodio, ma resta da verificare se nel tempo si rivelerà una valida alternativa alle Orde e alle Maree Infernali oppure se la ripetitività rischia di smorzarne l’attrattiva. Oltre a Kurast c’è anche la Citadella Oscura, un labirinto progettato esplicitamente per gruppi di 4 giocatori. Questo esperimento in stile MMO ha suscitato qualche critica da quanti preferiscono giocare da soli, perché la sua esplorazione prevede che i partecipanti combattano in zone diverse prima di ottenere il premio finale. È possibile che Blizzard si convinca prima o poi a modificare i requisiti per giocare alla Citadella, consentendo di portare con noi qualche compagno controllato dall’IA, e in effetti sembra un po’ assurdo che questa alternativa non sia già disponibile vista la presenza dei Mercenari, ma il lead designer di Diablo IV, Rex Dickson, ha spiegato che creare una versione solista della Citadella richiederebbe una “riprogettazione importante” per sviluppare l’IA degli alleati in maniera tale che si adegui a tutte le meccaniche specifiche. Di fatto, è alquanto ironico che World of Warcraft stia gradualmente inserendo sempre più opzioni per giocare in solitaria mentre Diablo IV di contro limiti tale possibilità. Personalmente, mi sono divertito un sacco ad affrontare i pericoli della Citadella con il mio gruppo di amici, ma comprendo le frustrazioni di chi preferisce giocare per conto proprio.
Purtroppo però, non ho incontrato soltanto rose e fiori lungo il mio cammino: tanto Kurast quanto la Cittadella sono attività con il potenziale di tenere impegnati i giocatori per ore, ma una serie di problemi tecnici e di bilanciamento ne sminuiscono in parte l’efficacia. La Città Sotterranea, per quanto divertente e nostalgica, è afflitta da un generoso quantitativo di bug (in fase di risoluzione, per carità) che convergono in particolar modo sulla battaglia contro il boss finale, Alia, la cui sconfitta non veniva registrata per il completamento della missione che la riguardava fintantoché affrontavo il dungeon in compagnia di altri giocatori online. Una volta livellato a dovere, ho provato a fronteggiarla con le mie sole forze, riuscendo alfine nell’impresa soltanto al quarto o quinto tentativo perché freeze e crash improvvisi, mai incontrati nel gioco base, mi hanno costretto a ricominciare più volte. Inoltre, dopo averla sconfitta e indipendentemente dalle mie prestazioni, le ricompense non si sono mai nemmeno avvicinate a un livello qualitativo accettabile, dunque è palese che l’intera modalità non stia ancora funzionando come dovrebbe. Parimenti, la Cittadella presenta tutte le premesse per coinvolgere più partecipanti in un’intrigante miscela di enigmi e battaglie, ma anche in questo caso la sovrabbondanza di impedimenti tecnici e concettuali ne limitano allo stato attuale il divertimento che è possibile ricavarne. E non parliamo dei nuovi altari di Nahantu dedicati ad Akarat, il leggendario asceta che diede origine alla chiesa di Zakarum e che gioca un ruolo fondamentale in questa espansione, il cui ruolo è di fatto simile alle controparti di Lilith sparse nel resto di Sanctuarium: la loro attivazione sembra legata a svariati glitch che ne impediscono la materializzazione nei luoghi designati, oppure li associano ad altri giocatori qualora dovesse capitarci di vederne uno che riesce ad innescarli prima di riuscire a raggiungerli. Esistono diversi escamotage che a volte riescono ad ovviare a tali inconvenienti, in primis teletrasportarsi verso un crocevia lontano e attendere qualche minuto prima di provare ad avvicinarsi di nuovo all’altare, ma sono soluzioni temporanee che non dovrebbero nemmeno essere contemplate.
Per concludere, la Stagione dell’Ascesa dell’Odio, lanciata in parallelo con Vessel of Hatred, si presenta come un’opportunità per approfondire l’universo di Diablo IV e sperimentare nuove meccaniche di gioco. Tuttavia, le promesse iniziali sembrano non essere state del tutto mantenute. Il fulcro stagionale è imperniato sulla caccia ai Pellegrini dei Regni, esseri mastodontici che seminano il caos su Sanctuarium: la prospettiva di inseguire questi colossi e affrontarli in drammatici combattimenti epocali è affascinante, ma la realizzazione lascia a desiderare e l’avanzamento della caccia stessa risulta lento e tedioso, per terminare con il solito assortimento di ricompense affatto in linea con l’impresa appena compiuta. Il rinnovato sistema di reputazione è un’altra mezza delusione, perché la lentezza con cui si progredisce e la rimozione dell’incentivo della Scintilla Splendente scoraggiano i giocatori dal dedicare tempo a questa attività. È evidente che Blizzard ha concentrato i propri sforzi sull’implementazione degli Spiritisti trascurando l’endgame e le attività stagionali, eppure tale scelta potrebbe rivelarsi controproducente in quanto è proprio il ciclo ludico di fine gioco che mantiene viva la passione degli entusiasti. La software house californiana ha promesso di risolvere tutti i problemi riscontrati e di prestare estrema attenzione ai riscontri come fatto finora, dunque non resta che sperare in una rapida esecuzione atta a garantire le migliori condizioni possibili per Diablo IV, Vessel of Hatred e tutte le espansioni che verranno.
L’ultimo sforzo creativo di Blizzard per i giocatori di Diablo IV è un’espansione che lascia in bocca un sapore agrodolce. Da un lato, l’inedito Spiritista e la splendida cornice selvaggia di Nahantu introducono una serie di meccaniche rinnovate e appaganti. Dall’altro, la manchevole storia principale e la monotonia di alcuni contenuti trasmettono un senso di incompiutezza. Il ritmo frenetico della narrazione e la riproposizione di elementi già visti nel gioco baaase minano l’impatto dell’espansione. Inoltre, la presenza di numerosi bug e problemi di bilanciamento, almeno allo stato attuale delle cose, compromette ulteriormente l’esperienza complessiva: gli sviluppatori sono già al lavoro con un quantitativo ingente di azioni correttive, ma purtroppo posso giudicare soltanto quello che ho toccato con mano. Vessel of Hatred offre momenti di grande divertimento, tuttavia è un peccato che non riesca a sfruttare appieno il potenziale che lei stessa apporta alla serie.
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